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Ho iniziato per un disagio generazionale

Il sessantenne Marco Martini mi ha inviato, come sua storia, il testo di una intervista che gli è stata fatta dopo aver vinto il “Traders’ Cup”, un campionato di trading con denaro reale, organizzato da Traders’ Magazine Italia in collaborazione con Borsa Italiana.  Pubblico un estratto di questa intervista.

sfondo campanileDice Marco: “Sono un sessantenne. Sono artigiano, commerciante e tecnico.  Ho fatto la scuola dell’obbligo e ho delle abilitazioni tecniche per il mio lavoro.
Ho una compagna e sono padre di un trentunenne, nato da una precedente relazione.
Vivo in Liguria. West Liguria. Una terra unica. A Bussana Vecchia. Tra i ruderi di un sogno hippy”.
Qual è, chiede l’intervistatore, il suo percorso di formazione nel trading finanziario ? “Ho iniziato per un disagio generazionale. Io nasco in provincia nei primi anni della seconda metà del secolo scorso, con le prime TV nelle case, le bombole del gas invece di legna e fascine, la plastica , il Moplen. Il primo telefono era in duplex. Il primo fax sono andato, incredulo, a vederlo arrivare in una ditta di fiori.
Poi, superati i quarant’anni, come uno schiaffo, la fantascienza diventa inesorabilmente realtà. Cervelli elettronici, PC portatili, telefoni cellulari, ADSL, Internet, comunicazione, new economy (cioè soldi dai soldi). Tanto da imparare, e a me piace.
con graficiCon Mauro, amico e bravo informatico, ci procuriamo dei software, un tipo ci vende lo scibile sul trading a 125 euro (correva l’anno 2003). Avevamo tutti i software esistenti… un centinaio… Resto folgorato, mi piace. A 50 anni appartengo a questo tempo, decido che  mi sarei formato un poco anche  in questa disciplina. Leggo un gran numero di libri e teoremi, mi piace; così lontano dal mio quotidiano. Vivo le varie teorie, approcci e matematiche come se fossero romanzi. Ed eccomi qua….

L’intervistatore chiede a Marco anche come si svolge la sua giornata.
“Non ho una giornata tipo, il trading é un hobby. Rilassante ed eccitante, più del tresette o del poker al bar. Ma con un potenziale enorme. Quando sono alla piattaforma osservo, valuto e a volte opero. Comunque se cominci alle 8 ti prepari. Alle 8,30 – 9 partono le banche Europee, poi notizie sui vari partecipanti alla bagarre. C’é di che divertirsi”.  In foto: Marco Martini

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Apprendere una nuova vita tecnologica

Sabato pomeriggio. Due ore libere da impegni in cui mi ritrovo seduto in salotto con Daniela. Potremmo chiacchierare un po’, invece lei mi dice che vorrebbe iscriversi ad uno dei nuovi servizi di car sharing che stanno prendendo piede in città e che potremmo farlo ora insieme. Nostra figlia, che già se ne serve, ci ha detto che è molto comodo e facile da usare. Per niente convinto, mi siedo di fianco a lei e insieme ci cimentiamo con il primo passo: l’iscrizione. La prima schermata del sito che offre il servizio dice che bastano pochi minuti, noi – imbranati digitali che di fronte alla app da scaricare facciamo un gran casino tra tablet suo, smartphone mio, computer comune e carte di credito non abilitate – riusciamo ad avere la conferma che siamo riusciti ad iscriverci solo dopo un’ora e mezza abbondante. A quel punto, sfiniti ma desiderosi di verificare come funziona davvero il giocattolo, facciamo subito una prenotazione con l’intenzione di un giro in centro: siamo fortunati, troviamo un’auto vicino a casa e nessun ostacolo sin quando dobbiamo lasciare la vettura: a quel punto non c’è verso di riuscire a lasciare chiuse a chiave le portiere e passano minuti e minuti (ogni minuto costa) in cui affannosamente ci dimeniamo tra interpretazioni di cosa dice il computer di bordo, sms alla società fornitrice e connessione la più veloce possibile al sito del fornitore del servizio per rileggersi il regolamento. Alla fine ce la facciamo. Poco dopo telefona un amico e quando gli raccontiamo le peripezie per riuscire nell’impresa, arriva la sentenza: “Ma alla vostra età ? Lasciate queste cose a quelli più giovani che con le app ci sono nati !”

Le news in internet in tempo reale, l’acquisto di beni e servizi in rete, l’assistenza tecnica richiesta attraverso messaggi lasciati sui siti dei fornitori, le comunicazioni attraverso i social network, l’uso di smartphone, app e tablet, sono tutte tessere di un mosaico di abitudini quotidiane che stravolge routine consolidate in decenni di esperienza e che mette a dura prova l’autostima di un senior.

