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Luci e ombre

I numeri che riguardano i senior devono essere aggiornati in continuazione. Chi si ritrova spesso a presentarli in pubblico sa che bisogna controllarli prima di ogni occasione. Noi senior siamo ormai studiati e monitorati con grande attenzione e infatti quasi settimanalmente esce qualche nuovo dato che ci riguarda.

Proviamo allora a fare il punto, che è fatto di luci ed ombre.

Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha accreditato di recente noi Italiani di un’aspettativa di vita di 80 anni per gli uomini e di 85 per le donne e di una aspettativa di vita in buona salute salita mediamente fino a 73 anni. Numeri che ormai non sorprendono più, ma è significativo che anche istituzioni importanti lo certifichino: siamo più longevi e riusciamo a stare in buona salute più a lungo che in passato. E il trend non accenna a modificarsi.  Inoltre, un numero sempre maggiore di senior fa controlli preventivi sulla propria salute e naturalmente la maggiore prevenzione va a favore di un maggior benessere complessivo: è quanto emerge dall’indagine sui “nuovi senior” descritta da Isabella Cecchini su Osservatorio Senior.

Più in generale, i costumi e gli stili di vita dei senior stanno cambiando in modo prepotente: ci teniamo ad essere in forma fisica, in forma mentale e “in forma sociale”.

Che la forma fisica interessi un numero crescente di senior lo testimoniano i dati sulla frequenza a palestre e a corsi di fitness, così come il successo dei tanti trattamenti, cosmetici e non, che ritardano l’invecchiamento; senza contare l’avvento di una pubblicità commerciale che rappresenta sessantenni e settantenni in aspetto smagliante.

La “mente in forma” è un altro must ben presente oggi ad ogni senior: un po’ che gli over55 sono molto più scolarizzati che in passato; un po’ per via degli interessi culturali coltivati per tutta la vita e l’abitudine a lavori spesso a contenuto intellettuale; un po’ per la paura delle malattie di decadimento cognitivo; fatto sta che il senior di oggi si prende molto cura della propria mente e non smette di essere curioso e di imparare: basterebbe il dato sulla diffusione delle università della terza età e delle migliaia di corsi e attività culturali offerti ai senior per dimostrarlo.

A noi senior di oggi poi è stato spiegato che nell’invecchiamento è importante anche la socialità e tendiamo a non farci mancare nulla neppure sotto questo profilo: tenersi in “forma sociale” significa continuare a coltivare le relazioni con gli altri e in Italia questo spesso si traduce da una parte nella crescita dell’associazionismo e del volontariato senior, dall’altra nel dedicare tempo ed energie all’aiuto familiare. E’ attraverso queste modalità che prevalentemente ci si mantiene vivi anche come “animali sociali”.

I dati più recenti ci raccontano anche di un mondo senior che sta sempre di più al lavoro: sarà per la legge sull’età pensionabile, sarà per il cambiamento di abitudini di vita, sarà per la necessità dei sessantenni di mantenere un reddito da lavoro e per alcune imprese l’opportunità di mantenere al lavoro competenze utili, sta di fatto che gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati e il tasso di inattività per questa fascia di età è andato sotto il 50%, dal 62% di quattro anni fa.

E chi si occupa di patrimoni cosa ci racconta? Su questo fronte, fondamentalmente si registra una continuità: i senior di oggi rimangono le generazioni con il portafogli più rifornito, anche se sta aumentando l’ansia sulla possibilità di mantenere nel tempo lo stesso tenore di vita.

Le luci, insomma, sono tante: noi senior viviamo più a lungo e in buona salute, facciamo più prevenzione e otteniamo maggior benessere, ci teniamo in forma fisica, mentale e sociale; inoltre siamo le generazioni che meno soffrono i problemi della disoccupazione e della crisi economica.

Tutto bene dunque? Naturalmente no. Tutta una serie di aspetti sono problematici e direi collegati alla nuova condizione psicologica e sociale dei senior.

