Le Vostre Storie

Ora ho deciso di lottare veramente

Scrive Piera: Sono Piera, abito a Roma, ho 56 anni. Ho un diploma di ragioniera ma non per mia scelta purtroppo, io avrei voluto fare ben altro a suo tempo. Avevo la passione per le scienze e la matematica e il sogno di diventare medico ma una mentalità retrograda, per il solo fatto di essere donna me lo ha impedito nonostante il mio cervello fosse stato giudicato in grado di farlo egregiamente. Per iniziare a lavorare mi sono trasferita in una grande città come Roma con tanti sogni da realizzare e tante speranze per il mio futuro. Ho conosciuto mio marito.Un ragazzo della mia stessa età e ci siamo innamorati. Ho messo da parte i miei sogni, ho iniziato a lavorare e dopo qualche anno ci siamo sposati. Sono nati due splendidi figli. Ma dentro di me era sempre forte il desiderio di fare qualche cosa in più’ così mi sono buttata nel campo della moda vista anche la mia passione per tutto ciò che e’ bello e ricercato. Così ho ripreso a studiare e ho conseguito un diploma di stilista di alta moda, purtroppo ero già’ troppo grande per questo settore e per inseguire i miei sogni mi sarei dovuta trasferire in una grande città’ del nord o magari all’estero ma avevo una famiglia e non potevo abbandonarla. Però nel frattempo lavoravo, studiavo e provvedevo a loro. Ho provato a realizzare questo mio sogno a Roma insieme a due colleghi stilisti ma ancora una volta è stato solo un sogno e niente più. Però la vita ad un certo punto mi ha aperto una nuova finestra e ho ripreso a studiare ma per conseguire l’abilitazione come consulente del lavoro e ci sono riuscita solo con le mie forze ed anche con ottimi voti. E’ stata per me una grande soddisfazione quasi una rivincita verso quella laurea in medicina che tanto sognavo. Mi sentivo forte e sicura che questa volta avrei tirato fuori il meglio di me….ma ahime’ cosi’ non è stato nonostante ci abbia messo il cuore ma forse per quel tipo di mestiere non ci vuole cuore ma solo ed esclusivamente cervello ed io sono per entrambe le cose e così ancora una volta è andato tutto a farsi benedire. Poi però la vita ti chiude anche tutte le finestre. Quando pensi che in fondo tutto procede per il meglio anche se i sogni sono in un cassetto ti trovi a lottare con la malattia, di mio marito, anni di sofferenze e tantissimi problemi. Ti senti sola ma lotti con tutte le tue forze, ne vieni fuori, mio marito guarisce e riprende la sua vita ma con uno spirito diverso, sempre più’ egoista ed egocentrico ed ora sono io che lotto con il male, il male fisico e quello dell’anima. Il corpo si indebolisce, non ho la forza fisica e la mente e lo spirito vanno di pari passo……..lascio quello straccio di lavoro che mi è rimasto perché non ho più la forza di farlo, non mi dà più niente , mi sento sopraffatta. Ormai sono circa due anni, sono ancora malata fisicamente ma piano piano guarirò’. Ho capito che per guarire il corpo ho bisogno prima di guarire lo spirito e la mente ed e’ ciò che farò… non posso abbandonare i miei sogni perché loro sono la mia speranza e saranno la mia salvezza… ora voglio diventare naturopata e mi iscriverò ad una scuola, ora lo faccio solo per me, per guarire il mio corpo, la mia mente ed il mio spirito perché ho deciso di volermi bene.

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Fatti ed Opinioni

La cura di sé: buone pratiche

Ricevo da Silvia Ghidinelli e volentieri pubblico: “Ho raccolto alcune testimonianze, intervistando senior nell’Università della terza età della mia città, sul tema della cura di sé.     Che cosa è utile fare da parte di noi senior?

Innanzitutto si ha più tempo a disposizione, perciò si può lasciare la macchina e spostarsi di più a piedi per andare in centro o a fare commissioni; fare delle camminate o continuare a fare gli sport a cui siamo abituati, senza esagerare negli sforzi…

Si ha più tempo a disposizione e perciò sarebbe più facile la cura della propria persona, ma è bene prendere coscienza che spesso ci invade una certa pigrizia, che sopravviene perché c’è meno il confronto con gli altri nell’ambiente di lavoro, meno lo stimolo a vestirsi e a truccarsi, sollecitato anche dall’incontro con i colleghi più giovani. Allora che fare?

