Le Vostre Storie

Ci sarò anch’io

Scrive Paty: Tra poco ci sarò anch’io, lascerò dopo ben 43 anni la mia amata scuola e a 63 anni d’età sarò … a casa. La novità mi fa paura e mi solletica la mente, potrò dedicarmi di più ai nipotini, avrò più tempo per il mio “cucito creativo” da postare sul mio blog, girerò per la mia città, Milano, e dedicherò più attenzioni al marito e … ai mici di casa.
Ma mi mancheranno tanto le colleghe-amiche, i ragazzi che mi fanno disperare e i problemi lavorativi. Ecco cosa mi mancherà soprattutto, il contatto con gli altri, l’amicizia, lo scambio di idee. Come potrò “ripristinare” tutto questo? Dove potrò trovare altre amiche? Mah, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, ma ogni tanto l’acqua evapora….
Grazie. Paty

 

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Nessun frutto

Scrive Marina: Mi presento: sono una donna di 62 anni, divorziata da molto tempo (non per mia scelta, esperienza per me drammatica), senza figli, senza famiglia, senza amici: quella che viene definita “una solitudine forzata”.

Il rapporto con una sorta di compagno annoso che ho, con il quale non vivo, si è trasformato in un mutuo soccorso, e forse un affetto a cui aggrapparsi per illudersi di non essere così soli. L’ho amato, ma ora non mi e gli chiedo più niente.
Oggi credo che potrebbe essere stato l’ultimo vampiro da cui diversi anni fa mi sono lasciata irretire. Gli voglio bene, ma tutto è offuscato da tanti problemi – di salute soprattutto suoi ed altri di entrambi – che ci siamo ritrovati a dover risolvere. Sempre più spesso mi sembra un altro lavoro: si parla solo di adempimenti, di doveri. Io non so più cosa mi piace, non me lo chiedo più. Avrà avuto il suo peso anche il fatto di aver seguito mia madre invalida per molti anni (cosa che rifarei mille volte). Comunque, doveri, doveri, sempre e solo doveri. I pochi momenti piacevoli stento a ricordarmeli.

Sicuramente ho fatto i miei errori relazionali, ma francamente, ripercorrendo le scelte – giuste o sbagliate – fatte nel tempo della mia vita e mettendo a fuoco i contesti in cui – vuoi con piena consapevolezza, vuoi d’istinto, le ho comunque ho fatte – e, avendo ben chiaro come ero nelle varie età, ho realizzato che non avrei mai potutto agire diversamente. Non ha senso dirsi “ah, se tornasssi indietro lo farei o non lo farei”. Bisogna capire se noi (non un altro diverso da noi) avremmo davvero potuto e/o essere davvero capaci di agire in modo diverso. Ebbene la mia risposta è no. Per cui bisogna accettarsi ed accettare come sono andate le cose.

Premesso questo, resta il fatto che oggi sono davvero troppo sola. Senza famiglia e senza amici.
Ho realizzato di essere stata vittima di affetti vampiri, quindi improntati all’egoismo e al sadismo, di essere di conseguenza cresciuta all’insegna del masochismo e, quando ne ho preso coscienza, ho fatto piazza pulita e mi sono ritrovata sola. E, nonostante questo, lo rifarei.

Però sono arrabbiata con la vita che mi ha fatto nascere da due pur amati genitori immaturi che mi hanno fatto scontare tutti i loro problemi senza pietà sin da piccola, instillandomi gocce quotidiane di sensi di colpa e di masochismo che devono aver inficiato tutte le mie “scelte” relazionali, vuoi d’amore che di amicizia.

Rinascere dalle propire ceneri come l’Araba Fenice a questa età è un’impresa davvero titanica. Bisogna essere realisti: è un’età la mia – avanzata, con tutti i pregiudizi e gli impedimenti che tale stato comporta – in cui lo spazio del futuro è angusto, già tutto invaso dal passato.