Ad esempio sono numerosi i casi di solitudine, psicologica e non, di sessantenni e settantenni, solitudine che spesso si affianca alla fatica nel comprendere il passaggio di età e la transizione da una fase della vita ad un’altra. E’, questa, una fatica che non raramente sfocia anche in depressione.

Inoltre, le graduatorie internazionali, come il Global Age Watching Index sulla qualità della vita, relegano noi Italiani senior nelle posizioni medie della classifica e, andando su aspetti specifici, in posizione infima quando ci viene chiesta la nostra percezione di libertà su cosa fare del futuro.

A questi disagi e a queste insoddisfazioni spesso si aggiunge la fatica nel trovare occupazioni quotidiane che interessino e soprattutto a dare un senso al lungo futuro che ci attende. Problema, quest’ultimo, più frequente tra chi era molto impegnato sul lavoro e con responsabilità.

Ma l’ombra che sovrasta le altre riguarda la nebulosa che avvolge i rapporti con le generazioni più giovani e che si nutre di contraddizioni fortissime: su questo le generazioni senior appaiono in bilico tra generosità (talvolta persino eccessiva) quando si parla di rapporto privato e familiare nei confronti dei figli, ma che si trasforma spesso in difesa dei propri privilegi quando ci si sposta sul piano pubblico.

Un mondo, quello dei senior, caratterizzato dunque da molte luci, in primis la consapevolezza delle molte opportunità, ma anche da alcune ombre che richiedono attenzione.

Questo articolo é pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Alice si meraviglia

Scrive Ilaria: Sono una donna di 64 anni. Ho dedicato la mia vita all’insegnamento e allo studio, all’approfondimento di tante problematiche che via via si presentavano sul mio percorso. Ho amato alcuni uomini, ma per un motivo o l’altro alla fine ci si allontanava. Lo ammetto, dopo poche storie fallimentari giovanili, non mi sono più impegnata tanto.
Da un anno sono in pensione e mi occupo a tempo pieno dei miei genitori molto anziani e bisognosi di assistenza.
Essendo abbastanza sola e costretta in casa, ho cominciato a iscrivermi a qualche socialnetwork.
Ho conosciuto un uomo che mi ha conquistato al telefono e con mail dolci ed appassionate. Il giorno in cui dovevamo conoscerci, la mattina mi rivela nella mail che aveva sognato che mi perdeva, mi allontanavo come la sua adolescenza. Ci siamo conosciuti. Ci siamo piaciuti. O meglio lui a me è piaciuto fisicamente. Dopo però son finite le lettere appassionate. Al secondo incontro ho capito di trovarmi di fronte ad un narcisista (mi è sempre interessata la psicologia). Ora mi sembra di essere tornata agli amori tormentati di gioventù. Da una parte vorrei interrompere la relazione perché temo che mi farà soffrire, dall’altra penso che sono abbastanza matura (e vaccinata) per accoglierlo anche se ad intermittenza.    Cosa voglio? Un futuro da condividere.

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Realtà in cambiamento

Dei cambiamenti per un po’ se ne parla, qualcuno li teme, qualcuno li auspica, e però spesso succede che per un lungo periodo se si guarda alla realtà di novità se ne vedono poche e i cambiamenti rimangono solo un’ipotesi. Poi ad un certo punto, quando quasi tutti hanno cominciato a non crederci più o comunque sono esausti di chiacchiere, ecco che i numeri entrano prepotenti in campo ed improvvisamente ti dimostrano che sì…. eppur si muove! E’ quel che sta succedendo nel mondo del lavoro e delle organizzazioni. Da tre anni almeno in Italia si racconta che l’universo del lavoro avrebbe dovuto fare i conti con l’invecchiamento e con l’allungamento dell’età della pensione, ma è stato assai difficile in questo periodo riconoscere pratiche diverse nel modo in cui le organizzazioni hanno gestito la variabile dell’età, sotto il profilo delle condizioni di lavoro, degli orari, dei tempi di carriera, o anche del rapporto tra le generazioni degli over55 iper-esperti e quella dei 25enni per lo più stagisti. La ribalta, se mai questo cambiamento voleva essere tenuto in considerazione, è stata presa dal problema degli esodati, che – per quanto delicato e importante – era sempre un modo di affrontare il problema senza domandarsi cosa sarebbe dovuto cambiare in futuro. Negli ultimi tempi invece è apparso qualche numero che sta rendendo obbligatorio interrogarsi su questo aspetto. E se non bastassero i numeri italiani ci penseranno quelli di altri a farci capire che ora qualcosa deve cambiare per forza.

