Fatti ed Opinioni

La scrittura autobiografica è scrittura di sé

Ricevo da Silvia Ghidinelli e volentieri pubblico. 

Mi sono sempre piaciute le biografie, ne ho lette tante di uomini, di donne, di artisti famosi e di tutti mi interessava la loro vita straordinaria e le persone conosciute, ma soprattutto il loro modo di affrontare le varie occasioni che la vita aveva presentato loro. Se poi mi capitava di leggere autobiografie era un piacere: da Simone De Beauvoir a Neruda, a Lalla Romano ho letto con gusto tratti di tante vite, finché ad un certo punto mi sono chiesta: Perché mi piacciono tanto le narrazioni personali di vite passate? A che cosa serve narrare il proprio passato?

Mi sembra che l’autobiografia permetta di riconoscersi nella figura che porta il nostro nome e la nostra storia disegnata sulla faccia. Mi pare che scrivere di sé serva a non rimanere schiacciati sul presente della nostra vita ma a cercarvi un senso, attraverso la narrazione. Ma anche a trovare, nella determinazione di scelte, amicizie, amori, abitudini, errori, il nostro carattere, la sua evoluzione e a capire il nostro destino. Inoltre l’autobiografia consente una seconda lettura delle vicende della vita. La prima lettura è stata nel momento della vita vissuta, meno consapevoli, guidati dal temperamento, dall’istinto, dall’amore, dal risentimento, mentre una seconda lettura, più avanti negli anni, a bocce ferme, ci permette di vedere il filo di Arianna che ci ha guidati: un’occasione irripetibile e imperdibile di vedere la nostra vita come una metafora e forse comprendere il senso di un lungo cammino. Ed è così che pian piano, mi sono trovata faccia a faccia con il desiderio di “fare scrittura autobiografica”, e la ricerca di un corso collettivo di supporto che mi aiutasse a metterla in pratica e non sono stata delusa.

La scrittura autobiografica mi ha dato la consapevolezza stabile delle conquiste interiori certe nel mio percorso di vita. Scrivere è stato un sicuro riappropriarmi dei miei percorsi esistenziali e delle mete raggiunte, guidata dalla curiosità di incontrare me stessa. Ho la chiara immagine che prima, col pensiero e con i miei scritti sporadici, illuminassi con una torcia degli “angoli” di vita, tra paesaggi indistinti; invece la scrittura autobiografica mi ha permesso di illuminare a giorno i miei scenari, aperti e non più temuti. Inoltre rivestire di parole scritte i fatti, le persone e le emozioni della mia vita è stato per me dimostrare cura verso me stessa. Ancora: ascoltare le vite degli altri ha dilatato il mio mondo interiore. Infatti il confronto con l’altro, evidenziando approcci alla vita diversi dai miei, è stato uno specchio che ha trasmesso di riflesso le mie specificità emotive e ha contribuito alla più profonda scoperta di me.

Questa scrittura mi ha regalato la distanza emotiva dagli eventi della mia vita, così utile a guardare in faccia le cose avvenute, senza esserci dentro, e da questa prospettiva osservarle, accettarle e lasciarle andare. Mi ha portato anche in dono concentrazione, centratura, scoperta, indulgenza, pace e da qui alla scoperta di nuovi desideri e pertanto ancora progettualità future. Dunque narrare il nostro passato è un elemento indispensabile per dare un senso non solo alla nostra vita passata, ma anche presente e futura. Quale migliore cura di sé?

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La nuova sfida

Non solo vivere più a lungo, ma vivere bene gli anni aggiuntivi che la vita e il progresso ci stanno offrendo: questa é ormai la sfida che abbiamo davanti.

Nel giro di pochissimo tempo si è diffusa, sui media, tra i politici, nelle aziende e soprattutto tra la gente comune, la consapevolezza della rivoluzione demografica che ha coinvolto le nostre generazioni, rivoluzione ancora in pieno svolgimento. E in Paesi ad elevata longevità come l’Italia, la sorpresa di vivere anche oltre gli ottant’anni si è velocemente trasformata nell’ambizione di vivere con pienezza i decenni di “vita in più” che a molti vengono regalati.