Ancora lavoro ed anche in questo contesto, da masochista feroce sono stata una lavoratrice indefessa, senza orari, senza limiti: una dedizione totale. Ora mi sono un pò ridimensionata, ma è un pò tardi anche per questo cambiamento, oltretutto parecchio osteggiato dopo l’imprinting proiettato all’esterno, ben definito da decenni.

Ed anche questo lavoro vampiro dal quale mi sono lasciata divorare mi ha di fatto impedito di capire quale vita relazionale (in senso lato) fosse più auspicabile non solo per me, ma per qualsiasi individuo quale ero e sono.

I vampiri hanno fiuto per individuare le loro vittime inconsapevoli che si ritrovano sempre nel solito girone infernale, convinte che sia un contesto vitale normale nel quale non si sanno orientare, colpevolizzandosi. Invece dovrebbero capire che non è il loro contesto di vita, che andrebbe ricercato altrove. Ma, per capire dove, bosognerebbe acquisirne consapevolezza in tempo utile di quel che ci si sa lasciando vivere passivamente: scelte altrui spacciate per nostre.

E così, quando – un pò tardi… – cominci a far luce su tutto questo, piano piano, fai strike di tutto e ti ritrovi sola, sola davvero.

Ho la netta percezione di una vita sbagliata, una vita non scelta, di essere sempre stata e di continuare ad essere sbagliata, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.

La mia vita è stata, questa è l’età in cui bisognerebbe raccoglierne i frutti e non ritrovarsi a seminare: e che potrebbe nascere ora, fuori età, fuori tempo? E il terreno davanti a me non lo vedo fertile, ma piuttosto una landa desolata, arida, che non mi è consentito aggirare, ma viene ignorata ed evitata da tutti nella più totale indifferenza.

Forse la verità è dolorosamente una soltanto: non sono stata in grado di coltivare il mio terreno vitale e ne sto pagando lo scotto……

 

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Aiuto ho sessant’anni e tra poco vado in pensione

Scrive Alfonsa: “Ho sessant’anni tra qualche mese andrò in pensione. Io abito a Milano e mio figlio vuole che mi avvicini a lui in modo da aiutarlo in caso di prole. Troppi cambiamenti mi stanno mandando in ansia.”

Scrive Enrico: Meglio prevedere gli anni dell’invecchiamento avvicinandosi ai figli o mantenendo le rispettive abitazioni alla distanza di sempre ? Guardare alla pensione come ad un’opportunità per progettare un futuro interessante o come a una fase della vita in cui prevalgono le incognite e quindi le ansie ?   Prendo spunto dal messaggio inviato da Alfonsa  per riflettere su questi interrogativi.  Mi sembra che il punto chiave sia come viviamo il cambiamento. Se lo viviamo come una condizione imposta dalle circostanze o da altri, corriamo il rischio di vedere solo i lati negativi, se invece all’occasione di cambiare (come quando inizia la pensione) associamo dei nostri desideri e dei nostri progetti, una nostra volontà, allora il futuro possiamo affrontarlo sapendo che esistono sì delle incognite, ma che l’esplorazione di un mondo sconosciuto può portare anche delle cose buone.   I figli ci vogliono vicini a loro perchè hanno bisogno di nonni tuttofare ? Se coincide con un nostro desiderio prioritario di fare i nonni o di dare una mano ai figli, perché no ? Se però dove abitiamo adesso stiamo bene e non ci va di cambiare casa, ci si può sempre organizzare per fare i nonni part time concordando ore e periodi. L’importante é fare delle scelte e non sentirsi obbligati. Provare a progettare il proprio futuro anche a sessant’anni è il segreto !