Riportava pochi giorni fa La Stampa (naturalmente la notizia l’ho trovata on line) alcuni dati di giugno di comScore, un’organizzazione che si propone come leader mondiale nella misurazione del mondo digitale. Secondo questa fonte “è intensa l’attività digitale di coloro che hanno superato i 55 anni oggi, gli anziani digitali di domani. Sono, infatti, 5,1 milioni gli utenti di Internet che fanno parte di questa fascia d’età…” Gli over 55 sono quelli che registrano i più alti livelli di crescita nell’accesso ai social network e ai siti, ad oggi sono 4,4 milioni… Di questi 3,6 milioni sono su Facebook e 600 mila su Twitter. In 4,5 milioni frequentano siti di news e informazione…”  In foto: due senior al computer

Per quanto riguarda poi l’uso di telefoni cellulari o smartphone i numeri sono ancora più consistenti: “la base di utenti mobile over 55 è pari a poco più di 15 milioni (48 milioni la base utenti complessiva mobile). In questa fascia d’età, il 55% possiede uno smartphone (8,5 milioni di persone)… Le attività principalmente svolte tramite app o siti `mobile´ sono: consultare il meteo (oltre il 40% degli over 55 con un telefono), utilizzare piattaforme come WhatsApp (31% over 55 vs 54% media totale utenti mobile), mandare e-mail (33% degli over 55 mobile vs 52% degli utenti mobile totali), utilizzare social network (25% degli over 55 contro il 46% del totale degli utenti mobile)”

I senior oggi non si rassegnano ad essere esclusi dall’uso dei nuovi mezzi tecnologici, ma quanta fatica e quanta flessibilità sono richieste per apprendere come si vive nel nuovo mondo digitale !

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I tuoi anni migliori devono ancora venire

Le risorse del nostro cervello, anche invecchiando, sono sorprendenti e talvolta, anche se danneggiato, il cervello può continuare a lavorare efficacemente. Ce lo racconta in questo articolo Patrizia Belleri, che commenta il libro di Barbara Strauch e ricorda la ricerca sulle suore dell’Ordine School Sisters of Notre Dame.

Scrive Patrizia Belleri: La giornalista scientifica Barbara Strauch, giunta alla soglia dei 57 anni, inizia a preoccuparsi per i fenomeni sempre più frequenti che la infastidiscono nel suo quotidiano: il nome di una persona conosciuta che sfugge, le distrazioni nel corso di un ragionamento, la dimenticanza di gesti abituali.

Nel cercare spiegazioni, e forse anche conforto, interroga scienziati e passa in rassegna le ricerche più recenti. Nasce così I tuoi anni migliori devono ancora venire. Le sorprendenti risorse del cervello di mezza età, edito da Mondadori, un libro ricco di risultati di ricerche ed esempi tratti dalla vita delle persone, scritto con linguaggio chiaro e accessibile, senza mai perdere di vista la correttezza scientifica.

La Strauch scopre che la scienza interpreta in modo nuovo fenomeni conosciuti: ad esempio, le cellule cerebrali iniziano sì a morire già in età giovanile e non vengono più rimpiazzate, ma tante ricerche  dimostrano come il cervello sia in grado di organizzarsi per far fronte ai processi degenerativi, affinando altre capacità e modalità adattive originali. Se da un lato è più frequente dimenticare il nome del vicino incontrato fuori casa, nella mezza età migliorano doti quali l’ottimismo, la capacità di far fronte alle situazioni nuove, e aumenta inoltre l’abilità di attingere alle esperienze passate al fine di elaborare  strategie per risolvere problemi attuali.

Affascinanti  le teorie sulla “riserva cerebrale” e la “riserva cognitiva”, dei veri e propri  depositi cui il cervello attingerebbe nell’età matura: gli stili di vita sani e la vivacità intellettuale ne costituiscono le basi.

La riserva cognitiva,fatta di cultura, ma anche di atteggiamento positivo nei confronti della vita, spiegherebbe un fenomeno tanto impressionante quanto incoraggiante: il cervello maturo può lavorare efficacemente anche se danneggiato.

La Strauch ci racconta a questo proposito la storia delle suore dell’Ordine School Sisters of Notre Dame, osservate da David Snowdon, insieme ad altri ricercatori del Kentucky, in un  lungo  e appassionante studio longitudinale.

La ricerca, nota con il nome di “Nun Study“ è iniziata nel 1986  ed è durata 25 anni.  Ha coinvolto 678 suore di età compresa tra i 60 e i 95 anni. L’intento era studiare i fattori predittivi della malattia di Alzheimer in età matura e quelli che fanno vivere più a lungo e favoriscono la buona qualità della vita negli ultimi anni.

Questa ricerca è singolare per diverse ragioni.  Innanzi tutto, la lunghezza del periodo esaminato, dagli anni 30, quando le suore avevano circa vent’anni, fino alla loro vecchiaia. Infatti,  i ricercatori hanno potuto accedere alle autobiografie che le religiose avevano scritto negli anni del noviziato circa sessant’anni prima, conservate negli archivi del Convento. Altro elemento interessante è il fatto che le suore appartenevano a un Ordine che privilegia  lo studio, la cultura, la vivacità intellettuale.

Inoltre, la peculiarità del campione: trattandosi di religiose, è stato possibile eliminare variabili legate a  stili di vita dannosi quali alcol o fumo, che avrebbero creato delle interferenze indesiderate nell’interpretazione dei risultati.

L’ultimo e forse più interessante fattore è che tutte le suore avevano preso l’impegno  di donare il proprio cervello ai fini della ricerca, se la loro morte fosse avvenuta nel corso dell’esperimento.

Per ciascuna religiosa è stato compilato un dossier  ricco e dettagliato, a partire dai contenuti delle autobiografie degli anni giovanili. Periodicamente,   venivano somministrati test cognitivi il cui scopo era valutare la memoria, l’intelligenza e il grado di conservazione dell’autonomia personale con l’avanzare degli anni.

Dall’analisi delle autobiografie giovanili e dalle risposte ai controlli periodici veniva  esaminato anche  lo stato di benessere psicologico. In altre parole, si cercava di capire se le suore fossero   appagate della propria vita e si auto percepissero serene o felici.

I risultati   hanno ispirato diverse pubblicazioni, tra queste Aging with Grace, dello stesso Snowdon e numerosi articoli scientifici.  Tra gli altri, è emerso che la cultura e la vivacità intellettuale predispongono a una miglior qualità della vita in vecchiaia e che la presenza di ictus  e traumi cranici nel corso della vita sono elementi predittivi della malattia di Alzheimer in età avanzata.