Dietro a questa ambizione c’è il desiderio di sfruttare al meglio questa opportunità ignota a tutte le generazioni precedenti, ma c’é insieme la paura che gli anni della nuova vecchiaia siano lunghi e orribili, gravati da malattie neurodegenerative, da solitudine e da povertà di ritorno (su quest’ultimo aspetto basterebbero i dati riportati negli ultimi giorni dal Sole24ore per essere preoccupati). Solo con queste paure si spiegano le tante affermazioni un po’ angosciate di cinquantenni, sessantenni e settantenni che, di fronte alla fragilità e alla disabilità di tanti ottantenni, novantenni e magari centenari, si chiedono: “ma vale la pena di vivere così a lungo ?”, “ma è ancora vita ?”, “ma siamo di fronte a un progresso o a un peggioramento della condizione umana ?”

Certo che ne varrà la pena… se avremo la capacità di creare le condizioni per esistenze dignitose e dotate di senso, non gravate da malattie lunghe ed umilianti; ne varrà la pena se le prossime conquiste mediche terranno lo stesso passo (non troppo avanti, né troppo indietro) rispetto alle condizioni sociali ed esistenziali.

Riusciremo ad ottenere un tal risultato, così alto ed ambizioso ? E come ? Difficile rispondere, l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno mondiale e le risposte della scienza e dei costumi saranno le più svariate, incrociando culture diverse.

Vi sono proposte e progetti di rilievo che dovrebbero dare una spinta importante in questo senso. Come ad esempio il progetto di innovazione chiamato “Human Technopole Milano 2040”, di recente proposto in sede dopo-Expo e che punta ad aggregare scienziati e competenze delle più svariate discipline con l’obiettivo di trovare le migliori tecnologie per contribuire, tra l’altro, alla qualità della vita e al benessere nell’invecchiamento.

O come la proposta di un paio di anni fa di Fontana, Atella e altri illustri scienziati italiani che auspicavano nascesse dalle scienze della longevità un secondo Rinascimento.

Il mondo scientifico e dell’innovazione speriamo faccia la sua parte, ma sicuramente di almeno pari importanza sarà una trasformazione più sottile eppure dall’enorme impatto, e cioé la diffusione di stili di vita che potranno favorire un “invecchiamento a misura d’uomo” (e non un invecchiamento disumano); stili di vita che riguardano tantissime sfere dell’esistenza, dalle abitudini alimentari, alla cura del proprio corpo, della propria mente, della propria rete sociale e, non ultima, delle proprie finanze.

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60-70enni: in soffitta il cliché tradizionale

… Ma sostituito da cosa ?   La rappresentazione tradizionale del sessanta-settantenne è ormai andata in soffitta. Però siamo ancora lontani dall’aver costruito un’alternativa forte che tenga conto delle novità demografiche, di salute e di stili di vita.

Oggi non si riescono più a trovare sessantenni che si considerino anziani, e le ricerche ci raccontano che anche dopo i settanta la percezione di sé non coincide con quella del vecchio.

La pensione rimane un traguardo importante per la maggioranza delle persone, ma sentirsi catalogato come “pensionato” piace a pochissimi.

I dati sulla longevità e il formidabile allungamento dell’aspettativa di vita, fino a un lustro fa conosciuti solo da qualche demografo appassionato del tema, oggi sono invece ben noti a tutti i senior, che si regolano di conseguenza. E anche se non si è aggiornati sui dati statistici, qualche parente centenario sta lì a rammentare che i paradigmi sono cambiati.

Acciacchi e malattie, raggiunti i sessanta e ancor di più i settant’anni, non mancano di certo, ma quando si fa il confronto con le generazioni che ci hanno preceduto balza agli occhi che prevenzione e cure mediche permettono di vivere con maggior autonomia questa età e più o meno segretamente ciascuno coltiva la speranza di rimanere in discreta forma fisica ancora per qualche lustro.

E’ quindi stata spazzata via la figura del sessanta-settantenne che tira i remi in barca rifugiandosi sulle panchine del parco, che vive questa età a carico della società e dei figli e che riesce ad immaginare il proprio prossimo futuro esclusivamente come declino triste.

In pochi anni la rappresentazione sociale di questa fascia d’età è stata smontata, si è frantumata, vittima di cambiamenti demografici e medici, ma anche psicologici e di consumo.