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Sessantacinque anni e non sentirli

Scrive Renato: Non sono di quelli che pensano che la vita cambi, in peggio o in meglio, oltre i sessant’anni o i sessantacinque, come nel mio caso. Non penso che oltre i sessant’anni si debba cambiare qualcosa della propria vita e in questo senso non sono d’accordo con l’approccio al problema dell’autore del blog, ancorché mio vecchio collega e amico.
Penso invece che il cambiamento stia proprio nel pensare che non si debba cambiare, casomai aggiungere, proprio perché l’età ci dà opportunità che quelli più giovani di noi non hanno: oggi ho una visione d’assieme dei problemi del mio lavoro che vent’anni fa non avevo e un’esperienza che mi consente di scrivere un rapporto in metà del tempo di allora. Certo, occorre mantenersi curiosi ma io, come direbbe Toto’, “lo nacqui”. E qui sta il punto: fare “patrimonio” della parte migliore della nostra natura e non fermarsi mai, andare avanti, verso la prossima sfida, verso la prossima cosa nuova da scoprire, a 20 anni, come a 40, come a 60: ma questo non richiede “cambiamenti”, richiede semmai fedeltà a se’ stessi. Questo semmai è l’unico “elisir di lunga vita” (intellettuale) che nella mia esperienza funziona. Insieme con l’aver sempre nella mente il verso dantesco: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute et conoscenza”. Che non a caso unisce indissolubilmente la nostra stessa NATURA di uomini alla conoscenza e alla curiosità: mai “condanna” fu più dolce e bella da portare, tanto da sfidare anche la paura della morte.
Qualcuno dirà “ma non hai raccontato la tua storia”. E’ vero, ma questa è la “metastoria”, quella da cui nasce la storia reale che, se interessa a qualcuno, posso raccontare. In un’altra puntata. Renato il Filosofo

Caro Renato, questo articolo pubblicato da  The Economist ti piacerà.

 

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Che strano!

Scrive Maretta: Storia classica, io 63 anni lui 66 se ne va con una straniera di 30 anni più giovane. 40 anni di matrimonio e mai una lite. Anzi risate e solidarietà. Poi ho capito, che strano. Ero solo io l’allegra e la solidale, quella che si faceva il mazzo al lavoro. che strano: mi si sono spalancati gli occhi dopo 40 anni! Ho vissuto con un ufo e mio figlio l’aveva capito da 20 anni, ora ne ha trentatré. Cari ragazzi di sessant’anni, ho vissuto in un mondo mio e non ho nemmeno sofferto alla scoperta di un’altra realtà come stupefatta di avere visto per la prima volta la luce. Uno squarcio nel sipario. Sono arrabbiata con me per avere sprecato parte della mia vita ma non per quello che questo matrimonio mi ha dato: un meraviglioso figlio che lui ha perso e mai capirà. Ciao al mondo nuovo.

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La lentezza

Scrive Peppe: Credo che ora la vita è un po’ un’altra storia. E ognuno di noi ha un po’ paura. Ognuno di noi è impegnato ogni giorno a reinventarsi, ricominciare a raccontare e raccontarsi, a sentire un altro odore, a sentire altre prediche, a vedere altre lacrime, a stringere altre mani, a vedere altri occhi, beh, non è semplice. Al di là di ogni possibile ragionevolezza, io ho scoperto il gusto della lentezza, dell’importanza da dare al tempo, alle persone, alle cose. Quando le passioni col tempo cambiano colore, nel cuore già si preparano nuovi luoghi da condividere ed una mappa di spazi comuni che vanno dal libro da leggere insieme, alla vista di una mostra di Caravaggio o del Botticelli ove trovare le piccole poesie di carta straccia trascinate dal tempo. La polvere, i passi veloci, gli affanni, gli stupori dei giorni di lavoro, li guardi con un sorriso ma da lontano, con simpatia ma senza nostalgia. Ed in quell’ esserci, in quella consapevole serenità, sentire un senso di pudore nel credersi ancora salvi, di fronte ai frammenti della vita. L’amore per mia moglie ha un corpo preciso, una sbadataggine particolare, un odore, una voce, un cappello, un caminetto acceso ed un libro aperto sul comodino, una formula di saluto, una calligrafia tremenda, un passo cigolante. Sono sicuro che se per questo tentativo di vera vita abbiamo fatto di tutto ed abbiamo visto possibile un percorso ancora lungo, allora, vestiamoci con i fiori e lasciamo che siano altri a sedersi su una panchina a lamentarsi dei dolori alle ossa, del tempo che passa, del tempo che rimane mentre ci si vergogna un po’ a credersi fin qui ancora salvi, di fronte ai frammenti della vita. Così mi capita di guardare le mani del futuro e scoprirle piene, e che la mano che cerca la tua è quella che volevi e che è li, pronta a stringerti ad ogni risveglio. Peccato che la vita non abbia una serratura dalla quale la si possa guardare di nascosto: forse si riuscirebbe a sentire il profumo della nostra voglia di farcela, sempre, oggi come a vent’anni. Un profumo ipnotico, indimenticabile, luminoso, per chi lo vuole. Mi auguro e auguro a tutti di ascoltare ancora una musica sublime fatta di emozioni, conoscenza, amore per il bello, entrarvi fin dentro le viscere e portarvi sempre in alto mare, anche se non sapete nuotare.
Per molti la tragedia vera forse non è andarsene, ma non esserci mai stati. Giuseppe De Biasi.

 

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Ricominciare

Scrive Viola: Ho 57 anni e abito a Roma. Io ci sono nata in questa meravigliosa città e qui ho passato la mia giovinezza, ho trovato un lavoro, che ancora ho, ho viaggiato, ma lontano dall’Italia sentivo una struggente nostalgia per la mia città. Avevo i miei amici, prima si faceva amicizia in una maniera diversa, ci si frequentava e ci si conosceva profondamente. E poi mi sono formata una famiglia. E’ stato un matrimonio infelice e dopo venti anni ho chiesto la separazione. Ma non è di questo che voglio parlare ma di una cosa diversa: a 50 anni mi sono ritrovata sola, con una vita da ricostruirmi da zero. Ed ho ritrovato la mia città e le persone cambiate in peggio; io, che uscivo per la prima volta dopo venti anni di madre di famiglia, vedevo tutti i punti di riferimento dei miei anni 80 spariti. Fare amicizie è una cosa spinosa, è tutto fatto di fretta e superficialmente, le persone non hanno voglia di sorridere e di ridere, si esce come automi senza una vera voglia di stare con gli altri. Io mi sono ritrovata in un ambiente che non riconosco più, e meno male che ho il mio lavoro, ma sono anche una persona socievole. Non mi lamento di nulla, ma mi sto accorgendo che alla mia età è tutto più difficile. Bisogna stare attenti a non essere fraintesi, è triste come dentro sono rimasta la ragazza di tanti anni fa, spontanea e allegra, e invece come bisogna essere disciplinati e un po’ trasparenti nella vita normale. Per la nostra età sembra che si sia fatto molto, ma effettivamente c’è il vuoto assoluto.

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Solitudine… perchè?

Scrive Alex: E’ vero che nasciamo e moriamo soli, nessuno può negarlo. Però è anche vero che siamo animali sociali, ognuno con le proprie necessità e i propri bisogni mentali e fisici: c’è chi non può stare solo perchè si sente perduto, incapace, senz’aria, insicuro, non sapendo gestire sè stesso nel quotidiano e non sa camminare da solo. C’è chi, invece, pur avendo una sana autonomia mentale e pratica che lo rende autonomo e indipendente in tutto (più o meno), trova nella solitudine l’impossibilità di condividere la gioia della vita. Ecco cosa manca davvero quando si è soli, la condivisione della vita, cioè la capacità di trasmettere ad un altro essere umano le emozioni per ciò che si vive. Credo che la cartina di tornasole per misurare il proprio “senso di egoismo” (che comunque tutti noi abbiamo), sia proprio focalizzare dentro noi stessi quanto bisogno abbiamo di condividere con gli altri ciò che abbiamo nell’anima.