Ma ciò che ha impressionato i ricercatori è la vicenda di una suora cui è stato dato il nome di Bernardette. La religiosa era tra le più intelligenti e colte tra le consorelle,  si era laureata in pedagogia, aveva insegnato per molti anni e la sua vivacità intellettuale non era mai venuta meno, tanto da risultare tra le migliori nelle risposte ai test cognitivi cui fu sottoposta periodicamente fino alla fine dei suoi giorni.

Morì d’infarto a 85 anni e, come previsto, il suo cervello fu sottoposto ad analisi autoptica. Con grande meraviglia, i ricercatori scoprirono che l’encefalo presentava segni evidenti di una gravissima forma di Alzheimer allo stadio più avanzato: a giudicare dalle condizioni del cervello, la suora avrebbe dovuto presentare una demenza grave.

Il caso non rimase isolato, la stessa Strauch ci racconta anche la vicenda di un personaggio noto nella letteratura scientifica come lo Scacchista: insegnante in pensione londinese, era un formidabile giocatore di scacchi, in grado di calcolare sette mosse in anticipo. Ad un certo punto incominciò a preoccuparsi perché si accorse di poterne calcolare solo quattro, pur continuando ad avere una vita molto attiva  e intellettualmente vivace. Si sottopose a numerosi accertamenti e fu sempre rassicurato sulle condizioni del suo cervello. Alla sua morte, anche il suo encefalo presentava gravi lesioni tipiche della malattia di Alzheimer.

Tante teorie affascinanti, dunque, che mostrano modalità nuove di studiare e di vivere la seconda metà della vita, si snodano nella scrittura piana ed efficace di Barbara Strauch, in questo bel libro decisamente da consigliare.

In foto: la copertina del libro di Barbara Strauch “I tuoi anni migliori devono ancora venire. Le sorprendenti risorse del cervello di mezza età”, edito da Mondadori.

 

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Senior digitali

Ecco un nuovo contributo di Patrizia Belleri a I ragazzi di sessant’anni:  Giorni fa, un mio paziente di 25 anni, parlando della madre, mi diceva: “Devo occuparmi io degli strumenti tecnologici di casa: la mamma è anziana e non sa utilizzare il computer, e nemmeno inviare un sms”. Sorpresa, data la giovane età del ragazzo, gli ho chiesto quanti anni avesse la madre: ne ha 50!
Mesi addietro, una zia di 85 anni mi ha confidato: “Che peccato dover morire senza aver conosciuto questa meraviglia che deve essere Internet”. Curiosa e un po’ dubbiosa, l’ho guidata nell’acquisto di un pc portatile e le ho dato i primi rudimenti di alfabetizzazione informatica. A dispetto delle sue amiche che trovavano stravagante questa sua scelta, la zia ha imparato a poco a poco a utilizzare il computer, fino a muoversi in piena autonomia tra e-mail, gestione del conto corrente, lettura dei giornali e tanto altro. 

Queste persone rappresentano due estremi, e fanno riflettere su una variabile determinante nello studio del processo evolutivo dalla nascita alla vecchiaia: l’adattamento al nuovo. La mamma cinquantenne del mio paziente è percepita “anziana” dal figlio perché carente dell’adattabilità tipica dei giovani. Al contrario, la zia, anziana anagraficamente, possiede intatta la flessibilità mentale che le consente un buon adattamento al nuovo.

Con le dovute eccezioni nell’uno e nell’altro senso, l’attuale generazione dei Senior, proprio per essere stata protagonista di tanti e veloci cambiamenti, è più flessibile nell’accettare le novità.   In tutti i settori della vita quotidiana abbiamo conosciuto un rapido susseguirsi di modi diversi per fare le stesse cose. Abbiamo imparato a scrivere con penna e calamaio, poi abbiamo utilizzato la macchina da scrivere manuale, quella elettrica,  i programmi  di word processing e molti di noi si trovano ormai più a proprio agio con la tastiera che con la penna. 

A vent’anni ci siamo corteggiati con lettere di carta, mentre aspettavamo  per ore che la persona amata ci telefonasse; oggi – sempre connessi e reperibili – anche noi comunichiamo e ci corteggiamo utilizzando Whatsapp e i Social Network: l’unica modalità che i nostri figli conoscono.

Quando i nostri genitori avevano la nostra età, diffidavano dei primi telefoni cellulari e noi cercavamo di convincerli dell’utilità di strumenti che essi guardavano con sospetto.  Oggi noi accogliamo le nuove tecnologie con entusiasmo, ma anche con disincanto, senza demonizzarle né mitizzarle. Semplicemente, le adoperiamo e le  adattiamo alle nostre esigenze. La marcia in più che ci mettiamo è  lo spirito critico di chi ha visto nascere e morire miti e verità: forse è questo il valore che possiamo trasmettere ai giovani.

L’immagine stereotipata del giovane che aiuta l’anziano a districarsi tra le diavolerie della tecnologia è ormai superata, tenendo anche conto che la gran parte dei Nuovi Senior ha  avuto un approccio con le tecnologie digitali nell’ambito lavorativo e professionale.    Credo che i modi di percepire e di utilizzare gli strumenti tecnologici siano diversi a seconda dell’età e delle esperienze, ma gli approcci differenti possono condurre a una sinergia utile a entrambe le generazioni.
Invecchiamento attivo, dunque, ma anche solidarietà tra le generazioni e non a senso unico, affinché le risorse di ciascuno possano far diventare tutti un po’ più ricchi.

