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Sessant’anni ma non sentirli affatto

Nata nel 1959, per la prima volta nella mia vita guardo con fastidio al nuovo anno (il tempo sembra aver acquistato una velocità esponenziale ormai da diversi anni). Non mi piace affatto l’idea di compiere sessant’anni fra pochi mesi, perché dentro ne sento trenta. Non mi sento affatto matura e realizzata.

Penso ancora di voler cambiare lavoro, compagno, magari paese o continente, perché mi sembra di non avere mai iniziato a vivere realmente. Mi tengo in forma e tutti mi dicono che non dimostro affatto i miei anni, ma questo non mi basta.

Come posso venire a patti con l’idea della vecchiaia o della morte? Cado in depressione per molto meno! Conosco persone online e mi accorgo di formare attaccamenti irrealistici e adolescenziali per persone che ovviamente non lo meritano. Ho provato a frequentare un corso di mindfullness, a cercare aiuto da uno psicologo, ma dopo poche sedute mi sono allontanata, scoraggiata. Cosa devo fare?

La nostra lettrice ha chiesto di avere una risposta pubblica da una psicologa esperta del mondo senior. Risponde Silvia Lo Vetere:

“Gentile Signora, c’è sempre un momento, per lo più nella seconda parte della vita, in cui la percezione del tempo cambia: certo non è un fatto oggettivo perché il tempo scorre sempre uguale, ma dentro di noi no.

E’ un momento di particolare turbamento e anche di grande importanza. Un momento che può essere una condanna o una preziosa opportunità. Molto dipende da noi.

Sono due infatti le strade che si parano davanti a noi di fronte all’inevitabile turbamento di questa nuova consapevolezza: negarla con orrore o venirne a patti trovandone anche i potenziali aspetti di valore.

Non rari tentativi di fuga si osservano sulla prima via, quella della negazione, diversi e quanto mai illusori: tornare ad esempio adolescenti con l’amore dei primi anni di scuola, vestirsi da teenager e magari sfrenarsi in discoteca, o altre cose simili. Tutte cose capaci magari di regalare sollievo nell’immediato, ma sulla lunga, lasciare nel vuoto di una illusione seguita invano.

La seconda strada è la più complessa, ma spesso la più proficua: non lottare contro i segni del tempo, accettarne il rammarico, il turbamento, l’impotenza come sentimenti difficili ma naturali. Affetti con cui nel tempo imparare a convivere magari parlandone anche con i coetanei.

Quasi sempre da questa maggiore accettazione, nasce anche la maggiore capacità di apprezzare aspetti diversi di noi, sopraggiunti con l’età: magari una maggiore consapevolezza di noi stessi, magari una qualità della relazioni più profonda, una maggiore capacità di scelta o altro ancora.

Chissà, forse ora lei pensa di sentirsi meglio cambiando tutta la sua vita. Magari ha ragione, ma forse può rendere più preziose e soddisfacenti le cose che già ha: trovare strade e interessi per ravvivare ad esempio il legame con il partner, avere con i colleghi uno scambio più significativo, coltivare qualche hobby finito il lavoro, allargare la cerchia di amicizie.

Non è rivoluzionando le cose fuori di noi che il nostro malessere migliora. Lei è una donna intelligente e ancora piena di passione: la incanali migliorando la qualità delle cose che fa, capendo di cosa davvero ha bisogno e desidera realizzare. A sessant’anni non può essere più il tutto ciò cui dare voce come a vent’anni. Ma se si impara a selezionare e a scegliere, la qualità delle esperienze che ancora la attendono potrà essere anche molto più intensa e preziosa che a vent’anni.