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Come nuova!

Arriva la primavera e anch’io mi sento che rinasco. Dopo un anno tra ospedali, operazioni, medicine, riposi forzati a letto, dovrebbero avere dato una sistemata al mio fegato e alle mie ginocchia. E’ stata un’occasione per leggere tanto e per sentire l’affetto di chi mi è vicino, però non ne potevo più dei dolori né di questa vita menomata. La sensazione che provo in questi giorni di primo sole che anticipa la primavera è la stessa che mi ricordo avevo provato quando avevo dodici o tredici anni, la sensazione di essere vicinissima alla natura, quasi tutt’uno con il mondo che rinasce. Che bello avere ancora questa possibilità a 66 anni ! Finalmente mi posso muovere e ritornare alla mia vita normale. Dopo aver provato cosa vuol dire quando manca sarà ancora più bello ! Un saluto a tutti. Franca

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Incontro con ex alunni

Silvia Ghidinelli incontra i suoi ex alunni: si incrociano i ricordi

“Sono stata  insegnante elementare per 40 anni ed  ora sono in pensione da più di tre anni. Con mia grande sorpresa sono stata invitata ad una cena da alcuni alunni di una quinta del mio primo anno di ruolo, in una frazione vicina alla cittadina dove abito tuttora. Era il 1974… Alcuni dei 16 alunni che ho ritrovato oggi,  sono  ora dei simpatici cinquantenni , gente positiva e concreta: i ragazzi sono  rimasti in campagna, nelle loro cascine, ad allevare bestiame e a coltivare i campi in maniera moderna, ma mi dicono orgogliosi che  hanno  figli laureati. Le ragazze hanno un lavoro, dei figli per i quali auspicano una laurea, mentre una gestisce il ristorante dove ci siamo trovati. Mi hanno subito parlato con grande apertura e mi hanno dato notizia degli altri ragazzi che non erano lì.

Che cosa mi ha colpito? Certo, ritrovarli adulti, aperti, con un buon ricordo della scuola, ma soprattutto mi ha colpito la differenza dei nostri  rispettivi ricordi di quell’anno in quinta…. Loro ricordavano un cartellone da compilare giornalmente sulla pulizia personale e Loredana ricordava che non riusciva mai a fare la capoclasse perché aveva  costantemente una crocetta per le sue  unghie nere; ricordavano le liti tra loro  interpretando le classi ( Nobili, Clero, Terzo stato) dei tempi della Rivoluzione Francese; ricordavano che io, la maestra, piangevo quel giorno di maggio del 1974, commentando la strage di Piazza Loggia a Brescia; ricordavano il profumo di caffè nell’intervallo, perché, loro dicono, che io avevo apportato nella frazione l’uso di fare il caffè per gli insegnanti , nell’intervallo. Mentre Giangi mi ha svelato che era innamorato della maestra….

Io  ascoltavo sorpresa e non ricordavo nulla di tutto questo, ma ricordavo l’intervista  sull’Argentina ad un emigrato della frazione, che ritornava lì ogni tanto; ricordavo la visita del Direttore, allora d’obbligo nel primo anno di ruolo; ricordavo quei due ragazzini che arrivavano da lontano, a piedi, con qualunque tempo; ricordavo che ci trovavamo fuori orario, nei pomeriggi di giugno, a ripassare per l’esame che allora c’era, in quinta…

 Loro ricordavano poco di tutto questo, ed è stato questo confronto di ricordi, i miei da maestrina ed i loro, da undicenni, che mi hanno fatto guardare con ulteriore simpatia, affetto e rispetto a quei ragazzi di allora,  semplici ma non banali, sui quali le emozioni facevano una gran  presa, che sono diventati gli adulti empatici di oggi per i quali la cultura è rimasta importante.

GRAZIE RAGAZZI!

 

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