 

Il punto è che oggi siamo ancora a metà del guado: nel senso che se il modello precedente non tiene più, e ormai ne sono consapevoli tutti, all’orizzonte non si profila ancora un’alternativa socialmente accettata, mediaticamente diffusa e politicamente sostenuta.

Il nuovo modo di vivere l’età da senior è ad oggi frutto di percorsi di vita individuali, di scelte personali, di esplorazioni soggettive, che possono soddisfare la psicologia dei senior più curiosi e avventurosi, ma che lasciano una sgradevole incertezza nei più.

Si è distrutto ma non ancora costruito: finché non si consoliderà una nuova figura di senior, una figura che non abbia più le caratteristiche dell’adulto maturo quarantenne e cinquantenne, e non ancora quelle della “vecchiaia vera” spesso rappresentata oggi dagli over80, fino ad allora ognuno proverà ad inventarsi il proprio modo di vivere questa età.

Quando un giorno saranno più definite le aspettative verso la fascia di età dei sessanta-settantenni, in particolare le aspettative sul piano delle capacità fisiche, delle condizioni di salute, delle prestazioni lavorative, delle potenzialità affettive, del ruolo tra generazioni, delle possibilità di apprendimento, acculturamento, mobilità e svago, allora quel giorno forse vivere da senior sarà meno intrigante ma sicuramente un po’ più facile.

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Turismo evergreen di gruppo

Pubblico con piacere questo articolo di Silvia Ghidinelli.

Vi sarà forse capitato di incontrare, anche nelle vostre città, frotte di senior, accompagnati da una guida, intenti ad ammirare le bellezze che li circondano. E’ il turismo di gruppo della terza età.

 

 

Sì perché i senior, spesso, amano viaggiare in gruppo, con le loro Associazioni di Volontariato, di Pensionati, delle loro Parrocchie e, proprio per questo, amano viaggiare tra persone conosciute e spesso amiche, con le quali vivere in gruppo e condividere importanti esperienze, divertirsi insieme, e, in fin dei conti, riappropriarsi dell’atmosfera della giovinezza, quando il gruppo era parte integrante della vita. Sì, perché il gruppo è goliardico, allegro ed integra facilmente anche coloro che sono soli …

Molti senior sono liberi da impegni lavorativi e perciò possono scegliere di viaggiare in qualunque momento dell’anno; è favorita la scelta delle medie stagioni, perché il clima è mite , ma non afoso, i prezzi calmierati, l’accoglienza negli alberghi più curata e meno frettolosa, i siti, i monumenti e i musei meno affollati.

Inoltre il TEMPO, risorsa dei senior, consente loro, se lo desiderano, un lento avvicinamento al luogo prescelto, gustando via via i cambiamenti della natura, delle architetture, dell’Umanità incontrata. Modalità ben lontana dai viaggi “mordi e fuggi” che ti catapultano nelle capitali in poche ore, lasciandoti per altrettanto poco tempo, senza alcun riferimento di localizzazione se non la carta geografica.

In questi viaggi di gruppo raramente il pranzo è libero, per mangiare magari un panino o frutta, come sarebbe anche bene, ad una certa età, per non appesantirsi. Invece, è più in uso che i senior in gruppo condividano il piacere di stare a tavola per gustare cibo tipico del luogo, assaggiare vini nuovi, e, se si trovano all’estero, comparare il tutto con l’ineguagliabile cucina italiana.

Va da sé che, se i viaggi sono organizzati da Enti religiosi, si cercheranno anche le tracce del Cristianesimo nei luoghi visitati: come è accaduto a me, grazie ad un bel viaggio in Grecia con la Diocesi della mia città, di seguire le tracce di S.Paolo all’Areopago sull’Acropoli di Atene e a Corinto, o di S.Andrea a Patrasso. Il viaggio era aperto a tutti, credenti e non, e voglio aggiungere che è stato molto interessante anche per me che sono agnostica, ma percepisco il fascino del Vangelo e provo grande rispetto e ammirazione per coloro che lo vivono con Fede.

Anzi credo che i senior, spesso, inseguano non solo interessi culturali, ma anche spirituali, perché, come dice Hillman, non bisogna trascurare l’anima più profonda, la quale, al di là della gratificazione fisica, ha bisogni estetici: senza immagini e sensazioni di bellezza, l’anima appassisce e muore.

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Luci e ombre

I numeri che riguardano i senior devono essere aggiornati in continuazione. Chi si ritrova spesso a presentarli in pubblico sa che bisogna controllarli prima di ogni occasione. Noi senior siamo ormai studiati e monitorati con grande attenzione e infatti quasi settimanalmente esce qualche nuovo dato che ci riguarda.

Proviamo allora a fare il punto, che è fatto di luci ed ombre.

Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha accreditato di recente noi Italiani di un’aspettativa di vita di 80 anni per gli uomini e di 85 per le donne e di una aspettativa di vita in buona salute salita mediamente fino a 73 anni. Numeri che ormai non sorprendono più, ma è significativo che anche istituzioni importanti lo certifichino: siamo più longevi e riusciamo a stare in buona salute più a lungo che in passato. E il trend non accenna a modificarsi.  Inoltre, un numero sempre maggiore di senior fa controlli preventivi sulla propria salute e naturalmente la maggiore prevenzione va a favore di un maggior benessere complessivo: è quanto emerge dall’indagine sui “nuovi senior” descritta da Isabella Cecchini su Osservatorio Senior.

Più in generale, i costumi e gli stili di vita dei senior stanno cambiando in modo prepotente: ci teniamo ad essere in forma fisica, in forma mentale e “in forma sociale”.

Che la forma fisica interessi un numero crescente di senior lo testimoniano i dati sulla frequenza a palestre e a corsi di fitness, così come il successo dei tanti trattamenti, cosmetici e non, che ritardano l’invecchiamento; senza contare l’avvento di una pubblicità commerciale che rappresenta sessantenni e settantenni in aspetto smagliante.

La “mente in forma” è un altro must ben presente oggi ad ogni senior: un po’ che gli over55 sono molto più scolarizzati che in passato; un po’ per via degli interessi culturali coltivati per tutta la vita e l’abitudine a lavori spesso a contenuto intellettuale; un po’ per la paura delle malattie di decadimento cognitivo; fatto sta che il senior di oggi si prende molto cura della propria mente e non smette di essere curioso e di imparare: basterebbe il dato sulla diffusione delle università della terza età e delle migliaia di corsi e attività culturali offerti ai senior per dimostrarlo.

A noi senior di oggi poi è stato spiegato che nell’invecchiamento è importante anche la socialità e tendiamo a non farci mancare nulla neppure sotto questo profilo: tenersi in “forma sociale” significa continuare a coltivare le relazioni con gli altri e in Italia questo spesso si traduce da una parte nella crescita dell’associazionismo e del volontariato senior, dall’altra nel dedicare tempo ed energie all’aiuto familiare. E’ attraverso queste modalità che prevalentemente ci si mantiene vivi anche come “animali sociali”.

I dati più recenti ci raccontano anche di un mondo senior che sta sempre di più al lavoro: sarà per la legge sull’età pensionabile, sarà per il cambiamento di abitudini di vita, sarà per la necessità dei sessantenni di mantenere un reddito da lavoro e per alcune imprese l’opportunità di mantenere al lavoro competenze utili, sta di fatto che gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati e il tasso di inattività per questa fascia di età è andato sotto il 50%, dal 62% di quattro anni fa.

E chi si occupa di patrimoni cosa ci racconta? Su questo fronte, fondamentalmente si registra una continuità: i senior di oggi rimangono le generazioni con il portafogli più rifornito, anche se sta aumentando l’ansia sulla possibilità di mantenere nel tempo lo stesso tenore di vita.

Le luci, insomma, sono tante: noi senior viviamo più a lungo e in buona salute, facciamo più prevenzione e otteniamo maggior benessere, ci teniamo in forma fisica, mentale e sociale; inoltre siamo le generazioni che meno soffrono i problemi della disoccupazione e della crisi economica.

Tutto bene dunque? Naturalmente no. Tutta una serie di aspetti sono problematici e direi collegati alla nuova condizione psicologica e sociale dei senior.

Ad esempio sono numerosi i casi di solitudine, psicologica e non, di sessantenni e settantenni, solitudine che spesso si affianca alla fatica nel comprendere il passaggio di età e la transizione da una fase della vita ad un’altra. E’, questa, una fatica che non raramente sfocia anche in depressione.