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Ho trovato la mia giusta dimensione

Fra 5 mesi compirò 60 anni e sono già un po’ di anni che serenamente sto facendo il punto della situazione della mia vita.
Sono di Roma e ancora lavoro (sono 40 anni) e non posso scegliere purtroppo, come si poteva fino a qualche anno fa, di smettere e finalmente godermi con serenità la mia vita.
Ho due figli grandi e autosufficienti e un matrimonio finito 10 anni fa.
Proprio da questo avvenimento così serio e doloroso sono riuscita a tirare fuori da questa donna, che si era dedicata completamente alla famiglia, una nuova me stessa.
Mi sono ritrovata improvvisamente, dopo tanti anni e ad “una certa età” a dovermi rifare amicizie in un mondo che non conoscevo e non riconoscevo (sul lavoro avevo un paio di amiche sposate). Se a 20 anni avevo le mie amiche e la mia comitiva (che modo desueto per dire amicizie!) andavo a ballare e a mangiare una pizza con amici che conoscevo da tanto tempo, ora mi ritrovavo a fare qualche conoscenza senza poter approfondire perché non si usa più, persone di “una certa età” che si comportavano come se avessero 15 anni…. Tutto questo solo per avere qualche amica per poter uscire a prendere un caffè, per una mostra o un cinema.
Sinceramente io non mi sento di giudicare nessuno, ma mi sono sentita come un pesce fuor d’acqua; donne di 55-60 anni con tacco 20, palestrate e super accessoriate, agguerrite al rimorchio.
Uomini che ad ogni costo, senza crederci, dovevano dare di loro un’idea che non corrispondeva alla realtà. Io invece mi aspettavo di riallacciare i fili della mia vita, che avrei parlato con i miei coetanei il nostro linguaggio, fatto di ricordi, di modi di dire e di anni indimenticabili. Ancora credo ci siano persone normali come me, che si sono tirate indietro, che si sono ritirate in buon ordine sentendosi inadeguate. Io sono una donna normale, moderna ma consapevole della sua età.
Ora vivo serenamente la mia vita perché ho capito che la felicità è dentro di noi. Mi sono interpellata su cosa mi piaceva e volevo fare, sto bene a casa mia e sto bene anche fuori, con la gente perché sono molto socievole ma…… ora ho scoperto la mia libertà. La libertà di fare o non fare nulla, l’autonomia di decidere dove andare e cosa fare e l’indipendenza di fare progetti che piacciono esclusivamente a me. Certo, ogni tanto esco con le pochissime amicizie che mi sono voluta mantenere, ma ora la mia serenità o tristezza non dipendono più dallo stare o non stare soli. Mi sento più forte e amo molto di più gli altri perché non li devo subire. Spero che questa mia porti un po’ di conforto come una ventata di aria fresca a tutte le persone che stanno attraversando un lungo periodo di crisi.

Questa storia è stata pubblicata anche su www.osservatoriosenior.it

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La nuova sfida

Non solo vivere più a lungo, ma vivere bene gli anni aggiuntivi che la vita e il progresso ci stanno offrendo: questa é ormai la sfida che abbiamo davanti.

Nel giro di pochissimo tempo si è diffusa, sui media, tra i politici, nelle aziende e soprattutto tra la gente comune, la consapevolezza della rivoluzione demografica che ha coinvolto le nostre generazioni, rivoluzione ancora in pieno svolgimento. E in Paesi ad elevata longevità come l’Italia, la sorpresa di vivere anche oltre gli ottant’anni si è velocemente trasformata nell’ambizione di vivere con pienezza i decenni di “vita in più” che a molti vengono regalati.

Dietro a questa ambizione c’è il desiderio di sfruttare al meglio questa opportunità ignota a tutte le generazioni precedenti, ma c’é insieme la paura che gli anni della nuova vecchiaia siano lunghi e orribili, gravati da malattie neurodegenerative, da solitudine e da povertà di ritorno (su quest’ultimo aspetto basterebbero i dati riportati negli ultimi giorni dal Sole24ore per essere preoccupati). Solo con queste paure si spiegano le tante affermazioni un po’ angosciate di cinquantenni, sessantenni e settantenni che, di fronte alla fragilità e alla disabilità di tanti ottantenni, novantenni e magari centenari, si chiedono: “ma vale la pena di vivere così a lungo ?”, “ma è ancora vita ?”, “ma siamo di fronte a un progresso o a un peggioramento della condizione umana ?”

Certo che ne varrà la pena… se avremo la capacità di creare le condizioni per esistenze dignitose e dotate di senso, non gravate da malattie lunghe ed umilianti; ne varrà la pena se le prossime conquiste mediche terranno lo stesso passo (non troppo avanti, né troppo indietro) rispetto alle condizioni sociali ed esistenziali.