Ad esempio, in Italia il tasso di inattività delle persone tra i 55 e i 64 anni, che era intorno al 62% ancora nel 2010, nella seconda parte del 2014 si è posizionato tra il 50 e il 51% e il trend non può che continuare nella stessa direzione. Al di là dell’evidente impatto di questo dato sul modo di gestire le organizzazioni, questo tra l’altro vuol anche dire che l’esperienza di vita di una gran numero di cinquanta – sessantenni di oggi è profondamente diversa da quella fatta dalla larga maggioranza dei loro fratelli di soli cinque o dieci anni più anziani.

In Germania, dove pure hanno previsto la possibilità di smettere di lavorare a 63 anni, già da un po’ i tedeschi over 60 che lavorano sono numerosi. Nel loro caso, una metà circa delle persone tra i 60 e i 64 anni risultano ancora in servizio attivo, mentre nel 2005 erano poco più di uno su quattro.

E vale la pena ricordare anche una notizia che si legge in questi giorni: e cioé l’accordo della Toyota con i sindacati, che prevede anche la riassunzione su base volontaria di pensionati over60 particolarmente qualificati, in grado di trasmettere know-how e conoscenze ai nuovi arrivati.  Un sintomo di come cambiamenti della realtà impongono anche cambiamenti nei modi di gestire il mondo del lavoro.  E’ il momento dei cambiamenti, non più delle chiacchiere.

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Ripartire

Scrive Maria Luigia: “Care amiche e cari amici,
sono Maria Luigia, sono da poco sessantenne e questa età richiede qualche riflessione in piu’… Affermata professionalmente sto pensando ora a come reinventarmi quando mi si propetterà la pensione.”  In foto: donna senior – foto tratta da: Les nouveautés pour les retraités en 2015 – Tout sur la retraite
“Continuo a sentire una grossa responsabilità nei confronti delle generazioni a venire visto che la nostra, di generazione, davvero non lascia loro in eredità un paese “normale”. Per questo vorrei trovare un modo per mettere a disposizione la mia esperienza professionale, scientifica e culturale. Ma quali le vie, quali gli strumenti?
Io spero che questo blog riesca a fare rete anche delle persone che hanno suggerimenti o proposte in tal senso.
Un caro saluto a tutti.”


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Una fotografia in chiaroscuro

Connessi e solidali, ma timorosi del futuro.

Una fotografia in chiaroscuro quella sui senior italiani illustrata venerdì scorso dal Censis nel suo 48° Rapporto sulla situazione sociale del Paese.
Come al solito i dati e le riflessioni del Rapporto richiederanno uno studio attento, ma alcuni aspetti già comunicati balzano subito agli occhi.
Ad esempio: i senior sono sempre più solidali e fungono da perno familiare: circa 4 milioni e mezzo di over65 si prendono cura di altre persone anziane non autosufficienti e di queste quasi 1 milione lo fa in modo regolare. Per non parlare dei 3,2 milioni che si prendono regolarmente cura dei nipoti e dei 5,7 milioni che lo fanno di tanto in tanto; oltre al milione e mezzo che contribuisce regolarmente con i propri soldi alla famiglia di figli o nipoti e ai 5,5 milioni che lo fanno di tanto in tanto.
I senior sono anche sempre più connessi in rete: che il trasporto verso i social network fosse inarrestabile lo si sapeva, ma colpisce comunque la dimensione del fenomeno: gli utenti facebook over55 sono aumentati del 405 (quattrocentocinque)% in cinque anni.
Questi forti segni di vitalità non portano però ad una visione ottimistica. Infatti, tra le generazioni a cavallo tra i maturi e i senior, sono tantissimi coloro che temono il futuro, come è testimoniato dal 64% dei 45-64enni che ha paura di finire in povertà.
E la situazione lavorativa ed occupazionale è decisamente in chiaroscuro. Se da una parte si rileva il boom di occupati over50 registrato dal 2011 a oggi (+19,1%), anche come effetto dello spostamento in avanti dell’età del ritiro dal lavoro, o se colpiscono i 2,7 milioni di persone over65 che svolgono ancora attività lavorativa (regolare o in nero), dall’altra parte rimane alto il numero d’inattivi over50 (oltre 17 milioni) e la grande maggioranza di essi (circa 14 milioni) non cerca lavoro e si dichiara indisponibile a lavorare.