Inoltre, le graduatorie internazionali, come il Global Age Watching Index sulla qualità della vita, relegano noi Italiani senior nelle posizioni medie della classifica e, andando su aspetti specifici, in posizione infima quando ci viene chiesta la nostra percezione di libertà su cosa fare del futuro.

A questi disagi e a queste insoddisfazioni spesso si aggiunge la fatica nel trovare occupazioni quotidiane che interessino e soprattutto a dare un senso al lungo futuro che ci attende. Problema, quest’ultimo, più frequente tra chi era molto impegnato sul lavoro e con responsabilità.

Ma l’ombra che sovrasta le altre riguarda la nebulosa che avvolge i rapporti con le generazioni più giovani e che si nutre di contraddizioni fortissime: su questo le generazioni senior appaiono in bilico tra generosità (talvolta persino eccessiva) quando si parla di rapporto privato e familiare nei confronti dei figli, ma che si trasforma spesso in difesa dei propri privilegi quando ci si sposta sul piano pubblico.

Un mondo, quello dei senior, caratterizzato dunque da molte luci, in primis la consapevolezza delle molte opportunità, ma anche da alcune ombre che richiedono attenzione.

Questo articolo é pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Vecchia o young old ?

Pubblico volentieri questo articolo scritto da Silvia Ghidinelli, della serie “Appassire con stile”:    “Si chiama Vittoria. E’ un’amica di mia zia, ha settantacinque anni, è vispa e in gamba, ha superato un cancro anni fa, ha curato il marito e l’ha accudito fino alla sua morte. Si presenta vestita con cura, con orecchini pendenti sempre diversi, sbandiera una bella chioma bianca con un taglio impeccabile. E’ un’insegnante in pensione, ha delle figlie, un giovanissimo nipote, è una grande lettrice.

Parliamo dei nuovi senior, gli ever green di ora, quando la vedo inalberarsi: – A me non chiamatemi senior o della terza età, per carità…. Sono vecchia, chiamatemi vecchia. Non ho paura! Sono fiera di essere vecchia!- esclama con enfasi.

-Ma perché Vittoria? I vecchi di oggi sono diversi da quelli della generazione passata. Sono più vispi, più in gamba, hanno un’alta aspettativa di vita. Hanno a disposizione più cure, medicine, nuovi interventi chirurgici. C’è più cultura e perciò più cura di sé: per la propria alimentazione, per tenere in forma il proprio fisico e la propria mente. Non è giusto chiamarli vecchi, come un tempo. C’è bisogno di termini nuovi per identificare questi nuovi personaggi. Infatti la stampa ha coniato nuovi termini : li chiama young old ( giovani vecchi), senior, della terza età…e usano anche molti altri termini… – sostengo io convinta.

Ma non c’è niente da fare…non riesco a convincerla. Dice che bisogna dire pane al pane e vino al vino e che lei è vecchia e che al giorno d’oggi nessuno più vuole essere vecchio, mentre lei ne è orgogliosa.

L’incontro mi lascia pensierosa. Ritrovo, nei meandri della mia mente il mio filosofo/psicologo preferito: James Hillman, grande studioso della vecchiaia come momento di vita in sé, liberato dalla morte: il diventar vecchi come scoperta di un valore, dato alla natura umana e a tutte le cose esistenti.

E allora pensiamo a vecchi libri, vecchi manoscritti, vecchi giardini…che sono resi preziosi dalla qualifica di “ vecchio”.

Gli Inglesi usano il temine old, (vecchio) molto più di noi. Anche solo per chiedere l’età a qualcuno sia esso bambino, ragazzo, trentenne, anziano usano la nota frase:- How old are you? ( Quanto vecchio sei?)

E ci si può sentir rispondere:- I am seven years old. ( Sono vecchio di sette anni ). Pensate! Quindi, a qualsiasi età, senza timore, gli Inglesi si qualificano con la “vecchiezza”.

E che dire della mia vecchia poltrona, dove il termine vecchia sta ad indicare la mia affezione…il fatto che era appartenuta a mia madre, ad esempio. Ma, ancora, le cose vecchie hanno una patina, un fascino, una storia; hanno carattere. Un vecchio castello ha più storia, più fascino, più cose da dire di un nuovo edificio, ad esempio.

Sono certa che è in questo senso che Vittoria intende la parola VECCHIA. Sono vecchia, sono preziosa, sono qualcosa da tener caro, ho una storia. E ho anche carattere, perché posso permettermi di chiamarmi vecchia senza sentirmi sminuita.

Come vorrebbe invece il linguaggio corrente, che conosciamo bene, e che usa il termine vecchio per togliere valore, squalificare, sminuire. Forse spetta anche a noi dare nuove valenze ai vecchi termini?”

Questo articolo é stato pubblicato anche su Osservatorio Senior.

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La cura di sé: buone pratiche

Ricevo da Silvia Ghidinelli e volentieri pubblico: “Ho raccolto alcune testimonianze, intervistando senior nell’Università della terza età della mia città, sul tema della cura di sé.     Che cosa è utile fare da parte di noi senior?

Innanzitutto si ha più tempo a disposizione, perciò si può lasciare la macchina e spostarsi di più a piedi per andare in centro o a fare commissioni; fare delle camminate o continuare a fare gli sport a cui siamo abituati, senza esagerare negli sforzi…

Si ha più tempo a disposizione e perciò sarebbe più facile la cura della propria persona, ma è bene prendere coscienza che spesso ci invade una certa pigrizia, che sopravviene perché c’è meno il confronto con gli altri nell’ambiente di lavoro, meno lo stimolo a vestirsi e a truccarsi, sollecitato anche dall’incontro con i colleghi più giovani. Allora che fare?

Andare regolarmente dal parrucchiere per la tinta o per un buon taglio, se si è deciso di essere delle “pantere grigie”, cioè di sbandierare con grinta la propria chioma naturale. Il parrucchiere di fiducia è un luogo dove si incontrano persone varie, si ha a che fare con professionisti che non ci fanno sentire fuori dal mondo, si sfogliano giornali di moda e di mondo….

Vestirsi senza spendere una fortuna… C’è più tempo per cercare tra i saldi qualche capo insolito, qualche colore allegro…Di certo noi senior privilegiamo il capo “caldo”, pratico, le scarpe comode, ma attenzione che la praticità non sia a scapito della bellezza e della gradevolezza. Da giovani si deve piacere, ma da senior non si deve dispiacere…- diceva una mia cara zia.

Hillman, uno psicologo e filosofo che si è occupato della Terza età, ci esorta a curare il nostro gusto estetico . “Il compito della terza età è l’esercizio del gusto, perché troppo spesso si evidenzia un declino estetico: ci si veste come capita, con volgarità nella scelta dei colori, sensibilità rozza. Il declino verso un’estetica da centro commerciale e da fast food non è dovuto del tutto alla depressione economica o psicologica, né ai farmaci con i quali ci instupidiamo. La mancanza di gusto deriva anche dal fatto di trascurare l’anima più profonda, la quale, al di là della gratificazione fisica, ha bisogni estetici. Senza immagini e sensazioni di bellezza, l’anima appassisce.”

Ecco allora, come ha proposto una delle mie intervistate, che è bene, fin dal mattino, lavarsi, vestirsi, truccarsi pettinarsi e mettersi persino gli orecchini, in modo da essere presentabili sia se qualcuno passa a casa a trovarci, sia se decidiamo improvvisamente di uscire. Da bandire invece, l’uso della tuta in casa, che contribuisce a renderci sciatti e pigri….

Ma, naturalmente, la cura di sé diventa anche cura e attenzione al proprio lato spirituale, per lasciarsi invadere dalla bellezza dell’arte, della musica, della poesia. Abbiamo più tempo a disposizione, per andare a concerti o a visitare chiese, musei, mostre, o, finalmente, mostrare attenzione ai palazzi, architetture, piazze, portali: l’arte gratuita a kilometro zero.

E’ anche l’occasione per riscoprire o scoprire i propri talenti: le abilità culinarie, di cucito, ricamo, pittura, strumento musicale, scrittura….che mettono in gioco il bello: belle immagini e realizzazioni armoniose.

Ecco un haiku scritto dal poeta Seiju a settantacique anni:

Nemmeno per un attimo

le cose sono ferme – guarda

i colori degli alberi.”