Riusciremo ad ottenere un tal risultato, così alto ed ambizioso ? E come ? Difficile rispondere, l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno mondiale e le risposte della scienza e dei costumi saranno le più svariate, incrociando culture diverse.

Vi sono proposte e progetti di rilievo che dovrebbero dare una spinta importante in questo senso. Come ad esempio il progetto di innovazione chiamato “Human Technopole Milano 2040”, di recente proposto in sede dopo-Expo e che punta ad aggregare scienziati e competenze delle più svariate discipline con l’obiettivo di trovare le migliori tecnologie per contribuire, tra l’altro, alla qualità della vita e al benessere nell’invecchiamento.

O come la proposta di un paio di anni fa di Fontana, Atella e altri illustri scienziati italiani che auspicavano nascesse dalle scienze della longevità un secondo Rinascimento.

Il mondo scientifico e dell’innovazione speriamo faccia la sua parte, ma sicuramente di almeno pari importanza sarà una trasformazione più sottile eppure dall’enorme impatto, e cioé la diffusione di stili di vita che potranno favorire un “invecchiamento a misura d’uomo” (e non un invecchiamento disumano); stili di vita che riguardano tantissime sfere dell’esistenza, dalle abitudini alimentari, alla cura del proprio corpo, della propria mente, della propria rete sociale e, non ultima, delle proprie finanze.

Questo articolo é stato pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Luci e ombre

I numeri che riguardano i senior devono essere aggiornati in continuazione. Chi si ritrova spesso a presentarli in pubblico sa che bisogna controllarli prima di ogni occasione. Noi senior siamo ormai studiati e monitorati con grande attenzione e infatti quasi settimanalmente esce qualche nuovo dato che ci riguarda.

Proviamo allora a fare il punto, che è fatto di luci ed ombre.

Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha accreditato di recente noi Italiani di un’aspettativa di vita di 80 anni per gli uomini e di 85 per le donne e di una aspettativa di vita in buona salute salita mediamente fino a 73 anni. Numeri che ormai non sorprendono più, ma è significativo che anche istituzioni importanti lo certifichino: siamo più longevi e riusciamo a stare in buona salute più a lungo che in passato. E il trend non accenna a modificarsi.  Inoltre, un numero sempre maggiore di senior fa controlli preventivi sulla propria salute e naturalmente la maggiore prevenzione va a favore di un maggior benessere complessivo: è quanto emerge dall’indagine sui “nuovi senior” descritta da Isabella Cecchini su Osservatorio Senior.

Più in generale, i costumi e gli stili di vita dei senior stanno cambiando in modo prepotente: ci teniamo ad essere in forma fisica, in forma mentale e “in forma sociale”.

Che la forma fisica interessi un numero crescente di senior lo testimoniano i dati sulla frequenza a palestre e a corsi di fitness, così come il successo dei tanti trattamenti, cosmetici e non, che ritardano l’invecchiamento; senza contare l’avvento di una pubblicità commerciale che rappresenta sessantenni e settantenni in aspetto smagliante.

La “mente in forma” è un altro must ben presente oggi ad ogni senior: un po’ che gli over55 sono molto più scolarizzati che in passato; un po’ per via degli interessi culturali coltivati per tutta la vita e l’abitudine a lavori spesso a contenuto intellettuale; un po’ per la paura delle malattie di decadimento cognitivo; fatto sta che il senior di oggi si prende molto cura della propria mente e non smette di essere curioso e di imparare: basterebbe il dato sulla diffusione delle università della terza età e delle migliaia di corsi e attività culturali offerti ai senior per dimostrarlo.

A noi senior di oggi poi è stato spiegato che nell’invecchiamento è importante anche la socialità e tendiamo a non farci mancare nulla neppure sotto questo profilo: tenersi in “forma sociale” significa continuare a coltivare le relazioni con gli altri e in Italia questo spesso si traduce da una parte nella crescita dell’associazionismo e del volontariato senior, dall’altra nel dedicare tempo ed energie all’aiuto familiare. E’ attraverso queste modalità che prevalentemente ci si mantiene vivi anche come “animali sociali”.

