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Realtà in cambiamento

Dei cambiamenti per un po’ se ne parla, qualcuno li teme, qualcuno li auspica, e però spesso succede che per un lungo periodo se si guarda alla realtà di novità se ne vedono poche e i cambiamenti rimangono solo un’ipotesi. Poi ad un certo punto, quando quasi tutti hanno cominciato a non crederci più o comunque sono esausti di chiacchiere, ecco che i numeri entrano prepotenti in campo ed improvvisamente ti dimostrano che sì…. eppur si muove! E’ quel che sta succedendo nel mondo del lavoro e delle organizzazioni. Da tre anni almeno in Italia si racconta che l’universo del lavoro avrebbe dovuto fare i conti con l’invecchiamento e con l’allungamento dell’età della pensione, ma è stato assai difficile in questo periodo riconoscere pratiche diverse nel modo in cui le organizzazioni hanno gestito la variabile dell’età, sotto il profilo delle condizioni di lavoro, degli orari, dei tempi di carriera, o anche del rapporto tra le generazioni degli over55 iper-esperti e quella dei 25enni per lo più stagisti. La ribalta, se mai questo cambiamento voleva essere tenuto in considerazione, è stata presa dal problema degli esodati, che – per quanto delicato e importante – era sempre un modo di affrontare il problema senza domandarsi cosa sarebbe dovuto cambiare in futuro. Negli ultimi tempi invece è apparso qualche numero che sta rendendo obbligatorio interrogarsi su questo aspetto. E se non bastassero i numeri italiani ci penseranno quelli di altri a farci capire che ora qualcosa deve cambiare per forza.

Ad esempio, in Italia il tasso di inattività delle persone tra i 55 e i 64 anni, che era intorno al 62% ancora nel 2010, nella seconda parte del 2014 si è posizionato tra il 50 e il 51% e il trend non può che continuare nella stessa direzione. Al di là dell’evidente impatto di questo dato sul modo di gestire le organizzazioni, questo tra l’altro vuol anche dire che l’esperienza di vita di una gran numero di cinquanta – sessantenni di oggi è profondamente diversa da quella fatta dalla larga maggioranza dei loro fratelli di soli cinque o dieci anni più anziani.

In Germania, dove pure hanno previsto la possibilità di smettere di lavorare a 63 anni, già da un po’ i tedeschi over 60 che lavorano sono numerosi. Nel loro caso, una metà circa delle persone tra i 60 e i 64 anni risultano ancora in servizio attivo, mentre nel 2005 erano poco più di uno su quattro.

E vale la pena ricordare anche una notizia che si legge in questi giorni: e cioé l’accordo della Toyota con i sindacati, che prevede anche la riassunzione su base volontaria di pensionati over60 particolarmente qualificati, in grado di trasmettere know-how e conoscenze ai nuovi arrivati.  Un sintomo di come cambiamenti della realtà impongono anche cambiamenti nei modi di gestire il mondo del lavoro.  E’ il momento dei cambiamenti, non più delle chiacchiere.

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