Andare regolarmente dal parrucchiere per la tinta o per un buon taglio, se si è deciso di essere delle “pantere grigie”, cioè di sbandierare con grinta la propria chioma naturale. Il parrucchiere di fiducia è un luogo dove si incontrano persone varie, si ha a che fare con professionisti che non ci fanno sentire fuori dal mondo, si sfogliano giornali di moda e di mondo….

Vestirsi senza spendere una fortuna… C’è più tempo per cercare tra i saldi qualche capo insolito, qualche colore allegro…Di certo noi senior privilegiamo il capo “caldo”, pratico, le scarpe comode, ma attenzione che la praticità non sia a scapito della bellezza e della gradevolezza. Da giovani si deve piacere, ma da senior non si deve dispiacere…- diceva una mia cara zia.

Hillman, uno psicologo e filosofo che si è occupato della Terza età, ci esorta a curare il nostro gusto estetico . “Il compito della terza età è l’esercizio del gusto, perché troppo spesso si evidenzia un declino estetico: ci si veste come capita, con volgarità nella scelta dei colori, sensibilità rozza. Il declino verso un’estetica da centro commerciale e da fast food non è dovuto del tutto alla depressione economica o psicologica, né ai farmaci con i quali ci instupidiamo. La mancanza di gusto deriva anche dal fatto di trascurare l’anima più profonda, la quale, al di là della gratificazione fisica, ha bisogni estetici. Senza immagini e sensazioni di bellezza, l’anima appassisce.”

Ecco allora, come ha proposto una delle mie intervistate, che è bene, fin dal mattino, lavarsi, vestirsi, truccarsi pettinarsi e mettersi persino gli orecchini, in modo da essere presentabili sia se qualcuno passa a casa a trovarci, sia se decidiamo improvvisamente di uscire. Da bandire invece, l’uso della tuta in casa, che contribuisce a renderci sciatti e pigri….

Ma, naturalmente, la cura di sé diventa anche cura e attenzione al proprio lato spirituale, per lasciarsi invadere dalla bellezza dell’arte, della musica, della poesia. Abbiamo più tempo a disposizione, per andare a concerti o a visitare chiese, musei, mostre, o, finalmente, mostrare attenzione ai palazzi, architetture, piazze, portali: l’arte gratuita a kilometro zero.

E’ anche l’occasione per riscoprire o scoprire i propri talenti: le abilità culinarie, di cucito, ricamo, pittura, strumento musicale, scrittura….che mettono in gioco il bello: belle immagini e realizzazioni armoniose.

Ecco un haiku scritto dal poeta Seiju a settantacique anni:

Nemmeno per un attimo

le cose sono ferme – guarda

i colori degli alberi.”

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Le Vostre Storie

Mi sento un equilibrista

Scrive Bruno: Mi sento come un equilibrista sul filo. Mi rendo conto che sta per finire tutto quello che è stato la mia vita passata (però ci sono ancora dentro) e che sta per iniziare un mondo nuovo (però ancora non so cos’è e se mi piacerà). Moglie, lavoro, città, tutto è in bilico e in cambiamento.
Con mia moglie ci stiamo lasciando. Dopo trent’anni di matrimonio, gli ultimi anni tra noi sono stati veramente difficili, lei ha incontrato un nuovo compagno e anch’io ho una nuova compagna, di qualche anno più giovane (io ho appena compiuto i fatidici sessanta, lei ne ha 53). Ci sono momenti di grande delusione per la fine del mio matrimonio ma anche tante energie perché mi sono nuovamente innamorato e questo mi fa sentire come rinato.
Insieme a questo è successo che in azienda mi hanno fatto fuori. Quando a un dirigente gli tolgono la sedia, le responsabilità, le persone e lo lasciano a marcire nel suo ufficio, non ci vuole un genio per capire che ti hanno fatto fuori, che non ti vogliono più, che devi andartene. Alla mia età è inutile cercare di recuperare le posizioni e sperare che il vento torni a tuo favore. L’unica cosa che hai da fare è cercare di proteggerti il più possibile, contratto alla mano. Comunque la trafila la conosco, ho già visto anche con altri cosa succede: devi star lì ancora per un po’ e poi esci e ti porti a casa una buonuscita. Quanto durerà questo però non lo so, lo stress è tanto e non mi sento né dentro né fuori. Io adesso vivo in Veneto e la mia nuova compagna è di Roma, quindi sto cominciando a capire se a Roma potrei viverci e starci bene: anche questo è un mistero. Mi sa che di misteri ne ho un po’ troppi…