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Invecchiare bene, invecchiare male

Ti accorgi del tempo che passa quando incontri un amico o un conoscente che non vedevi da qualche anno e immediatamente ti accorgi che ha qualche ruga in più, uno sguardo e un portamento un po’ diversi, un colore diverso dei capelli.

In quel momento, come se ti riflettessi in uno specchio, capisci che anche nel tuo aspetto estetico necessariamente deve essere cambiato qualcosa, a cui avevi fatto poco caso perché con la tua immagine fai i conti tutti i giorni e le trasformazioni fisiche sono quasi sempre molto graduali.

L’atteggiamento di fronte ai cambiamenti del proprio aspetto fisico è il primo segnale di come ci si pone di fronte all’invecchiamento: c’è chi lo accetta, con un po’ di sorpresa e magari cercando di rallentare con qualche artificio estetico le manifestazioni meno simpatiche, però fondamentalmente considerandolo come la naturale evoluzione del proprio corpo e in generale della vita; c’è chi invece lo rifiuta, reputandolo un brutto scherzo del destino o un attentato alla propria identità, e talvolta infilandosi su un sentiero di interventi estetici ringiovanenti quasi mai di piacevole riuscita.

Ma è anche su altri fronti, non solo su quello del’aspetto fisico e dell’estetica, che vedi le differenze tra chi invecchia bene e chi invecchia male.  Ad esempio, un altro segnale evidente è dato dalla direzione verso la quale sono orientati i pensieri: verso il passato oppure verso il presente e il futuro. Quando un sessantenne concentra i propri pensieri sui ricordi del passato, trascorre la giornata con l’occhio incollato allo specchietto retrovisore e non riesce ad evitare a ogni pie’ sospinto di far confronti tra l’oggi (che risulta sempre perdente) e l’ieri (che risulta sempre migliore), allora si può dar per certo che in questo caso i decenni dell’invecchiamento non saranno una passeggiata piacevole. Diverso sarà per il coetaneo che, pur facendo i conti con i crescenti limiti che derivano dall’età, riesce ancora ad immergersi con tutte le proprie energie e passioni nelle vicende della vita quotidiana e trova la motivazione per pensare a progetti futuri.

Infine, se è vero – come dicono tanti esperti – che la riscoperta della “socialità non strumentale” è una delle opportunità che si hanno quando si entra nella fase di vita da senior, una differenza tra chi invecchia bene e chi invecchia male passa sicuramente anche tra chi sfrutta questa opportunità ampliando le occasioni di incontro con le altre persone e chi al contrario si rifugia nella propria solitudine senza cercare di uscirne.

Insomma, allungandosi il tempo della vita attiva anche dopo il culmine della maturità adulta, dovremmo tutti imparare come invecchiare bene. Accettare l’evoluzione del nostro corpo, riuscire a vivere appieno il presente, riuscire ad immaginarsi il futuro e coltivare la socialità sono i primi passi.

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Nasce Osservatorio Senior

Care amiche e cari amici de I ragazzi di sessant’anni,

vi comunico una novità che mi riguarda e che credo interesserà chi segue questo blog: nasce Osservatorio Senior, una nuova associazione e un nuovo sito da me promossi, che muove idealmente dall’esperienza de I ragazzi di sessant’anni.  Ne potete leggere anche su facebook e su twitter

Per una volta, non pubblico storie di altri, ma racconto la mia. Dopo qualche anno dedicato ad occuparmi delle problematiche dei senior attraverso ricerche, interviste, raccolta di storie e gestione di questo blog, mi sono convinto che l’esigenza di un’informazione qualificata sul pianeta senior è non solo sempre viva, ma sentita in modo crescente dai diretti protagonisti (noi senior) e da tutti coloro che si sono accorti delle incredibili novità che oggi accompagnano questa nuova fase di vita.