Segui Patrizia Belleri anche su http://www.patriziabelleri.it/

 

 

 

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La curiosità che tiene vivi

“Mi sono iscritta al secondo anno di cinese. L’anno scorso ho imparato a scrivere qualche ideogramma e a dire qualche frase da conversazione quotidiana: per noi è una lingua molto difficile, ma è affascinante e intendo proseguire lo studio”. Così mi diceva pochi giorni fa Anna Maria, 60 anni, ancora al lavoro ma in un campo nel quale il cinese non le servirà per nulla. Di fronte alla mia perplessità sull’utilità di questo suo sforzo, Anna Maria non ha mostrato dubbi: “Mi piace la cosa in sé, la cultura cinese mi ha sempre incuriosito ed è uno stimolo nuovo che mi toglie dall’aridità degli impegni quotidiani che si ripetono uguali tutti i giorni”.

Pochi giorni prima delle parole di Anna Maria, mi sono imbattuto in Sandro, 64enne, che in mezzo ad un gruppo di amici stava raccontando affascinato dei misteri e delle stranezze della fauna marina. Incuriosito da questo originale interesse, ho scoperto che Sandro appena ha un momento libero se ne va all’acquario, compra un libro sui misteri dei pesci e cerca documentari sull’argomento. Ma non è una passione che coltiva da sempre; anzi, si è palesata solo da poco tempo, da quando ha deciso di cedere lo studio professionale al figlio e si ritrova improvvisamente con alcune ore libere, alla ricerca di nuovi interessi. “Per me è sempre stata una grande soddisfazione imparare cose nuove, comunque. Adesso poi che sto scoprendo aspetti che non conoscevo di un mondo che mi ha sempre attratto, la soddisfazione è doppia!” rincara Sandro.  

Anna Maria e Sandro stanno studiando e si stanno impegnando nel coltivare i loro nuovi interessi in modo autonomo, ma sono tantissimi coloro che s’immergono in un’esperienza analoga attraverso la frequentazione delle sempre più diffuse Università della Terza Età che ormai, dopo il successo di adesioni che hanno raccolto, da sperimentazioni all’avanguardia si sono trasformate in vere e proprie istituzioni.

Il segreto di queste esperienze credo che stia in questo: che la curiosità, la sete di apprendimento, il desiderio di scoperta e di conoscenza sono la benzina essenziale per invecchiare con vivacità. Trovare nuovi stimoli, essere attratti da ciò che non si conosce, avere voglia di mettersi ancora in gioco nell’impegnarsi a scoprire nuove realtà e dimensioni, tutto questo è il miglior elisir di lunga vita. La prova che questo è vero la si ha osservando le persone che, al contrario, sono appagate di quel che sanno e della loro conoscenza del mondo: ritengono di “avere già visto tutto quel che c’era da vedere”, sono riluttanti a confrontarsi con persone lontane dalla cerchia di relazioni abituale, pensano che l’esperienza della loro vita e gli sforzi fatti in passato per imparare e capire siano stati sufficienti e che non ci sia più ragione oggi di sforzarsi ulteriormente, sono sostanzialmente indifferenti di fronte ai cambiamenti del mondo e la loro sfera di interessi non si sposta di un centimetro dal perimetro che hanno costruito nei decenni precedenti. Ebbene, i segni di un invecchiamento stanco, seduto, poco vitale, sono ben presenti nelle persone che manifestano questi atteggiamenti ! Sono atteggiamenti che si possono ritrovare in un cinquantenne o in un novantenne e che a prescindere dall’età danno la misura di quanto più o meno forte può essere la voglia di vivere ancora la vita con pienezza. Quando ci accorgiamo che iniziamo ad essere meno curiosi della realtà che ci circonda e che fatichiamo a trovare argomenti, persone, situazioni, informazioni, materie, che ci stimolano l’interesse, allora dobbiamo iniziare a preoccuparci perché significa che il nostro invecchiamento sta prendendo una brutta china.

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Valorizzare le competenze dei senior

Mi sono imbattuto di recente nella notizia che sta per partire “Outplacement per il sociale”, una iniziativa per i senior che non hanno ancora raggiunto i 70 anni, già pensionati o nella fase di uscita definitiva dall’azienda, che desiderano mettere a disposizione il proprio capitale di esperienze e competenze al servizio della comunità.  L’iniziativa, articolata in incontri formativi e di outplacement, colloqui di counselling, progetti individuali e stage come volontari presso associazioni, è organizzata da Aldai (l’associazione lombarda dei dirigenti di aziende industriali), dalla no profit Associazione Nestore e dal Centro di servizi di volontariato della Provincia di Milano, con fondi del Governo messi a disposizione nel 2012 in occasione dell’anno europeo per l’invecchiamento attivo.

In luglio era apparsa un’altra notizia dallo stesso sapore, questa volta non in terre lombarde, ma liguri: è stato approvato e finanziato dall’Unione Europea il progetto Senior Capital, portato avanti dalla Regione Liguria in collaborazione con Auser, che sperimenta un servizio di accompagnamento e formazione alla progettualità personale dopo che si è concluso il periodo lavorativo, valorizzando in particolare una serie di azioni dei senior nei confronti dei più giovani.

Sono due buone notizie, che segnalano sia l’esistenza di un’istanza forte tra i senior, sia la possibilità di dare risposte positive a questa istanza. Il tema è che molto spesso le persone che hanno o stanno mettendosi alle spalle un lavoro che ha permesso loro di acquisire un significativo capitale di conoscenze e abilità, hanno voglia di riprogettarsi, di rimettersi in gioco, di sentirsi utili per gli altri anche se in modo diverso da prima. Sono moltissime le testimonianze raccolte che vanno in questa direzione e sono facilmente spiegabili con il fatto che chi sta abbandonando il lavoro o lo ha interrotto da poco ha a disposizione del tempo liberato e molto spesso unisce a questo la voglia di essere ancora parte attiva della società.

Un’istanza di questo genere si sposa molto bene con un’esigenza collettiva di riutilizzo di professionalità e competenze a favore del sociale (associazioni di volontariato, organizzazioni no profit, nuove generazioni). Purtroppo però, molto spesso il matrimonio tra questa istanza individuale dei senior e l’interesse pubblico non riesce perché manca la capacità di trasformare le proprie vaghe motivazioni individuali in progetti oppure per la non conoscenza dei luoghi dove si potrebbe prestare la propria opera in modo utile. Ben vengano dunque iniziative come quelle che ho citato se saranno capaci di dare uno sbocco alle istanze individuali e contemporaneamente di valorizzare un capitale di professionalità a favore della collettività. E ben vengano vostre segnalazioni di iniziative con le medesime finalità  In foto: due volontari.

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La voglia d’imparare che non finisce mai

La saggezza popolare l’ha sempre sostenuto: “rimani curioso se non vuoi diventare vecchio !” Quante volte l’abbiamo sentito dire e naturalmente anche questa, come tutte le massime popolari, contiene una parte importante di verità.  Se diamo per scontato di conoscere tutto quello che c’è d’importante da sapere per vivere e se non proviamo nessuna attrazione per ciò che ci è sconosciuto abbiamo sicuramente alte probabilità di atrofizzarci nel nostro bozzolo, il che è forse rassicurante, ma sicuramente è una resa che ci impedisce di cogliere tutte le opportunità della vita.  D’altra parte, l’implicito della raccomandazione “rimani curioso se non vuoi diventare vecchio !” è che la propensione naturale degli esseri umani sarebbe, con il procedere degli anni, proprio verso una diminuzione di curiosità, di desiderio di conoscere, di interesse ad esplorare.  La realtà che oggi abbiamo sotto gli occhi mi sembra che ribalti invece questo implicito. La maggior parte dei senior che conosco non è per niente paga di ciò che sa e che conosce, ma cerca al contrario tutte le occasioni possibili per ampliare ulteriormente il proprio raggio di esperienze  e di conoscenze. Che l’occasione sia un libro, un viaggio, una mostra, un convegno, uno spettacolo, una conversazione con altre persone, o persino un interessante documentario televisivo, la voglia di apprendere non manca di certo neppure passati i 50 e i 60 anni.  E se si sta al boom delle Università della Terza Età diffusesi in tutta Italia e agli innumerevoli corsi su tutte le materie che queste Università propongono, si ha la riprova di quanto sia diventato importante, anche per i più maturi, continuare ad apprendere, spaziando anche su territori che non sono stati oggetto del proprio lavoro o dei propri studi d’origine.  Che dire di Roberto, dentista 58enne, che si appassiona durante i weekend allo studio della storia medievale ? O di Paola, 64enne in pensione, che si è iscritta ad un corso di tecniche di restauro dopo aver fatto l’insegnante per tutta la vita ? O di Claudia e Maurizio, coppia 65enne che prepara i propri viaggi studiando a fondo i paesi che andranno a visitare e organizzando a casa loro degli incontri con viaggiatori che hanno già visitato quei paesi e quando gli riesce persino con persone native dei luoghi che intendono visitare ? Per non parlare dell’aggiornamento a cui, un po’ per dovere professionale, un po’ per inesausta curiosità, si attengono tutti coloro che da senior continuano a lavorare.

C’è una disciplina – si chiama educazione degli adulti – che si occupa proprio dell’apprendimento quando non si è più giovani studenti. E’ una disciplina che tendenzialmente si è sempre preoccupata delle persone nel pieno della maturità più che dei senior, ma mi sembra che alcuni princìpi su cui si basa valgano perfettamente anche per chi è più in là con gli anni. Dice ad esempio questa disciplina che l’adulto impara molto più dalla rielaborazione dell’esperienza che non dal mero assorbimento di informazioni e teorie: a queste ci si arriva ma sono molto più accettate e digerite se si parte da un confronto con ciò che si è sperimentato nella vita. Beh, se c’è qualcosa che il sessantenne può mettere in campo è esattamente l’esperienza ! Per stare all’esempio di prima, le informazioni sul paese che andrò a conoscere rimarranno sicuramente più salde nella memoria se farò un costante confronto con esperienze di viaggio precedenti. Altri due prìncipi mi sembrano completamente utilizzabili anche per l’apprendimento dei senior: “si impara dallo scambio” è il primo e “le passioni sono la benzina dell’apprendimento” è il secondo.  Lo scambio è quello che si manifesta non solo tra chi insegna e chi impara, ma anche tra persone, tutte in apprendimento, che hanno alle spalle esperienze, idee, convinzioni e cognizioni da mestieri diversi e che si confrontano tra loro per metterle in comune e per assorbire meglio le novità che vengono loro proposte. Quanto poi alle passioni come benzina dell’apprendimento, qui siamo proprio al cuore dell’argomento, cioè alle motivazioni che spingono un sessantenne a gettare lo sguardo fuori dalla finestra e dai confini conosciuti. Le passioni fanno il paio con la curiosità: non accontentarsi di quel si sa e si sa fare neppure dopo un’ intera vita si sposa certamente in modo virtuoso con la possibilità di coltivare le proprie passioni. Perché mai il mio conoscente Piero, 70enne, dovrebbe dedicare ore ed ore a compulsare libri di giardinaggio e addirittura a “stare in affiancamento”, se così posso dire, ad un vivaista compiacente se non fosse forte in lui la passione per i fiori ?  E come mai migliaia di coristi non professionisti over50 dovrebbero dedicare molte delle loro serate a studiare e studiare spartiti se insieme al desiderio di imparare cose nuove non ci fosse anche una passione forte per il canto ?