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Le Vostre Storie

Voglio la macchina del tempo

Da parte di Maria: Da giovane ho avuto dei sogni che si sono infranti quando mi sono accorta che le paure erano più forti dei desideri. Ho accettato il primo impiego che sono riuscita a trovare: nella pubblica amministrazione. Non avevo ancora 22 anni e avevo già rinunciato alla realizzazione di me stessa. L’ipocondria non mi dava tregua, la volontà latitava, i rapporti con gli altri erano superficiali. In sostanza non vivevo. A 24 anni mi sono laureata. Ho fatto carriera. Ho “bluffato” di continuo, non sul piano della competenza che mi è stata sempre riconosciuta, ma della capacità di essere leader di cui difettavo completamente. Intanto mi facevo elettrocardiogrammi. Ancora peggio andavano le cose sul piano sentimentale. Baciavo rospi che non si trasformavano, ma se avessi incontrato il principe non mi avrebbe voluto! Passavo da una storia all’altra senza partecipazione. Al massimo un anno e scappavo o mi facevo lasciare. I soli piaceri erano i viaggi, il cinema, l’arte, la lettura. A più di 40 anni mi sono innamorata del computer e soprattutto di internet. Ho creato diversi blog. Ne ho ancora due. Poi sono diventata dipendente di Facebook e Twitter. Ho interrotto l’ultimo rapporto “parasentimentale”, 4 anni fa, cambiando il mio stato su Facebook. Da allora sono fidanzata con il mio gatto che peraltro è un lascito del mio ex, insieme a una pianta di more. In quello stesso anno mi hanno demansionato sul lavoro. Sono ancora in causa. Finalmente a gennaio, a 61 anni e 7 mesi, sono andata in pensione. Pensavo che sarei stata meglio, che avrei avuto tanto tempo per dedicarmi ai miei interessi, per rilassarmi, per viaggiare, per scrivere. Invece il corpo manda segnali preoccupanti, devo badare a mia madre centenaria, ho un trasloco in corso che mi sta succhiando le ultime energie. E poi l’angoscia per il tempo buttato, per la vita buttata, mi opprime. Non dormo la notte pensando alla vecchiaia. Voglio la macchina del tempo! O un portale per passare in un universo parallelo.  Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior.

Le Vostre Storie

Se piangi, se ridi…

Scrive Antonio: Se piangi, se ridi…. comincio con il titolo di una canzone cantata qualche sera fa da Boby Solo nella trasmissione di Vespa che lo festeggiava per il suo compleanno. Titolo in sintonia con l’altalenante successione della nostra vita, tra successi e fallimenti, vittorie e sconfitte, che hanno caratterizzato anche il nostro percorso lavorativo.
Tanti avvenimenti li ricordiamo perchè sono legati alle canzoni che hanno costituito la colonna sonora della nostra vita.
Ma non dobbiamo rimanere prigionieri dei nostri ricordi, se pur belli. Anche la vecchiaia è bella, peccato che duri poco. Essa va vissuta in maniera consapevole, vivace e partecipe. In qualche modo e nella giusta misura da protagonisti. Nessuna paura. Finalmente non abbiamo più nulla da perdere.
E se “saper invecchiare significa trovare un accordo decente tra il tuo volto da vecchio e il tuo cuore e cervello da giovane” bene, evitiamo di guardarci spesso allo specchio.  Questa storia è pubblicata anche su Osservatorio Senior