Negli ultimi anni e mesi si sono moltiplicate le iniziative che si occupano delle persone in questa fascia di età: associazioni dedicate, centri di ricerca, indagini, giornali on line, centri educativi a partire dalle università della terza età.  Avverto forte l’esigenza di creare un luogo dove sia possibile mettere in comune i tanti contributi che vengono proposti. Il riuscire a creare un punto d’incontro in questa rete è tra le ragioni che mi hanno portato ad immaginare Osservatorio Senior.

osservatorio-senior-avatar-550x500 copiaCosì, dopo aver costituito l’Associazione senza scopo di lucro Osservatorio Senior, con altre persone che si sono già occupate a vario titolo del mondo senior – demografi, psicologi, medici, sociologi, consulenti, giornalisti, comunicatori – abbiamo ideato il sito www.osservatoriosenior.it, che a partire da questa settimana è on line. Chi avrà voglia di visitarlo potrà trovare dettagli sugli argomenti trattati, sulle rubriche accolte, sulle associazioni con cui l’Osservatorio é in rete. Chi avrà la bontà di frequentarlo e la voglia di partecipare potrà comunicare le proprie storie da senior e lasciare i propri commenti e contributi.

I ragazzi di sessant’anni non interromperà le trasmissioni, ma lavorerà a stretto contatto con Osservatorio Senior. Ad esempio, le vostre storie inviate a questo blog verranno pubblicate su due canali: questo blog e il nuovo sito.  Fiducioso che non farete mancare il sostegno alla nuova iniziativa, ne approfitto per ringraziare le tante persone (oltre 53.000 utenti secondo il linguaggio google) che hanno frequentato il blog da quando è nato.   Enrico

In alto: una bella foto di Armando Lanotte

 

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Realtà in cambiamento

Dei cambiamenti per un po’ se ne parla, qualcuno li teme, qualcuno li auspica, e però spesso succede che per un lungo periodo se si guarda alla realtà di novità se ne vedono poche e i cambiamenti rimangono solo un’ipotesi. Poi ad un certo punto, quando quasi tutti hanno cominciato a non crederci più o comunque sono esausti di chiacchiere, ecco che i numeri entrano prepotenti in campo ed improvvisamente ti dimostrano che sì…. eppur si muove! E’ quel che sta succedendo nel mondo del lavoro e delle organizzazioni. Da tre anni almeno in Italia si racconta che l’universo del lavoro avrebbe dovuto fare i conti con l’invecchiamento e con l’allungamento dell’età della pensione, ma è stato assai difficile in questo periodo riconoscere pratiche diverse nel modo in cui le organizzazioni hanno gestito la variabile dell’età, sotto il profilo delle condizioni di lavoro, degli orari, dei tempi di carriera, o anche del rapporto tra le generazioni degli over55 iper-esperti e quella dei 25enni per lo più stagisti. La ribalta, se mai questo cambiamento voleva essere tenuto in considerazione, è stata presa dal problema degli esodati, che – per quanto delicato e importante – era sempre un modo di affrontare il problema senza domandarsi cosa sarebbe dovuto cambiare in futuro. Negli ultimi tempi invece è apparso qualche numero che sta rendendo obbligatorio interrogarsi su questo aspetto. E se non bastassero i numeri italiani ci penseranno quelli di altri a farci capire che ora qualcosa deve cambiare per forza.

Ad esempio, in Italia il tasso di inattività delle persone tra i 55 e i 64 anni, che era intorno al 62% ancora nel 2010, nella seconda parte del 2014 si è posizionato tra il 50 e il 51% e il trend non può che continuare nella stessa direzione. Al di là dell’evidente impatto di questo dato sul modo di gestire le organizzazioni, questo tra l’altro vuol anche dire che l’esperienza di vita di una gran numero di cinquanta – sessantenni di oggi è profondamente diversa da quella fatta dalla larga maggioranza dei loro fratelli di soli cinque o dieci anni più anziani.

In Germania, dove pure hanno previsto la possibilità di smettere di lavorare a 63 anni, già da un po’ i tedeschi over 60 che lavorano sono numerosi. Nel loro caso, una metà circa delle persone tra i 60 e i 64 anni risultano ancora in servizio attivo, mentre nel 2005 erano poco più di uno su quattro.

E vale la pena ricordare anche una notizia che si legge in questi giorni: e cioé l’accordo della Toyota con i sindacati, che prevede anche la riassunzione su base volontaria di pensionati over60 particolarmente qualificati, in grado di trasmettere know-how e conoscenze ai nuovi arrivati.  Un sintomo di come cambiamenti della realtà impongono anche cambiamenti nei modi di gestire il mondo del lavoro.  E’ il momento dei cambiamenti, non più delle chiacchiere.

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