I dati più recenti ci raccontano anche di un mondo senior che sta sempre di più al lavoro: sarà per la legge sull’età pensionabile, sarà per il cambiamento di abitudini di vita, sarà per la necessità dei sessantenni di mantenere un reddito da lavoro e per alcune imprese l’opportunità di mantenere al lavoro competenze utili, sta di fatto che gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati e il tasso di inattività per questa fascia di età è andato sotto il 50%, dal 62% di quattro anni fa.

E chi si occupa di patrimoni cosa ci racconta? Su questo fronte, fondamentalmente si registra una continuità: i senior di oggi rimangono le generazioni con il portafogli più rifornito, anche se sta aumentando l’ansia sulla possibilità di mantenere nel tempo lo stesso tenore di vita.

Le luci, insomma, sono tante: noi senior viviamo più a lungo e in buona salute, facciamo più prevenzione e otteniamo maggior benessere, ci teniamo in forma fisica, mentale e sociale; inoltre siamo le generazioni che meno soffrono i problemi della disoccupazione e della crisi economica.

Tutto bene dunque? Naturalmente no. Tutta una serie di aspetti sono problematici e direi collegati alla nuova condizione psicologica e sociale dei senior.

Ad esempio sono numerosi i casi di solitudine, psicologica e non, di sessantenni e settantenni, solitudine che spesso si affianca alla fatica nel comprendere il passaggio di età e la transizione da una fase della vita ad un’altra. E’, questa, una fatica che non raramente sfocia anche in depressione.

Inoltre, le graduatorie internazionali, come il Global Age Watching Index sulla qualità della vita, relegano noi Italiani senior nelle posizioni medie della classifica e, andando su aspetti specifici, in posizione infima quando ci viene chiesta la nostra percezione di libertà su cosa fare del futuro.

A questi disagi e a queste insoddisfazioni spesso si aggiunge la fatica nel trovare occupazioni quotidiane che interessino e soprattutto a dare un senso al lungo futuro che ci attende. Problema, quest’ultimo, più frequente tra chi era molto impegnato sul lavoro e con responsabilità.

Ma l’ombra che sovrasta le altre riguarda la nebulosa che avvolge i rapporti con le generazioni più giovani e che si nutre di contraddizioni fortissime: su questo le generazioni senior appaiono in bilico tra generosità (talvolta persino eccessiva) quando si parla di rapporto privato e familiare nei confronti dei figli, ma che si trasforma spesso in difesa dei propri privilegi quando ci si sposta sul piano pubblico.

Un mondo, quello dei senior, caratterizzato dunque da molte luci, in primis la consapevolezza delle molte opportunità, ma anche da alcune ombre che richiedono attenzione.

Questo articolo é pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Invecchiare bene, invecchiare male

Ti accorgi del tempo che passa quando incontri un amico o un conoscente che non vedevi da qualche anno e immediatamente ti accorgi che ha qualche ruga in più, uno sguardo e un portamento un po’ diversi, un colore diverso dei capelli.

In quel momento, come se ti riflettessi in uno specchio, capisci che anche nel tuo aspetto estetico necessariamente deve essere cambiato qualcosa, a cui avevi fatto poco caso perché con la tua immagine fai i conti tutti i giorni e le trasformazioni fisiche sono quasi sempre molto graduali.

L’atteggiamento di fronte ai cambiamenti del proprio aspetto fisico è il primo segnale di come ci si pone di fronte all’invecchiamento: c’è chi lo accetta, con un po’ di sorpresa e magari cercando di rallentare con qualche artificio estetico le manifestazioni meno simpatiche, però fondamentalmente considerandolo come la naturale evoluzione del proprio corpo e in generale della vita; c’è chi invece lo rifiuta, reputandolo un brutto scherzo del destino o un attentato alla propria identità, e talvolta infilandosi su un sentiero di interventi estetici ringiovanenti quasi mai di piacevole riuscita.