Le Vostre Storie

Una vita nel mondo

Scrive Daniela: Non ero ancora diciannovenne allorché, insoddisfatta delle prospettive che un’asfittica vita di provincia mi prospettava, decisi di volare in Gran Bretagna, allettata dalla fama che quel Paese emanava in termini di dinamicità d’attività lavorativa e senza badare ai possibili rischi di quella scelta.
La conoscenza dell’idioma locale costituì il primo dei problemi da affrontare, a cui si aggiunse il gran freddo del febbraio londinese.
Dopo un anno di soggiorno e di fatiche costrinsi il West London College a dotarmi del Proficiency Certificate, il diploma che attestava che avevo imparato l’inglese.
La conquista ottenuta mi consentì di iniziare una vera e propria attività lavorativa presso una multinazionale, una società alberghiera dove mi occupavo di prenotazioni in tutte le strutture estere periferiche.
Clima e complicazioni affettive mi indussero però a rientrare in Italia di lì a quattro anni; potendomi a questo punto ormai avvalere di una buona conoscenza della lingua inglese non ebbi difficoltà a trovare un’attività lavorativa in una società petrolchimica di primaria grandezza.
Dopo pochi anni di assestamento, mi affidarono un incarico che mi consentì di spaziare sugli ampi orizzonti dell’intero orbe terracqueo: così poterono apprezzare le mie qualità (e io apprezzai le loro) gli abitanti di più di 40 città: da Barcellona a Parigi, da Amsterdam a Copenaghen, da Zurigo a Bratislava, fino a luoghi più lontani come Istanbul, Il Cairo, Jaffa, Casablanca, New York, Tokyo, Seul e tante altre ancora… Lo so che è difficile credermi ma vi assicuro che è andata così. Del resto, che colpa potevo avere io se la Società mi costringeva a seguire i dirigenti ad ogni angolo del mondo ove si recavano a sottoscrivere contratti e/o monitorare i mercati?
Poi, si sa, ci si mettono gli affetti e i sentimenti… Persistenti, complicati e ondivaghi, mi indussero all’abbandono di quell’attività. Per poco però, giacché di lì ad un anno le solite turbolenze affettive mi indussero nuovamente a rimettermi in gioco, anche se ormai avevo ottenuto la pensione.
Per altri dieci anni ho continuato a lavorare in una grande società farmaceutica: diverse esperienze, diverso il linguaggio, diversi i soggetti, tutto però come sempre stimolante.
Tra sette giorni, dal momento in cui scrivo, avrà termine anche questa esperienza.
Sono certa però che non sia stata l’ultima… La vita continua…

La storia di Daniela é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

Le Vostre Storie

Il senso delle mie giornate

Sono andata in pensione quattro anni fa. Il mio lavoro è stato molto impegnativo, dal punto di vista sia fisico sia mentale. Lavoravo in una grande azienda e i problemi interni erano tantissimi e difficili. Nonostante questo non pensavo di lasciare un lavoro che comunque amavo, ma la malattia con la quale ho combattuto negli ultimi anni e le continue battaglie interne mi hanno convinta ad un certo punto che era meglio smettere.
La mia vita è stata un’altalena di alti e bassi, di difficoltà e avventure. Comunque credo di aver sempre trovato la forza per affrontarle e superarle. Dopo la laurea sono seguiti 6 anni di precariato (anche allora esisteva…), poi finalmente è arrivata l’assunzione. Ho svolto il mio lavoro con passione, amandolo in modo quasi viscerale, dedicando una grande quantità di tempo e sempre convinta che stavo facendo qualcosa di importante per me, ma anche utile per gli altri.
Una volta smesso, tutti – ed io per prima – pensavano che avrei sentito un enorme vuoto, anche perché sono single e quasi tutti pensano che da single è più difficile vivere gli anni della pensione. Non è così… ora sono felice di appartenere alla schiera dei pensionati. Adesso gestisco a piacimento il mio tempo libero. Mi piace molto leggere, anzi diciamo pure che divoro una grande quantità di libri. Cerco di tenermi aggiornata su qualsiasi argomento, dalle nuove scoperte scientifiche che mi hanno sempre incuriosito alle notizie di economia che, a differenza di quel che dicono le mie amiche, non mi annoiano per niente. Ma ho anche altri interessi, come andare a teatro e non conosco, quasi più, la parola stress. Frequento gli amici di sempre e le ex colleghe e ho fatto in modo che la malattia non tarpasse la mia voglia di fare ogni tanto qualche viaggio e di curare il mio aspetto. Di recente poi collaboro con un’organizzazione di volontariato per dare sostegno a ragazzi disagiati e questo sicuramente ha dato un senso forte alle mie giornate.       La storia di Erika é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

Fatti ed Opinioni

Invecchiare bene, invecchiare male

Ti accorgi del tempo che passa quando incontri un amico o un conoscente che non vedevi da qualche anno e immediatamente ti accorgi che ha qualche ruga in più, uno sguardo e un portamento un po’ diversi, un colore diverso dei capelli.