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Senior, case e generazioni

Durante le mie indagini sulle attività e gli stili di vita dei senior, quando mi ritrovo a domandare al cinquantenne o sessantenne che ho di fronte “cosa farà da grande”, non riesco mai ad evitare l’argomento “casa”. E’ un “tema sensibile”, capace di suscitare emozioni, fantasie e timori. E’ un argomento assolutamente intrecciato con le riflessioni degli intervistati sui propri progetti di vita, su quelli del proprio partner, sul destino dei figli e persino sul valore dell’autonomia e della libertà di movimento. Non appena ad un senior ancora autonomo parli del dove abiterà negli anni a venire gli si drizzano le orecchie, perché sa che sta parlando di uno dei terreni fondamentali su cui si giocherà la qualità della sua vita futura.

I senior non vogliono immaginare il loro futuro né con badanti né in case di riposo. E anche immaginarsi la solitudine della propria casa mette paura. Sono tantissimi i 50-60-70enni che si stanno chiedendo come e dove abiteranno nei prossimi anni e il momento giusto per porsi la domanda è proprio quando sei ancora abbastanza in forze. Quando invece l’autonomia è venuta meno e dipendi dal prossimo di solito é ormai troppo tardi e tocca adattarsi a soluzioni decise da altri.

Le storie che raccolgo da tempo raccontano tante situazioni diverse: si va da chi progetta un cambio di casa e residenza per tornare al paese d’origine dove troverà solidarietà familiare, a chi fa la scelta del cosiddetto downshifting, lasciando un appartamento grande e andando a vivere in uno più piccolo ma più consono alle proprie nuove esigenze personali; da chi, in condizioni privilegiate, può permettersi di godere come mai ha fatto in precedenza la seconda casa, a chi cerca di tenersi ben stretto il piccolo appartamento dove é in affitto sperando di farcela economicamente a sostenere la spesa con la pensione. Non mancano neppure testimonianze di chi ha adottato la soluzione sofisticata del prestito vitalizio ipotecario, prevista per legge per gli over65, dando in garanzia la propria abitazione per finanziare gli studi del nipote o di chi, in misura sempre più consistente, è attratto da esperienze di coabitazione e da formule di cohousing. 5-generazioni-insieme-300x224Ma le soluzioni di gran lunga più gettonate, per lo meno nelle testimonianze che ricevo, sono quelle che si intrecciano con l’abitazione dei figli ormai grandi e dei genitori over80. Sono soluzioni che prevedono, se non il vivere sotto lo stesso tetto, almeno l’abitare a non troppa distanza dai familiari in maniera da darsi aiuto vicendevole quando serve: è il modo, tutto italiano, di realizzare la solidarietà tra generazioni. La cosiddetta “generazione sandwich”, quella dei cinquanta-settantenni che spesso da una parte hanno figli grandi ma non ancora autosufficienti dal punto di vista economico e dall’altra parte genitori longevi ma spesso bisognosi di assistenza, è una generazione che tocca con mano quotidianamente cosa significa la solidarietà intergenerazionale e che spesso cerca nella vicinanza delle abitazioni il modo per rendere meno gravoso il proprio impegno familiare.