Ma c’è un aspetto ulteriore su cui si può giocare l’apprendimento dei senior ed è la possibilità di scambiarsi nei ruoli di docente e di discente: “tu insegni a me una cosa che sai e io ne insegno a te una che so io”. E’ un modo ulteriore di fare scambio, basato sul fatto che spesso da senior si è portatori non solo di esperienza ma anche di competenze molto consolidate. E la motivazione che si scopre quando viene messo in pratica anche questo tipo di scambio non è da meno di quella che viene abbinata alla possibilità di coltivare le proprie passioni.

La voglia di imparare che non finisce mai è dunque una grandissima risorsa che abbiamo a disposizione e che nei senior viene valorizzata soprattutto quando si coniuga con il confronto con l’esperienza, con lo scambio con altri senior, con le proprie passioni e con la possibilità di variare tra il ruolo di chi impara e quello di chi insegna.

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Inventarsi il lavoro da senior

I 55-75enni che vogliono continuare ad essere attivi (attivi in senso generale) sono la quasi totalità e quelli che con invecchiamento attivo intendono anche il proseguire un’attività di natura lavorativa sono una nutrita schiera, anche se probabilmente non la maggioranza, soprattutto tra gli over60.  Essere attivi e lavorare sono comunque due dimensioni ben presenti nella realtà dei sessantenni, anche per via delle nuove norme pensionistiche. Però all’interno di queste fasce di età vi sono delle differenze significative per cui il tema che propongo a molti risulterà estraneo, per altri invece di attualità.

Ad esempio, tra i sessantenni e i settantenni di voi che hanno già interrotto il lavoro da tempo e che percepiscono la pensione sarà probabilmente difficile capire perché propongo questo argomento, dell’inventarsi un nuovo lavoro; allo stesso modo, il tema è poco d’attualità per coloro che proseguono con successo l’attività artigianale, commerciale o professionale di sempre o per coloro che in attesa della pensione proseguono nello stesso posto di lavoro.  D’altra parte, vi è un numero crescente di cinquantenni e sessantenni che devono o vogliono avviare una nuova attività o trovare un nuovo lavoro. Eccone qualche esempio.

Serena ha 58 anni e abita a Parma. Per vent’anni ha portato avanti con soddisfazione un negozio di abbigliamento: clientela abbastanza danarosa e fedele, un’immagine di negozio che non rifila merce scadente, unita a un discreto savoir faire anche con le clienti più difficili. Poi ad un certo punto i conti del negozio non sono più tornati. Per un paio d’anni Serena ha stretto la cinghia, ma al terzo ha dovuto alzare bandiera bianca e accettare l’idea della chiusura. Era un anno fa, Serena da 57enne senza figli e senza essersi mai sposata aveva ben chiaro che avrebbe dovuto mantenersi da sola per il resto della vita. Che m’invento ? si è chiesta. Un amico l’ha introdotta presso una compagnia assicurativa che organizzava corsi per chi volesse prepararsi a fare una sorta di consulenza e vendita telefonica sui prodotti assicurativi. Serena ci ha messo dei soldi suoi e dopo sei mesi ha iniziato a svolgere questo nuovo lavoro. Lo fa da casa, ad orari meno duri di quelli richiesti da un negozio, con più libertà ma ancora non ha capito quanto guadagnerà perché le prime entrate stanno arrivando solo ora.  Ad ogni modo Serena è uscita da un insuccesso e si è reinventata. Secondo lei sono stati fondamentali non solo la sua intraprendenza ma anche l’aver avuto da parte qualche risparmio che le è servito per il periodo di traghettamento e per il piccolo investimento che ha dovuto fare.

La storia di Carlo è diversa, ma anche nel suo caso si è trattato di un grosso cambiamento lavorativo. Carlo, 60 anni tondi, ha sempre lavorato per un’azienda privata di prodotti elettromeccanici come venditore e grazie alle sue competenze tecniche e al giro di conoscenze sviluppato in tanti anni ha sempre ottenuto buoni risultati e stipendi più che decenti, sufficienti a far vivere con agio la sua famiglia. Negli ultimi anni però ha sofferto sempre di più la vita aziendale: differenze di vedute e di carattere con il suo capo, unite ad un clima aziendale che si faceva sempre più pesante con l’arrivo di una nuova direzione, l’hanno portato ad accarezzare l’idea di mettersi in proprio sfruttando la sua rete di relazioni . Detto, fatto. Si è dato qualche mese per preparare il terreno con i clienti e con le aziende che gli avrebbero fornito i prodotti, ha trovato un piccolo ufficio in uno stabile a poche decine di metri da casa sua e con un collega un po’ più giovane diventato suo socio ha iniziato a fare l’agente nello stesso settore dove ha sempre lavorato. Dopo circa un anno, l’impresa resiste e anche se Carlo dice che ad un certo punto si è trovato in difficoltà perché lui e il suo socio non avevano predisposto un piano finanziario, la sua soddisfazione per l’autonomia conquistata è palpabile e testimoniata dall’entusiasmo con cui si dedica per dieci ore al giorno alla nuova impresa.