In quel momento, come se ti riflettessi in uno specchio, capisci che anche nel tuo aspetto estetico necessariamente deve essere cambiato qualcosa, a cui avevi fatto poco caso perché con la tua immagine fai i conti tutti i giorni e le trasformazioni fisiche sono quasi sempre molto graduali.

L’atteggiamento di fronte ai cambiamenti del proprio aspetto fisico è il primo segnale di come ci si pone di fronte all’invecchiamento: c’è chi lo accetta, con un po’ di sorpresa e magari cercando di rallentare con qualche artificio estetico le manifestazioni meno simpatiche, però fondamentalmente considerandolo come la naturale evoluzione del proprio corpo e in generale della vita; c’è chi invece lo rifiuta, reputandolo un brutto scherzo del destino o un attentato alla propria identità, e talvolta infilandosi su un sentiero di interventi estetici ringiovanenti quasi mai di piacevole riuscita.

Ma è anche su altri fronti, non solo su quello del’aspetto fisico e dell’estetica, che vedi le differenze tra chi invecchia bene e chi invecchia male.  Ad esempio, un altro segnale evidente è dato dalla direzione verso la quale sono orientati i pensieri: verso il passato oppure verso il presente e il futuro. Quando un sessantenne concentra i propri pensieri sui ricordi del passato, trascorre la giornata con l’occhio incollato allo specchietto retrovisore e non riesce ad evitare a ogni pie’ sospinto di far confronti tra l’oggi (che risulta sempre perdente) e l’ieri (che risulta sempre migliore), allora si può dar per certo che in questo caso i decenni dell’invecchiamento non saranno una passeggiata piacevole. Diverso sarà per il coetaneo che, pur facendo i conti con i crescenti limiti che derivano dall’età, riesce ancora ad immergersi con tutte le proprie energie e passioni nelle vicende della vita quotidiana e trova la motivazione per pensare a progetti futuri.

Infine, se è vero – come dicono tanti esperti – che la riscoperta della “socialità non strumentale” è una delle opportunità che si hanno quando si entra nella fase di vita da senior, una differenza tra chi invecchia bene e chi invecchia male passa sicuramente anche tra chi sfrutta questa opportunità ampliando le occasioni di incontro con le altre persone e chi al contrario si rifugia nella propria solitudine senza cercare di uscirne.

Insomma, allungandosi il tempo della vita attiva anche dopo il culmine della maturità adulta, dovremmo tutti imparare come invecchiare bene. Accettare l’evoluzione del nostro corpo, riuscire a vivere appieno il presente, riuscire ad immaginarsi il futuro e coltivare la socialità sono i primi passi.

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Le Vostre Storie

Ed eccomi in pensione !

Ci sarò anch’io” ci aveva scritto qualche tempo fa Paty, alle prese con le ansie e le fantasie di chi sta per andare in pensione. Ora che il cambiamento è avvenuto ci racconta come sta vivendo questa nuova fase.

“Eccomi, ora ci sono! Sono in pensione.
Sto occupando il tempo tra nipotini (per i quali cerco di inventare giochi e passatempi) e il mio “cucito creativo”, tra letture e relax, sono ancora in collegamento con i colleghi grazie al gruppo di WhatsApp, ma … mi sento un po’ fuori dal gruppo. Sono andata a scuola ed i ragazzi mi sono corsi incontro, mi hanno abbracciata, ma … non sono più i “miei ragazzi”.
È un’avventura diversa, una vita nuova soprattutto perché dei miei 63 anni ben 43 li ho trascorsi a scuola ed ora mi sento come incompleta, defraudata di un pezzetto di me, ma passerà. Ero abituata ad avere intorno tanta gente ed ora c’è silenzio, nel mio bicchiere mezzo pieno effettivamente l’acqua ogni tanto evapora … cerco di pensare in positivo, non ho più le complicazioni burocratiche del lavoro e non ho più il sovraffollamento di impegni, sicuramente è vero, ma un po’ mi mancano, sarà autolesionismo?
Ci risentiamo tra qualche mese, dopo l’assuefazione a questa nuova vita.”