Ma è anche su altri fronti, non solo su quello del’aspetto fisico e dell’estetica, che vedi le differenze tra chi invecchia bene e chi invecchia male.  Ad esempio, un altro segnale evidente è dato dalla direzione verso la quale sono orientati i pensieri: verso il passato oppure verso il presente e il futuro. Quando un sessantenne concentra i propri pensieri sui ricordi del passato, trascorre la giornata con l’occhio incollato allo specchietto retrovisore e non riesce ad evitare a ogni pie’ sospinto di far confronti tra l’oggi (che risulta sempre perdente) e l’ieri (che risulta sempre migliore), allora si può dar per certo che in questo caso i decenni dell’invecchiamento non saranno una passeggiata piacevole. Diverso sarà per il coetaneo che, pur facendo i conti con i crescenti limiti che derivano dall’età, riesce ancora ad immergersi con tutte le proprie energie e passioni nelle vicende della vita quotidiana e trova la motivazione per pensare a progetti futuri.

Infine, se è vero – come dicono tanti esperti – che la riscoperta della “socialità non strumentale” è una delle opportunità che si hanno quando si entra nella fase di vita da senior, una differenza tra chi invecchia bene e chi invecchia male passa sicuramente anche tra chi sfrutta questa opportunità ampliando le occasioni di incontro con le altre persone e chi al contrario si rifugia nella propria solitudine senza cercare di uscirne.

Insomma, allungandosi il tempo della vita attiva anche dopo il culmine della maturità adulta, dovremmo tutti imparare come invecchiare bene. Accettare l’evoluzione del nostro corpo, riuscire a vivere appieno il presente, riuscire ad immaginarsi il futuro e coltivare la socialità sono i primi passi.

Questo articolo viene pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Invecchiare bene

Le statistiche sull’allungarsi della vita media e sull’invecchiamento della società ormai ci sommergono: un fenomeno che fino a poco tempo fa era materia per addetti ai lavori nel volgere di pochi anni è diventato di dominio comune. La vera sfida non sembra neppure più quella di riuscire a vivere a lungo, ma di invecchiare rimanendo vivaci di testa, di gambe e di cuore.

Al senior cui piace questa prospettiva, la scienza offre dei formidabili agganci per affrontare il resto della propria vita con ottimismo. Ad esempio, una disciplina che negli ultimi anni si sta rivelando fertilissima, le neuroscienze, ha portato alla luce, tra le tante scoperte, che il nostro cervello ha una grande capacità di rigenerarsi e un’insospettata capacità di apprendere, di adattarsi e di svilupparsi, anche ad età avanzata. La persona che invecchia bene può, tra le tante intelligenze di cui potenzialmente dispone (c’è chi ne ha individuate nove: ad esempio, l’intelligenza linguistica, quella cinestesico-corporale, quella visivo-spaziale, quella logico-razionale, ecc) non smettere di coltivare quelle per cui è maggiormente portata, senza farsi troppi crucci se altre intelligenze per cui è meno votata declinano rapidamente. E sempre le neuroscienze avvertono che quando manifestiamo pensieri, immagini, emozioni, sensazioni, vi è una modificazione dell’attività del cervello, il quale é stimolato non solo da esperienze mentali ed affettivo-emotive (fenomeno che tutto sommato già sapevamo) ma pure da esperienze fisico- corporali. Insomma, una bella passeggiata stimola il nostro cervello non meno di un incontro carico di emozioni con un vecchio amico o di una lettura interessante.

Un grande degli studi sull’invecchiamento, Marcello Cesa-Bianchi, ha scritto: “Da vecchi e longevi è sempre possibile imparare, fare nuove esperienze, conoscere qualcosa di sé che per tutta la vita era sfuggito, dare un senso diverso ai giorni che si vivono”.

Le scienze ci dicono che ci sono le possibilità per un buon invecchiamento. La saggezza che il buon invecchiamento lo troviamo anche nell’introspezione e nella serenità dentro noi stessi.

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Senior nel mirino della aziende

A New York nel 2015 aprirà i battenti il primo Longevity Center, seguito da altri nove che vedranno la luce in tutto il mondo, tra cui Hong Kong e San Paolo nel Brasile. Si tratta di un’iniziativa del dipartimento del colosso Nestlè che si occupa della salute della pelle.