Infine Umberto, ex quadro 63enne con una lunga esperienza in diverse aziende dell’immobiliare e della gestione dei servizi per le imprese. Ad un certo punto Umberto viene lasciato a casa. Con nessuna intenzione di rimanere inoperoso e con la prospettiva di una pensione comunque allontanatasi nel tempo, decide di mettere a frutto la sua esperienza di gestione amministrativa di stabili, studia per diventare amministratore di condomini e si appoggia ad uno studio per l’appunto di amministrazione stabili, dove gli danno da lavorare per quattro ore al giorno. Mi dice che è una strada che avrebbe dovuto intraprendere prima e, malgrado non sia di primo pelo, accarezza l’idea di avviare uno studio proprio. L’unico vero problema è un fastidioso disturbo di salute che periodicamente gli toglie le forze e con cui i suoi sogni devono fare i conti.

Inventarsi un lavoro da senior dunque è difficile ma ci si può riuscire. Con tutta  probabilità chi ci prova non ritrova situazioni di impiego fisso stabile, ma si possono avviare piccole attività o trovare impieghi di breve durata. E’ necessario mettere in campo tutta la propria intraprendenza, le relazioni che si sono sviluppate negli anni e una forte disponibilità ad apprendere competenze nuove. E non bisogna dimenticare di valutare attentamente se il nuovo che si sta iniziando è alla portata dei propri risparmi e delle proprie condizioni di salute. Da senior si può ancora re-iniziare, ma è necessario che mente, corpo, spirito e risorse vadano nella stessa direzione.

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La mia memoria sarà normale ?

Lo dichiaro da subito: il calo della memoria è una delle cose che mi mettono più in apprensione. Non che non sia abituato a dimenticare in fretta date e nozioni, questo mi è sempre successo, anche da ragazzino mandare a memoria le poesie o ricordare le date delle battaglie non è mai stato il mio forte, ma è innegabile che da un po’ di tempo a questa parte i buchi di memoria diventano più frequenti. Mi consolo un po’ quando vedo che più o meno tutti i miei coetanei sono alle prese con lo stesso problema, ma il punto è proprio questo: sarò nella norma? c’è modo di capire se le mie capacità mnemoniche stanno declinando prima del dovuto ? e in ogni caso come si fa a rimediare o almeno a rallentare il declino ?

Naturalmente non sto parlando dei ricordi di vecchia data. Quelli sono ancorati e saldi nella mente: sono capace di ricordare nel minimo dettaglio una conversazione importante avvenuta vent’anni fa e di ricostruire ambiente, fatti e personaggi di episodi lontanissimi che per me hanno avuto un significato particolare o che mi avevano emozionato. Non sto parlando di questo, ma della memoria a breve termine, di quelle centinaia di informazioni che costellano la nostra esistenza quotidiana e che, non appena voltato lo sguardo altrove, abbiamo già scordato. Ad esempio, se tra il lusco e il brusco ti chiedono: “titolo, regista e principali attori degli ultimi tre film che hai visto ”, rispondi subito o cominci a fare giri di parole per prendere tempo ? “Come si chiamavano le cinque principali località del posto che hai visitato sei mesi fa?” (Londra o Berlino non valgono, contano solo i nomi di quelle cittadine che prima del viaggio non avevi mai sentito nominare). E se poi a cena non ti ricordi più cosa hai mangiato a pranzo, o la maggior parte delle volte che ti sposti da una stanza all’altra a metà percorso non sai più perché lo stai facendo, allora la cosa comincia  a farsi seria. 

Mi ha colpito – sarà per questa mia apprensione che dicevo prima – l’esperienza di una editor americana, Lisa Davis, che ha raccontato di recente in un articolo apparso sulla rivista dell’AARP la sua visita al Neurology Institute for Brain Health and Fitness vicino a Baltimora, con l’obiettivo di farsi misurare la memoria e di avere suggerimenti su come migliorarla e conservarla. Non so se mi sottoporrei alla medesima visita, ma mi sembra comunque interessante sapere che si stanno sviluppando pratiche di questo genere. Nel suo resoconto di un giorno e mezzo di visita, la Davis racconta di diagnosi multidisciplinari, tutte basate sul princìpio sostenuto dal guru dell’istituto, Majid Fotuhi, secondo il quale sono soprattutto gli stili di vita e le routine quotidiane a condizionare le nostre menti, e quindi a spiegarci eventuali problemi di memoria; meglio quindi occuparsi di essi piuttosto che solo delle componenti fisiologiche del cervello.  L’assessment a cui si è sottoposta la Davis è iniziato da una verifica dei riflessi fisici e del vigore complessivo. Poi è proseguito con il parlare di sé e con la ricostruzione della propria storia medica. Non sono mancate domande sul livello di colesterolo, sulle abitudini di esercizio fisico, sul sonno e sui livelli di stress a cui si è sottoposti. Queste domande sono legate alla convinzione che alcune condizioni di contesto producono effetti sul funzionamento del cervello: ad esempio, l’obesità e la pressione alta, ma anche la carenza di sonno e gli stati depressivi, favorirebbero il declino mentale.  Naturalmente nell’assessment cognitivo non potevano mancare dei test di memoria, che alla Davis hanno ricordato i test attitudinali a cui veniva sottoposta alle scuole elementari. E infine la ricognizione si è allargata ad un esame radiologico e alla verifica di come fluisce il sangue nelle arterie che alimentano il cervello.  Un assessment completo, non c’è che dire ! Al termine, la Davis è stata rassicurata sull’ottimo livello delle sue capacità cognitive e sul perfetto flusso sanguigno e le è stato raccomandato un percorso di tre mesi a base di esercizio fisico, meditazione e giochi al computer. Soprattutto, le hanno spiegato che il cervello va considerato come un muscolo: va tenuto in esercizio e tonico, se no si immiserisce  e diventa inutile.    “La memoria umana, melmosa e parziale, sfugge a qualsiasi tentativo di contenerla” così ha scritto un commentatore del famoso dipinto di Salvador Dalì “La persistenza della memoria”. Chi avrà ragione ?