I “ragazzi di sessant’anni” di oggi hanno alcune straordinarie opportunità che le generazioni precedenti non hanno mai sperimentato, ad esempio sul piano della salute, delle possibilità di apprendimento, delle esperienze sociali ed affettive, eccetera. Al contempo sperimentano delle responsabilità e delle incombenze che in passato a questa età non erano più richieste. In questo senso sono degli “apripista”, alla ricerca di nuove modalità per vivere bene questa fase della vita e, in questa ricerca, una parte di rilievo sicuramente è assegnata al trovare le migliori soluzioni abitative e al mantenere saldi i rapporti tra generazioni. In foto: 5 generazioni insieme.    Questo articolo é stato pubblicato anche su abitaresociale.net

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Invecchiare bene a casa propria

Intervista di Enrico a Francesco, Pino e Raimondo di Abitaresociale.

Secondo Abitaresociale l’incremento della speranza di vita, associato ad un suo progressivo miglioramento, ha consentito una costante crescita del numero di persone anziane in grado di continuare a condurre una vita attiva e autonoma nella propria dimora. Questo apre delle opportunità, ma anche dei problemi.

02Si tratta di un cambiamento positivo. Perché allora occuparsene? Non dovrebbe essere sufficiente lasciare che la situazione evolva da sola ?

No, perché in realtà la casa e il quartiere oggi rappresentano ancora la principale causa di emarginazione delle persone quando invecchiano, precludendo loro la possibilità di muoversi facilmente, in modo sicuro e indipendente. Le abitazioni degli anziani si rivelano spesso inadeguate alle loro necessità e il patrimonio edilizio esistente generalmente è funzionale ad un tipo di famiglia giovane e autonoma nei trasporti, mentre la persona in là con gli anni, soprattutto quando perde la propria autonomia, spesso è costretta a trasferirsi presso una casa dei propri familiari o in una residenza privata assistita, sradicandola così dalla propria realtà sociale e accelerandone il processo di invecchiamento. Per questo è importante pensare alla propria abitazione per l’invecchiamento sin da prima, quando si è ancora in forma.

Secondo voi qual è la risposta a questo problema ?

E’ fondamentale definire modelli abitativi in linea con le esigenze della persona che invecchia. Servono complessi residenziali completamente accessibili, nuovi o riqualificati, rivolti a persone senior e anziane, ma anche a giovani e famiglie, perché la solidarietà tra generazioni va di pari passo con la ricerca di nuove soluzioni abitative. Noi di Abitaresociale siamo un gruppo interdisciplinare di ricerca e progetto composto da professionisti provenienti dal mondo dell’architettura, della medicina e delle scienze sociali e ci dedichiamo proprio alla creazione di questi tipi di progetti.

Come si sviluppa di solito un vostro progetto ?

In quattro fasi progettuali: sociale, architettonica, economica e gestionale. La progettazione sociale dello stile di vita comunitario preferito, scelto dai residenti attraverso un processo aperto e partecipativo, rappresenta la base da cui deriveranno le scelte dei tipi e tipologie edilizie, cioè il progetto architettonico, quindi l’erogazione dei servizi e l’accompagnamento dei residenti durante il tempo nelle problematiche gestionali.

Tutti i percorsi sono concepiti per favorire il processo di invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni e sono finalizzati alla costruzione di una comunità di residenti intergenerazionale, secondo uno spirito cooperativistico e solidale.

In foto: senior che progettano la loro casa comune.

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Esperienza …buttata !

Scrive Guido: Mi sono occupato di interior design per quarant’ anni, spaziando per ogni dove, una vita lavorativa intensa e piacevole. Poi mio malgrado ho dovuto (!? ) interrompere l’attività per la crisi in atto. Mi ritrovo esodato e disoccupato. Preoccupato per un futuro incerto in assenza di un qualsiasi lavoro ( a 63 anni chi ti vuole! ) lontano da una misera pensione e alle spalle di una famiglia che stenta a sopravvivere. Non era il futuro che immaginavo. Rammaricato per un bagaglio di conoscenze da gettare nel bidone dei rifiuti. Tanta esperienza che potrei trasmettere ai giovani del settore abbreviando notevolmente i tempi di formazione ” pratica ” che la scuola italiana non fornisce . Il tirocinio o praticantato è insufficente e spesso necessitano anni per assicurarsi l’indipendenza.
Potrebbe essere occasione di guadagno e sicuramente di soddisfazione per sentirsi ancora utili.