Il Longevity Center sarà una sorta di “centro benessere per la longevità” il cui nemico dichiarato sarà l’eccessiva secchezza e la perdita d’elasticità della pelle da cui è difficile sfuggire dopo i 60 anni. D’altra parte, l’iniziativa non é isolata: già da qualche anno L’Oréal propone come ambasciatrice dei propri prodotti di cosmetica il mito Jane Fonda, non esattamente una giovincella ma sempre affascinante icona nell’immaginario di ogni 60-70enne.

Cambiando settore, le aziende farmaceutiche stanno affilando le armi da tempo e prevedono un incremento forte delle vendite di tutti farmaci che contrastano le malattie tipiche dei senior. Se poi si ascolta cosa dicono alla Borsa del Turismo della Terza Età, lì non hanno dubbi sul fatto che il segmento di mercato maggiormente in crescita sia quello dei senior, così le offerte progettate per questo target cominciano ad abbondare, dalle evergreen excursions alle crociere fuori stagione. E anche la moda terza età comincia ad avere la sua importanza e il suo spazio.

Capita anche di incrociare pubblicità di tablet pensati apposta “per persone anziane, con un interfaccia semplificata ed icone di dimensioni molto più grandi rispetto allo standard”, perché ormai anche gli over 60 si sono digitalizzati. Continuando con gli esempi, Heineken, non paga di catturare i bevitori di birra più giovani, ha lanciato in rete qualche tempo fa 60+Challenge, una richiesta alle persone di questa fascia di età di fornire idee per il lancio di una birra dedicata alle loro generazioni.

Se poi sto alle mie esperienze personali, mi è capitato di essere consultato da aziende dei settori più svariati, dai superalcoolici, ai probiotici, agli occhiali, che mi ponevano la domanda: quali sono le esigenze dei senior a cui dobbiamo essere sensibili se vogliamo proporre i nostri prodotti anche a questa fascia di mercato ?

Non c’è da stupirsi che i senior siano nel mirino delle aziende. Bastano pochi dati per capire come mai moltissime di loro stanno orientando le strategie verso il mondo senior. La società, in tutto il mondo, invecchia: un miliardo di persone oltre i 60 anni nel 2020 e, solo in Italia, nel 2030 due persone su cinque saranno over65, in pratica stiamo parlando della fetta di mercato più grande, ma anche di quella più succosa, dato che il portafoglio dei senior è di solito meglio rifornito di quello dei giovani.

L’attenzione delle aziende non si limita però soltanto al guardare il mondo senior come un mercato. Sta crescendo l’interesse anche per ragioni interne al funzionamento delle organizzazioni: il pensionamento dei dipendenti arriva sempre più tardi e gli “scivoli” dei tardo-cinquantenni verso l’uscita anticipata dal lavoro, che sono stati diffusissimi negli scorsi vent’anni, oggi sono un po’ meno convenienti e meno facili. Con un’espressione anglofila si va facendo strada nelle aziende la tematica del cosiddetto “age management”, che significa poi riconoscere anche dentro le mura delle organizzazioni la rivoluzione demografica in corso e imparare a gestire i sessantenni, tenendo conto  della loro esperienza, dei loro limiti e delle loro motivazioni.

Insomma: senior come grande mercato e contemporaneamente come risorse da gestire con una particolare attenzione. Il mondo delle aziende sta riconoscendo forse con un certo ritardo le opportunità e i cambiamenti legati all’invecchiamento della società, ma ormai il treno è in corsa e di questa nuova attenzione ce ne accorgeremo in modo massiccio nel prossimo futuro, da quel che troveremo nei negozi, alla pubblicità che vedremo in televisione, fino al modo in cui verrà trattato chi da sessantenne continuerà a lavorare in un’organizzazione.

In foto: donna over55 alle prese con lo shopping

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Senior che vivono insieme

Affollata conferenza-dibattito domenica scorsa, 12 ottobre, all’incontro sul “Cohousing Senior” svoltosi all’interno dell’ Experimentdays Milano 2014, “Fiera dell’Abitare collaborativo”. L’evento, ricco di due giorni di esposizioni e conferenze dedicate a nuovi modi di abitare la città, è arrivato in Italia dopo 10 anni di promozione di nuovi stili di vita legati all’abitare consapevole a Berlino e in Germania.

Evidentemente le nuove formule abitative in vista dell’invecchiamento intercettano anche da noi la curiosità ed un bisogno diffuso dei senior di individuare soluzioni più accattivanti di quelle dell’abitazione monofamiliare a rischio solitudine o di scovare alternative, una volta persa l’autonomia, al rimedio della casa di cura o del badante.

Il dibattito dedicato alle “abitazioni collaborative per senior”, aiutato dal medico Pino Frau e dall’ architetto Francesco Cocco di Abitare Sociale, oltre che dai contributi di numerosi esperti, come ad esempio la svedese Kerstin Kårnekull autrice di un libro sui senior che vivono insieme o il madrileno Rogelio Ruiz, ha permesso di mettere in comune idee su quali sono i problemi più sentiti legati alla scelta di vivere in cohousing ad una certa età, ma anche i “sogni abitativi” per l’invecchiamento di più e meno giovani.

Qual è l’Eden più desiderato ? Vivere in luoghi belli, con spazi autonomi e indipendenti associati a parti comuni che forniscano non solo “servizi all’abitare” (il giardino, l’orto, la palestra, la lavanderia, ecc) e alla socialità (come sale comuni), ma anche servizi alla persona (ad esempio, assistenza e sostegno quando servono). La speranza è invecchiare adottando un modo di vivere che si è scelto e non è percepito come obbligato; l’ideale é evitare il ghetto per anziani, sostituito invece da presenze di persone di tutte le età: così si presenta il sogno di chi pensa al cohousing per la seconda parte della propria vita.

Realisticamente la conferenza ha evidenziato però che le distanze per realizzare il sogno sono grandi e numerose: economiche, psicologiche, di offerta del mercato immobiliare, di identificazione dei vicini cohousers, ma è soprattutto un cambiamento culturale quello che potrebbe avvicinare più persone a questa soluzione abitativa: infatti, anche solo immaginare che ci sono alternative alla casa di cura, alla badante, alla solitudine o, nella migliore delle ipotesi, alla famiglia tradizionale che torna ad allargarsi, potrebbe già essere un passo avanti.

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Dove gli over60 vivono meglio

Noi italiani saremmo addirittura precipitati, nel breve volgere di un anno, dalla 27a alla 39a posizione nella classifica proposta dal Global Age Watch Index, uno studio realizzato annualmente su 96 Paesi del mondo da Help Age International e presentato come al solito ad inizio ottobre in occasione della Giornata Internazionale delle Nazioni Unite dedicata ai senior.

Quali sono i Paesi dove i senior vivono meglio ? E perché l’Italia compare in fondo alla classifica dei Paesi europei occidentali e sempre peggio nel ranking mondiale ?

Campione del mondo figura la Norvegia, al secondo posto la Svezia, al terzo la Svizzera, e poi via di seguito, nei primi dieci posti, Paesi dell’Europa dell’Ovest, Nordamericani, dell’Australasia, oltre al Giappone. Noi, solo al 39° posto, tra le Mauritius (prima di noi) e l’Armenia (subito dopo). In fondo alla classifica: Afghanistan, Mozambico, Gaza, Malawi, Tanzania.

I criteri in base ai quali viene stabilita la qualità della vita in ciascun Paese sono gli stessi dell’anno scorso: il livello e la sicurezza del reddito disponibile, le condizioni di salute e l’aspettativa di vita, le capacità personali di lavoro e culturali, le condizioni sociali e ambientali favorevoli (come ad esempio la rete familiare e degli amici, il senso di sicurezza nel girare da soli per strada o la qualità dei mezzi pubblici). E come l’anno scorso, la nostra classifica cambia completamente a seconda dei fattori che consideriamo. Noi italiani siamo ai vertici della classifica se consideriamo il fronte della salute, misurato dagli autori dell’indagine dall’aspettativa di vita a 60 anni, dall’aspettativa di vita in salute alla stessa età e dal riuscire a dare un senso positivo alla vita. E non sfiguriamo (25esimi) neppure guardando alla sicurezza del reddito: malgrado l’allungamento dell’età della pensione e il peggioramento dei dati sul rischio povertà, qui giocano a favore la copertura pensionistica universale, la ricchezza immobiliare e soprattutto il fatto che in Italia il reddito e i consumi dei senior, rispetto a quello di altre fasce di età, non è penalizzato, a differenza di altri Paesi dove invece il trentenne è di solito più ricco del sessantacinquenne. Dove crolla la nostra posizione in classifica è sulle capacità personali (69° posto) e ancor più sulle condizioni ambientali (74esimi). Le cosiddette capacità personali sono – opinabilmente – misurate da due fattori: il tasso di occupazione dei 55-64enni (che sta aumentando gradualmente ma che rimane sempre incredibilmente basso rispetto agli altri Paesi più avanzati) e il tasso di scolarità, misurato dalla percentuale di over60 con almeno istruzione secondaria, il che dovrebbe dare, secondo l’indagine, una maggior capacità di comprendere come va il mondo. Infine, per quanto riguarda le condizioni ambientali, siamo messi male sia per la percezione di sicurezza, sia per il basso senso di libertà nel fare scelte che riguardano la propria vita quando si è anziani, sia per la soddisfazione per i trasporti pubblici. Ci salviamo solo per la rete sociale e familiare che, pensiamo, non ci lascerebbe soli in caso di necessità.

Fin qui i dati. Starei però ben attento a considerare questi indicatori come espressione sicura della “qualità della vita” percepita da un senior. Sono aspetti certamente utili per aiutare a definire delle politiche pubbliche verso i senior, ma la “qualità della vita” la legherei di più alla soddisfazione delle preferenze individuali e alle aspirazioni personali di ciascuno di noi. Penso cioé che la “qualità della vita” sia una condizione troppo soggettiva per poter essere ingabbiata in queste misurazioni.

Per spiegarmi, riprendo un esempio paradossale che facevo un anno fa su questo stesso blog: una 63enne che abita in una cittadina sul mare con molti giorni di sole ma probabilmente con servizi pubblici allo stretto indispensabile, in pensione da qualche anno dopo decenni di lavoro con una pensione di ottocento euro al mese che insieme a quella del marito le consente di vivere sì modestamente ma senza particolari angosce, che trascorre la giornata dedicandosi ai nipoti e alla casa, che nel tempo libero passeggia sul lungomare o guarda la televisione, che non frequenta alcun corso o associazione, che a due passi da casa trova il medico di base che la conosce bene ma che deve fare chilometri per l’ospedale e gli specialisti, magari che vive in una zona ad alta intensità di reati anche se quando esce di casa vicini e negozianti la salutano con cortesia, ebbene questa nostra signora 63enne in base ai parametri utilizzati per misurare la “qualità della vita” risulterebbe in condizioni disastrose. Ma siamo proprio sicuri che sia così ? Che invece la sensazione di benessere e di soddisfazione per la propria vita non sia per questa signora più che buona ? E che magari non vorrebbe cambiarla con nessun’altra vita ?

E poi c’è anche qualcos’altro che non torna: perché gli over60 emigrano sempre di più, ma non in direzione dei Paesi che stanno in cima alla classifica di Help Age International, bensì verso altri Paesi dove la qualità della vita dei senior risulta più bassa di quella italiana ?

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Il salvadanaio delle famiglie

Tutte le indagini mettono in evidenza che il principale ammortizzatore sociale di questi anni di crisi sono state le famiglie. All’interno delle famiglie, a fronte dei redditi dei più giovani che spesso non consentono l’autonomia, i redditi e i risparmi degli over50 (fino agli ottantenni e oltre) sono quelli che più contribuiscono alla gestione economica familiare, costituendo il vero salvadanaio delle famiglie. Si sta però facendo strada una preoccupazione crescente sulla capacità di mantenere nel tempo questa “riserva”, sia tra i già pensionati (anche tra coloro che hanno goduto di un discreto benessere ma che negli ultimi anni hanno visto assottigliarsi il patrimonio), sia tra coloro che inizieranno a percepire l’assegno pensionistico dopo i 65 anni. Fino a quando i senior potranno funzionare da “salvadanaio delle famiglie” ?

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