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Passioni artistiche ed emozioni: l’esempio del Modellato

 Sono molte le persone che scoprono solo da senior la propria passione artistica e le proprie capacità espressive.  Modellare materiali può essere una delle modalità per farle emergere e per dare spazio alle proprie emozioni.

Ospito quindi volentieri l’intervista fatta da Silvia Ghidinelli al professor Paolo Serrau, docente di Modellato all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e all’Università della Terza Età di Fossano, che si focalizza sulle differenze tra giovani e senior nell’affrontare un percorso artistico.

D. Solitamente parlare di Modellato suscita qualche perplessità. Che cosa si intende esattamente con questo insegnamento?

R.  Con questo temine si intende modellare qualcosa di malleabile, tradizionalmente l’argilla o la creta, ma anche molti altri materiali come ad es. polistirolo, fil di ferro, carta, cartone…. Ma io intendo anche che si può partire modellando il subconscio, facendo emergere le emozioni ed esprimerle, per cui allora il materiale è un mezzo, mentre il fine è esprimere se stessi.  Naturalmente affronto anche diverse tecniche come tutto tondo e bassorilievo e suggerisco agli allievi il percorso per il miglior esito del lavoro.

D.  Tu che insegni  all’Accademia  di Belle Arti ai giovani, perché hai deciso di insegnare anche ai senior nella nostra Unitre fossanese?

R  Sono stato invitato da un amico a provare un percorso con i senior nel 1999 e ho capito che, al di là degli oggetti da realizzare, era importante far scoprire ai senior le capacità espressive, comprenderle e concretizzarle, in un percorso di conoscenza di sé che ho continuato a seguire con vivo interesse.

D. Che cosa c’è di diverso tra giovani e senior nell’affrontare un percorso artistico nell’ambito del Modellato?

R. Nel giovane studente l’approccio al suo interiore caotico è immediato e vi è un grande desiderio di esibirsi. Io mi limito ad aiutarlo a incanalare le sue emozioni, mentre lui è più  interessato a sapere come fare per concretizzare le sue intuizioni, quindi alla tecnica per realizzare un prodotto artistico. Inoltre il giovane va stimolato ad essere autonomo e responsabile nelle proprie scelte, a  seguire i propri interessi, le proprie emozioni,  perché la maggioranza di loro è più abituata  a dipendere  dall’insegnante per fare un percorso per  un esito, cioè un’opera, più efficace ed affascinante. Inoltre il giovane è teso all’esame, che per lui è il fine di tutto il lavoro, ma questo lo  condiziona.

Il senior invece non ha esami ed è perciò  più aperto al percorso; ha maturato un’esperienza che costituisce una solida fucina a cui attingere per creare,  ma ha più difficoltà ad esprimere le sue emozioni. Questo perché il suo carattere è formato, ci sono le ferite che la vita gli ha inferto, c’è la paura del giudizio degli altri. Infatti il senior è spesso  molto bloccato dal timore di essere giudicato, ma l’emozione di vedere l’effetto finale del proprio lavoro disperde la sua paura. Dato che il fine del lavoro è conoscersi di più per esprimersi meglio, il senior sa che  più ritarda più perde tempo. In questo contesto la tecnica per realizzare i lavori è importante ma secondaria. Ovvio che, proprio perché il seniorsupera nel percorso tante difficoltà, alla fine il risultato è  importante e spesso inaspettato.

D. Tutti i senior riescono a superare le difficoltà e le paure di aprirsi al proprio mondo interiore?

R. Non tutti ci riescono, ma sono una minima parte. Nei più, man mano che l’emozione si fa strada, la paura diminuisce. Inoltre il piccolo gruppo, circa 10 persone, nel quale ci troviamo, consente e favorisce una reciproca  apertura, in un clima di fiducia e di felice incontro.

Tutto questo è comunque uno scenario in un’ottica di lifelong learning, cioè un’educazione ed un’apertura all’acquisizione di competenze che dura per tutta la vita.

D. Possiamo parlare di Arteterapia?

R.  Io non amo parlare di arteterapia che è spesso  vista come cura di stati e di malattie.  Mi piace invece parlare di terapia dell’Arte, cioè della funzione catartica dell’arte. Tu comprendi  e  superi  le sofferenze  dei tuoi grovigli  interiori, delle tue esperienze a volte traumatiche,  incanalandole e concretizzandole in un prodotto artistico che ti esprime, ti libera  e ti purifica.  Così attraverso l’arte puoi sublimare le tue emozioni più profonde.

D. C’è stata da poco la Mostra Biennale dei lavori degli allievi dell’Unitre. Sei stato soddisfatto ?

R. I lavori esposti, nei diversi materiali, nell’utilizzo delle forme e dei colori, nelle felici e distinte esecuzioni, trasmettono allo spettatore una vasta gamma di emozioni che sono l’espressione della personalità di ciascun allievo, che traspare forte e integra.  Si può ben dire che ogni allievo abbia avuto modo di scoprire le proprie capacità espressive, comprenderle ed esprimerle attraverso le varie opere esposte, realizzando appieno uno degli obiettivi più importanti del corso. In foto: alcuni dei lavori esposti.

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