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Senior che vivono insieme

Affollata conferenza-dibattito domenica scorsa, 12 ottobre, all’incontro sul “Cohousing Senior” svoltosi all’interno dell’ Experimentdays Milano 2014, “Fiera dell’Abitare collaborativo”. L’evento, ricco di due giorni di esposizioni e conferenze dedicate a nuovi modi di abitare la città, è arrivato in Italia dopo 10 anni di promozione di nuovi stili di vita legati all’abitare consapevole a Berlino e in Germania.

Evidentemente le nuove formule abitative in vista dell’invecchiamento intercettano anche da noi la curiosità ed un bisogno diffuso dei senior di individuare soluzioni più accattivanti di quelle dell’abitazione monofamiliare a rischio solitudine o di scovare alternative, una volta persa l’autonomia, al rimedio della casa di cura o del badante.

Il dibattito dedicato alle “abitazioni collaborative per senior”, aiutato dal medico Pino Frau e dall’ architetto Francesco Cocco di Abitare Sociale, oltre che dai contributi di numerosi esperti, come ad esempio la svedese Kerstin Kårnekull autrice di un libro sui senior che vivono insieme o il madrileno Rogelio Ruiz, ha permesso di mettere in comune idee su quali sono i problemi più sentiti legati alla scelta di vivere in cohousing ad una certa età, ma anche i “sogni abitativi” per l’invecchiamento di più e meno giovani.

Qual è l’Eden più desiderato ? Vivere in luoghi belli, con spazi autonomi e indipendenti associati a parti comuni che forniscano non solo “servizi all’abitare” (il giardino, l’orto, la palestra, la lavanderia, ecc) e alla socialità (come sale comuni), ma anche servizi alla persona (ad esempio, assistenza e sostegno quando servono). La speranza è invecchiare adottando un modo di vivere che si è scelto e non è percepito come obbligato; l’ideale é evitare il ghetto per anziani, sostituito invece da presenze di persone di tutte le età: così si presenta il sogno di chi pensa al cohousing per la seconda parte della propria vita.

Realisticamente la conferenza ha evidenziato però che le distanze per realizzare il sogno sono grandi e numerose: economiche, psicologiche, di offerta del mercato immobiliare, di identificazione dei vicini cohousers, ma è soprattutto un cambiamento culturale quello che potrebbe avvicinare più persone a questa soluzione abitativa: infatti, anche solo immaginare che ci sono alternative alla casa di cura, alla badante, alla solitudine o, nella migliore delle ipotesi, alla famiglia tradizionale che torna ad allargarsi, potrebbe già essere un passo avanti.

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Cerco di reinventarmi

Scrive Gloria: Ho 55 anni e mi ritrovo da sola da alcuni anni a causa di un triste evento. Cerco sempre di reinventarmi e mi guardo intorno cercando amicizie, ma mi rendo conto che a questa età è molto più difficile rispetto ad una età più matura, dove esistono strutture per aggregare le persone. Mi piace fare tante cose come sport, amo ascoltare la musica e sto imparando da qualche tempo a suonare uno strumento, Però alla fine malgrado abbia il tempo occupato tra lavoro e gli interessi che mi sono creata, mi rendo conto che mi mancano i rapporti sociali, le condivisioni con gli amici. Perchè poi non si può dimenticare che la mia generazione è cresciuta “nei gruppi” e con i valori di amicizia e solidarietà e tanti ideali, crollati, purtroppo.
A volte quando vado ai concerti da sola o vado in palestra, mi ritrovo con persone più giovani
e mi sento osservata come “uno strano oggetto”….Bisogna fare quello che ci piace per stare almeno un po’ bene e per allontanare la solitudine, ma c’è un po’ di vuoto intorno e di certo i social network hanno contribuito ad allontanare i contatti umani.

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