La storia di Paty é pubblicata anche su Osservatorio Senior

Le Vostre Storie

Viatato piangere

Scrive Giuliana: Ho iniziato a lavorare molto presto, a 21 anni e subito sono entrata a far parte di una multinazionale. Il flashback si riferisce a circa 34 anni fà e già allora, e questo è il paradosso, c’erano i contratti a tempo determinato. Riesco con fatica ad ottenerne uno di due mesi rinnovato poi per altri due mesi, grazie all’eccellente conoscenza della lingua inglese. Inizio la mia gavetta in un’azienda dove si sperimenterà poi anche l’esodo incentivato che avveniva tuttavia con il sorriso degli interessati, grazie alla compresenza di una parte sindacale. Proseguo nel mio percorso fino a quando arriva l’opportunità per il salto di qualità. Cambio azienda e comincio letteralmente da zero un nuovo percorso, fatto di fatica e coinvolgimento su tutti i fronti. L’azienda sta nascendo e manca praticamente tutto: dalle procedure alle competenze. Vado avanti lo stesso e mi impegno fino a quando, dopo solo 6 mesi di prova, scopro di avere un tumore. La prima preoccupazione è come andare avanti sul lavoro. Quel lavoro dove ancora devo dimostrare molto e che rappresenta soprattutto in questo momento una “via di fuga”, una leva per affrontare interventi e terapie. Scopro di avere un’energia che non immaginavo mi appartenesse e continuo a lavorare con le piccole pause necessarie. Riesco ad andare avanti e l’azienda mi trasferisce in un altro settore dove non ho nessuna competenza ed attitudine. Inizia un processo involutivo dove la perdita di identità e la demotivazione si confrontano con la voglia di apprendere di cercare di restare al passo. Chiedo di avere formazione o di continuare a far parte di un’area dove possa essere più produttiva. Nel frattempo sono passati circa 20 anni dal mio ingresso nel mondo del lavoro e con sacrifici enormi mi laureo per ben due volte, colmando un gap che mi faceva sentire in qualche modo non completamente idonea per il mio ruolo. Dopo molti anni finalmente riesco a ritrovare un equilibrio creando un nuovo settore con maggiore attinenza rispetto alle mie esperienze e caratteristiche. Non passa molto tempo e l’azienda inizia a creare un bacino di possibili risorse con prospettive di uscita dall’Organizzazione. Non me ne rendo subito conto ma faro’ parte di questo gruppo, chirurgicamente individuato in base all’età ed alla posizione, ritenuta all’improvviso non necessaria. Dov’è il paradosso? Quello che mi è successo continua a succedere a molte persone ma la differenza è che io sono anche una “categoria protetta”. Questa condizione in passato forse mi avrebbe risparmiato il trattamento di “uscita” ma oggi non ha alcun peso nelle decisioni aziendali. Con tutte le mie forze cerco di ribellarmi al mio destino consultando legali e consulenti del lavoro ma ho le spalle al muro. Cerco di mediare, di parlare con l’azienda perché trovi soluzioni anche temporanee ma non mi viene dato ascolto. I miei colleghi sono troppo immersi nel non immaginare che un domani potrebbe toccare anche a loro. Non ci sono rappresentanti sindacali in azienda. Da circa 3 anni non sono più parte dell’azienda che ho contribuito a creare e sono incappata nella cosiddetta “riforma Fornero” che ha esteso il traguardo della pensione. Sono stata seguita da una società di ricollocamento ma senza risultati. La vera drammatica discriminante è l’età anagrafica che sancisce un vero e proprio spartiacque tra chi può ambire a continuare a lavorare e chi no. Non voglio arrendermi però e decido di pubblicare un e-book con un titolo emblematico “vietato piangere” dove ripercorro le tappe della mia esistenza e della mia vita professionale, cercando sempre di non lasciarmi andare alla disperazione per una condizione che si sta estendendo a macchia d’olio.

Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior