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La scrittura autobiografica è scrittura di sé

Ricevo da Silvia Ghidinelli e volentieri pubblico. 

Mi sono sempre piaciute le biografie, ne ho lette tante di uomini, di donne, di artisti famosi e di tutti mi interessava la loro vita straordinaria e le persone conosciute, ma soprattutto il loro modo di affrontare le varie occasioni che la vita aveva presentato loro. Se poi mi capitava di leggere autobiografie era un piacere: da Simone De Beauvoir a Neruda, a Lalla Romano ho letto con gusto tratti di tante vite, finché ad un certo punto mi sono chiesta: Perché mi piacciono tanto le narrazioni personali di vite passate? A che cosa serve narrare il proprio passato?

Mi sembra che l’autobiografia permetta di riconoscersi nella figura che porta il nostro nome e la nostra storia disegnata sulla faccia. Mi pare che scrivere di sé serva a non rimanere schiacciati sul presente della nostra vita ma a cercarvi un senso, attraverso la narrazione. Ma anche a trovare, nella determinazione di scelte, amicizie, amori, abitudini, errori, il nostro carattere, la sua evoluzione e a capire il nostro destino. Inoltre l’autobiografia consente una seconda lettura delle vicende della vita. La prima lettura è stata nel momento della vita vissuta, meno consapevoli, guidati dal temperamento, dall’istinto, dall’amore, dal risentimento, mentre una seconda lettura, più avanti negli anni, a bocce ferme, ci permette di vedere il filo di Arianna che ci ha guidati: un’occasione irripetibile e imperdibile di vedere la nostra vita come una metafora e forse comprendere il senso di un lungo cammino. Ed è così che pian piano, mi sono trovata faccia a faccia con il desiderio di “fare scrittura autobiografica”, e la ricerca di un corso collettivo di supporto che mi aiutasse a metterla in pratica e non sono stata delusa.

La scrittura autobiografica mi ha dato la consapevolezza stabile delle conquiste interiori certe nel mio percorso di vita. Scrivere è stato un sicuro riappropriarmi dei miei percorsi esistenziali e delle mete raggiunte, guidata dalla curiosità di incontrare me stessa. Ho la chiara immagine che prima, col pensiero e con i miei scritti sporadici, illuminassi con una torcia degli “angoli” di vita, tra paesaggi indistinti; invece la scrittura autobiografica mi ha permesso di illuminare a giorno i miei scenari, aperti e non più temuti. Inoltre rivestire di parole scritte i fatti, le persone e le emozioni della mia vita è stato per me dimostrare cura verso me stessa. Ancora: ascoltare le vite degli altri ha dilatato il mio mondo interiore. Infatti il confronto con l’altro, evidenziando approcci alla vita diversi dai miei, è stato uno specchio che ha trasmesso di riflesso le mie specificità emotive e ha contribuito alla più profonda scoperta di me.

Questa scrittura mi ha regalato la distanza emotiva dagli eventi della mia vita, così utile a guardare in faccia le cose avvenute, senza esserci dentro, e da questa prospettiva osservarle, accettarle e lasciarle andare. Mi ha portato anche in dono concentrazione, centratura, scoperta, indulgenza, pace e da qui alla scoperta di nuovi desideri e pertanto ancora progettualità future. Dunque narrare il nostro passato è un elemento indispensabile per dare un senso non solo alla nostra vita passata, ma anche presente e futura. Quale migliore cura di sé?

Questo articolo è stato pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Luci e ombre

I numeri che riguardano i senior devono essere aggiornati in continuazione. Chi si ritrova spesso a presentarli in pubblico sa che bisogna controllarli prima di ogni occasione. Noi senior siamo ormai studiati e monitorati con grande attenzione e infatti quasi settimanalmente esce qualche nuovo dato che ci riguarda.

Proviamo allora a fare il punto, che è fatto di luci ed ombre.

Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha accreditato di recente noi Italiani di un’aspettativa di vita di 80 anni per gli uomini e di 85 per le donne e di una aspettativa di vita in buona salute salita mediamente fino a 73 anni. Numeri che ormai non sorprendono più, ma è significativo che anche istituzioni importanti lo certifichino: siamo più longevi e riusciamo a stare in buona salute più a lungo che in passato. E il trend non accenna a modificarsi.  Inoltre, un numero sempre maggiore di senior fa controlli preventivi sulla propria salute e naturalmente la maggiore prevenzione va a favore di un maggior benessere complessivo: è quanto emerge dall’indagine sui “nuovi senior” descritta da Isabella Cecchini su Osservatorio Senior.

Più in generale, i costumi e gli stili di vita dei senior stanno cambiando in modo prepotente: ci teniamo ad essere in forma fisica, in forma mentale e “in forma sociale”.

Che la forma fisica interessi un numero crescente di senior lo testimoniano i dati sulla frequenza a palestre e a corsi di fitness, così come il successo dei tanti trattamenti, cosmetici e non, che ritardano l’invecchiamento; senza contare l’avvento di una pubblicità commerciale che rappresenta sessantenni e settantenni in aspetto smagliante.

La “mente in forma” è un altro must ben presente oggi ad ogni senior: un po’ che gli over55 sono molto più scolarizzati che in passato; un po’ per via degli interessi culturali coltivati per tutta la vita e l’abitudine a lavori spesso a contenuto intellettuale; un po’ per la paura delle malattie di decadimento cognitivo; fatto sta che il senior di oggi si prende molto cura della propria mente e non smette di essere curioso e di imparare: basterebbe il dato sulla diffusione delle università della terza età e delle migliaia di corsi e attività culturali offerti ai senior per dimostrarlo.

A noi senior di oggi poi è stato spiegato che nell’invecchiamento è importante anche la socialità e tendiamo a non farci mancare nulla neppure sotto questo profilo: tenersi in “forma sociale” significa continuare a coltivare le relazioni con gli altri e in Italia questo spesso si traduce da una parte nella crescita dell’associazionismo e del volontariato senior, dall’altra nel dedicare tempo ed energie all’aiuto familiare. E’ attraverso queste modalità che prevalentemente ci si mantiene vivi anche come “animali sociali”.

I dati più recenti ci raccontano anche di un mondo senior che sta sempre di più al lavoro: sarà per la legge sull’età pensionabile, sarà per il cambiamento di abitudini di vita, sarà per la necessità dei sessantenni di mantenere un reddito da lavoro e per alcune imprese l’opportunità di mantenere al lavoro competenze utili, sta di fatto che gli occupati tra i 55 e i 64 anni sono aumentati e il tasso di inattività per questa fascia di età è andato sotto il 50%, dal 62% di quattro anni fa.

E chi si occupa di patrimoni cosa ci racconta? Su questo fronte, fondamentalmente si registra una continuità: i senior di oggi rimangono le generazioni con il portafogli più rifornito, anche se sta aumentando l’ansia sulla possibilità di mantenere nel tempo lo stesso tenore di vita.

Le luci, insomma, sono tante: noi senior viviamo più a lungo e in buona salute, facciamo più prevenzione e otteniamo maggior benessere, ci teniamo in forma fisica, mentale e sociale; inoltre siamo le generazioni che meno soffrono i problemi della disoccupazione e della crisi economica.

Tutto bene dunque? Naturalmente no. Tutta una serie di aspetti sono problematici e direi collegati alla nuova condizione psicologica e sociale dei senior.

Ad esempio sono numerosi i casi di solitudine, psicologica e non, di sessantenni e settantenni, solitudine che spesso si affianca alla fatica nel comprendere il passaggio di età e la transizione da una fase della vita ad un’altra. E’, questa, una fatica che non raramente sfocia anche in depressione.

Inoltre, le graduatorie internazionali, come il Global Age Watching Index sulla qualità della vita, relegano noi Italiani senior nelle posizioni medie della classifica e, andando su aspetti specifici, in posizione infima quando ci viene chiesta la nostra percezione di libertà su cosa fare del futuro.

A questi disagi e a queste insoddisfazioni spesso si aggiunge la fatica nel trovare occupazioni quotidiane che interessino e soprattutto a dare un senso al lungo futuro che ci attende. Problema, quest’ultimo, più frequente tra chi era molto impegnato sul lavoro e con responsabilità.

Ma l’ombra che sovrasta le altre riguarda la nebulosa che avvolge i rapporti con le generazioni più giovani e che si nutre di contraddizioni fortissime: su questo le generazioni senior appaiono in bilico tra generosità (talvolta persino eccessiva) quando si parla di rapporto privato e familiare nei confronti dei figli, ma che si trasforma spesso in difesa dei propri privilegi quando ci si sposta sul piano pubblico.

Un mondo, quello dei senior, caratterizzato dunque da molte luci, in primis la consapevolezza delle molte opportunità, ma anche da alcune ombre che richiedono attenzione.

Questo articolo é pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Invecchiare bene

Le statistiche sull’allungarsi della vita media e sull’invecchiamento della società ormai ci sommergono: un fenomeno che fino a poco tempo fa era materia per addetti ai lavori nel volgere di pochi anni è diventato di dominio comune. La vera sfida non sembra neppure più quella di riuscire a vivere a lungo, ma di invecchiare rimanendo vivaci di testa, di gambe e di cuore.

Al senior cui piace questa prospettiva, la scienza offre dei formidabili agganci per affrontare il resto della propria vita con ottimismo. Ad esempio, una disciplina che negli ultimi anni si sta rivelando fertilissima, le neuroscienze, ha portato alla luce, tra le tante scoperte, che il nostro cervello ha una grande capacità di rigenerarsi e un’insospettata capacità di apprendere, di adattarsi e di svilupparsi, anche ad età avanzata. La persona che invecchia bene può, tra le tante intelligenze di cui potenzialmente dispone (c’è chi ne ha individuate nove: ad esempio, l’intelligenza linguistica, quella cinestesico-corporale, quella visivo-spaziale, quella logico-razionale, ecc) non smettere di coltivare quelle per cui è maggiormente portata, senza farsi troppi crucci se altre intelligenze per cui è meno votata declinano rapidamente. E sempre le neuroscienze avvertono che quando manifestiamo pensieri, immagini, emozioni, sensazioni, vi è una modificazione dell’attività del cervello, il quale é stimolato non solo da esperienze mentali ed affettivo-emotive (fenomeno che tutto sommato già sapevamo) ma pure da esperienze fisico- corporali. Insomma, una bella passeggiata stimola il nostro cervello non meno di un incontro carico di emozioni con un vecchio amico o di una lettura interessante.

Un grande degli studi sull’invecchiamento, Marcello Cesa-Bianchi, ha scritto: “Da vecchi e longevi è sempre possibile imparare, fare nuove esperienze, conoscere qualcosa di sé che per tutta la vita era sfuggito, dare un senso diverso ai giorni che si vivono”.

Le scienze ci dicono che ci sono le possibilità per un buon invecchiamento. La saggezza che il buon invecchiamento lo troviamo anche nell’introspezione e nella serenità dentro noi stessi.

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Ho iniziato per un disagio generazionale

Il sessantenne Marco Martini mi ha inviato, come sua storia, il testo di una intervista che gli è stata fatta dopo aver vinto il “Traders’ Cup”, un campionato di trading con denaro reale, organizzato da Traders’ Magazine Italia in collaborazione con Borsa Italiana.  Pubblico un estratto di questa intervista.

sfondo campanileDice Marco: “Sono un sessantenne. Sono artigiano, commerciante e tecnico.  Ho fatto la scuola dell’obbligo e ho delle abilitazioni tecniche per il mio lavoro.
Ho una compagna e sono padre di un trentunenne, nato da una precedente relazione.
Vivo in Liguria. West Liguria. Una terra unica. A Bussana Vecchia. Tra i ruderi di un sogno hippy”.
Qual è, chiede l’intervistatore, il suo percorso di formazione nel trading finanziario ? “Ho iniziato per un disagio generazionale. Io nasco in provincia nei primi anni della seconda metà del secolo scorso, con le prime TV nelle case, le bombole del gas invece di legna e fascine, la plastica , il Moplen. Il primo telefono era in duplex. Il primo fax sono andato, incredulo, a vederlo arrivare in una ditta di fiori.
Poi, superati i quarant’anni, come uno schiaffo, la fantascienza diventa inesorabilmente realtà. Cervelli elettronici, PC portatili, telefoni cellulari, ADSL, Internet, comunicazione, new economy (cioè soldi dai soldi). Tanto da imparare, e a me piace.
con graficiCon Mauro, amico e bravo informatico, ci procuriamo dei software, un tipo ci vende lo scibile sul trading a 125 euro (correva l’anno 2003). Avevamo tutti i software esistenti… un centinaio… Resto folgorato, mi piace. A 50 anni appartengo a questo tempo, decido che  mi sarei formato un poco anche  in questa disciplina. Leggo un gran numero di libri e teoremi, mi piace; così lontano dal mio quotidiano. Vivo le varie teorie, approcci e matematiche come se fossero romanzi. Ed eccomi qua….

L’intervistatore chiede a Marco anche come si svolge la sua giornata.
“Non ho una giornata tipo, il trading é un hobby. Rilassante ed eccitante, più del tresette o del poker al bar. Ma con un potenziale enorme. Quando sono alla piattaforma osservo, valuto e a volte opero. Comunque se cominci alle 8 ti prepari. Alle 8,30 – 9 partono le banche Europee, poi notizie sui vari partecipanti alla bagarre. C’é di che divertirsi”.  In foto: Marco Martini

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Apprendere una nuova vita tecnologica

Sabato pomeriggio. Due ore libere da impegni in cui mi ritrovo seduto in salotto con Daniela. Potremmo chiacchierare un po’, invece lei mi dice che vorrebbe iscriversi ad uno dei nuovi servizi di car sharing che stanno prendendo piede in città e che potremmo farlo ora insieme. Nostra figlia, che già se ne serve, ci ha detto che è molto comodo e facile da usare. Per niente convinto, mi siedo di fianco a lei e insieme ci cimentiamo con il primo passo: l’iscrizione. La prima schermata del sito che offre il servizio dice che bastano pochi minuti, noi – imbranati digitali che di fronte alla app da scaricare facciamo un gran casino tra tablet suo, smartphone mio, computer comune e carte di credito non abilitate – riusciamo ad avere la conferma che siamo riusciti ad iscriverci solo dopo un’ora e mezza abbondante. A quel punto, sfiniti ma desiderosi di verificare come funziona davvero il giocattolo, facciamo subito una prenotazione con l’intenzione di un giro in centro: siamo fortunati, troviamo un’auto vicino a casa e nessun ostacolo sin quando dobbiamo lasciare la vettura: a quel punto non c’è verso di riuscire a lasciare chiuse a chiave le portiere e passano minuti e minuti (ogni minuto costa) in cui affannosamente ci dimeniamo tra interpretazioni di cosa dice il computer di bordo, sms alla società fornitrice e connessione la più veloce possibile al sito del fornitore del servizio per rileggersi il regolamento. Alla fine ce la facciamo. Poco dopo telefona un amico e quando gli raccontiamo le peripezie per riuscire nell’impresa, arriva la sentenza: “Ma alla vostra età ? Lasciate queste cose a quelli più giovani che con le app ci sono nati !”

Le news in internet in tempo reale, l’acquisto di beni e servizi in rete, l’assistenza tecnica richiesta attraverso messaggi lasciati sui siti dei fornitori, le comunicazioni attraverso i social network, l’uso di smartphone, app e tablet, sono tutte tessere di un mosaico di abitudini quotidiane che stravolge routine consolidate in decenni di esperienza e che mette a dura prova l’autostima di un senior.

Riportava pochi giorni fa La Stampa (naturalmente la notizia l’ho trovata on line) alcuni dati di giugno di comScore, un’organizzazione che si propone come leader mondiale nella misurazione del mondo digitale. Secondo questa fonte “è intensa l’attività digitale di coloro che hanno superato i 55 anni oggi, gli anziani digitali di domani. Sono, infatti, 5,1 milioni gli utenti di Internet che fanno parte di questa fascia d’età…” Gli over 55 sono quelli che registrano i più alti livelli di crescita nell’accesso ai social network e ai siti, ad oggi sono 4,4 milioni… Di questi 3,6 milioni sono su Facebook e 600 mila su Twitter. In 4,5 milioni frequentano siti di news e informazione…”  In foto: due senior al computer

Per quanto riguarda poi l’uso di telefoni cellulari o smartphone i numeri sono ancora più consistenti: “la base di utenti mobile over 55 è pari a poco più di 15 milioni (48 milioni la base utenti complessiva mobile). In questa fascia d’età, il 55% possiede uno smartphone (8,5 milioni di persone)… Le attività principalmente svolte tramite app o siti `mobile´ sono: consultare il meteo (oltre il 40% degli over 55 con un telefono), utilizzare piattaforme come WhatsApp (31% over 55 vs 54% media totale utenti mobile), mandare e-mail (33% degli over 55 mobile vs 52% degli utenti mobile totali), utilizzare social network (25% degli over 55 contro il 46% del totale degli utenti mobile)”

I senior oggi non si rassegnano ad essere esclusi dall’uso dei nuovi mezzi tecnologici, ma quanta fatica e quanta flessibilità sono richieste per apprendere come si vive nel nuovo mondo digitale !

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Scrivere di sé

Ecco un articolo di Patrizia Belleri, psicologa psicoterapeuta che già in passato ha inviato suoi contributi a I ragazzi di sessant’anni:

C’è un momento nella vita in cui si sente l’esigenza di scrivere la propria storia e spesso questo momento coincide con l’età dei bilanci, ma anche della voglia di misurarsi con nuove esperienze.

Perché scriviamo? Per esprimere le nostre emozioni, per fugare paure, per condividere; la psicologia ci insegna che scrivere è anche terapeutico.

Giovanna ha iniziato a prendere appunti dopo ogni seduta di psicoterapia. Pensieri, riflessioni, sogni hanno pian piano preso forma, fino a diventare un libro: la storia di un percorso, e la testimonianza di come si può uscire da un disagio. Oggi quel libro è per lei il simbolo della conquista di una vita nuova, anche a sessant’anni.

Marta è giunta in psicoterapia con una richiesta drammatica: elaborare il lutto del suo unico figlio, morto improvvisamente a 36 anni. L’età, la difficoltà a comunicare con il marito chiuso nel proprio dolore, la distanza geografica dalla nuora e dalla nipotina contribuivano a imprigionare Marta in un limbo di dolore e solitudine senza via di uscita. Un giorno mi espresse il rammarico per il fatto che la sua nipotina, rimasta orfana ad appena quattro anni, non avrebbe mai saputo nulla del padre e anche la mamma le avrebbe raccontato ben poco, avendolo incontrato poco prima della sua nascita. Le proposi di scrivere. Avrebbe potuto raccontare la storia di suo figlio, lei che lo aveva conosciuto meglio di chiunque altro, e il suo scritto sarebbe stato un dono da lasciare alla nipote: la biografia del suo papà. Marta accolse con riluttanza la mia proposta, ma poi il progetto prese forma e, pagina dopo pagina, avvenne un piccolo miracolo: far rivivere attraverso la scrittura il figlio perduto dette significato a una vita che sembrava ormai priva di speranza.

Le esperienze di scrittura introspettiva sono numerose e l’avvento di internet ne ha favorito l’evolversi grazie ai blog. Maria Cristina, una frequentatrice de I ragazzi di sessant’anni, nel suo blog Le parole per dirlo, parla di letteratura, delle sue passioni e anche della malattia: “finalmente sono riuscita a venir fuori dal silenzio e a parlare del mio cancro, un’avventura iniziata nell’autunno del 2011.”

Molte persone come Maria Cristina trovano conforto nella scrittura e condividono la propria sofferenza con altri nelle medesime condizioni. Sonia Scarpante, autrice di diversi libri autobiografici, ha fatto della sua malattia oncologica un punto di partenza per dar vita a numerose attività di supporto e di cura per mezzo della scrittura terapeutica.

Numerose sono le esperienze di approfondimento e di sensibilizzazione della scrittura introspettiva, attraverso corsi e scuole specifici.

In Italia, Duccio Demetrio ha fondato la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, una fucina di idee e iniziative, punto di riferimento autorevole sull’argomento.

Specificatamente dedicati ai Senior sono i Laboratori di Narrazione tenuti da Stefania Freddo presso l’Associazione Nestore.

Scrivere, dunque, può rappresentare una risorsa di cui i Senior possono far tesoro per valorizzare e approfondire la conoscenza di sé e anche affinare la capacità di ascolto e condivisione con gli altri.

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I tuoi anni migliori devono ancora venire

Le risorse del nostro cervello, anche invecchiando, sono sorprendenti e talvolta, anche se danneggiato, il cervello può continuare a lavorare efficacemente. Ce lo racconta in questo articolo Patrizia Belleri, che commenta il libro di Barbara Strauch e ricorda la ricerca sulle suore dell’Ordine School Sisters of Notre Dame.

Scrive Patrizia Belleri: La giornalista scientifica Barbara Strauch, giunta alla soglia dei 57 anni, inizia a preoccuparsi per i fenomeni sempre più frequenti che la infastidiscono nel suo quotidiano: il nome di una persona conosciuta che sfugge, le distrazioni nel corso di un ragionamento, la dimenticanza di gesti abituali.

Nel cercare spiegazioni, e forse anche conforto, interroga scienziati e passa in rassegna le ricerche più recenti. Nasce così I tuoi anni migliori devono ancora venire. Le sorprendenti risorse del cervello di mezza età, edito da Mondadori, un libro ricco di risultati di ricerche ed esempi tratti dalla vita delle persone, scritto con linguaggio chiaro e accessibile, senza mai perdere di vista la correttezza scientifica.

La Strauch scopre che la scienza interpreta in modo nuovo fenomeni conosciuti: ad esempio, le cellule cerebrali iniziano sì a morire già in età giovanile e non vengono più rimpiazzate, ma tante ricerche  dimostrano come il cervello sia in grado di organizzarsi per far fronte ai processi degenerativi, affinando altre capacità e modalità adattive originali. Se da un lato è più frequente dimenticare il nome del vicino incontrato fuori casa, nella mezza età migliorano doti quali l’ottimismo, la capacità di far fronte alle situazioni nuove, e aumenta inoltre l’abilità di attingere alle esperienze passate al fine di elaborare  strategie per risolvere problemi attuali.

Affascinanti  le teorie sulla “riserva cerebrale” e la “riserva cognitiva”, dei veri e propri  depositi cui il cervello attingerebbe nell’età matura: gli stili di vita sani e la vivacità intellettuale ne costituiscono le basi.

La riserva cognitiva,fatta di cultura, ma anche di atteggiamento positivo nei confronti della vita, spiegherebbe un fenomeno tanto impressionante quanto incoraggiante: il cervello maturo può lavorare efficacemente anche se danneggiato.

La Strauch ci racconta a questo proposito la storia delle suore dell’Ordine School Sisters of Notre Dame, osservate da David Snowdon, insieme ad altri ricercatori del Kentucky, in un  lungo  e appassionante studio longitudinale.

La ricerca, nota con il nome di “Nun Study“ è iniziata nel 1986  ed è durata 25 anni.  Ha coinvolto 678 suore di età compresa tra i 60 e i 95 anni. L’intento era studiare i fattori predittivi della malattia di Alzheimer in età matura e quelli che fanno vivere più a lungo e favoriscono la buona qualità della vita negli ultimi anni.

Questa ricerca è singolare per diverse ragioni.  Innanzi tutto, la lunghezza del periodo esaminato, dagli anni 30, quando le suore avevano circa vent’anni, fino alla loro vecchiaia. Infatti,  i ricercatori hanno potuto accedere alle autobiografie che le religiose avevano scritto negli anni del noviziato circa sessant’anni prima, conservate negli archivi del Convento. Altro elemento interessante è il fatto che le suore appartenevano a un Ordine che privilegia  lo studio, la cultura, la vivacità intellettuale.

Inoltre, la peculiarità del campione: trattandosi di religiose, è stato possibile eliminare variabili legate a  stili di vita dannosi quali alcol o fumo, che avrebbero creato delle interferenze indesiderate nell’interpretazione dei risultati.

L’ultimo e forse più interessante fattore è che tutte le suore avevano preso l’impegno  di donare il proprio cervello ai fini della ricerca, se la loro morte fosse avvenuta nel corso dell’esperimento.

Per ciascuna religiosa è stato compilato un dossier  ricco e dettagliato, a partire dai contenuti delle autobiografie degli anni giovanili. Periodicamente,   venivano somministrati test cognitivi il cui scopo era valutare la memoria, l’intelligenza e il grado di conservazione dell’autonomia personale con l’avanzare degli anni.

Dall’analisi delle autobiografie giovanili e dalle risposte ai controlli periodici veniva  esaminato anche  lo stato di benessere psicologico. In altre parole, si cercava di capire se le suore fossero   appagate della propria vita e si auto percepissero serene o felici.

I risultati   hanno ispirato diverse pubblicazioni, tra queste Aging with Grace, dello stesso Snowdon e numerosi articoli scientifici.  Tra gli altri, è emerso che la cultura e la vivacità intellettuale predispongono a una miglior qualità della vita in vecchiaia e che la presenza di ictus  e traumi cranici nel corso della vita sono elementi predittivi della malattia di Alzheimer in età avanzata.

Ma ciò che ha impressionato i ricercatori è la vicenda di una suora cui è stato dato il nome di Bernardette. La religiosa era tra le più intelligenti e colte tra le consorelle,  si era laureata in pedagogia, aveva insegnato per molti anni e la sua vivacità intellettuale non era mai venuta meno, tanto da risultare tra le migliori nelle risposte ai test cognitivi cui fu sottoposta periodicamente fino alla fine dei suoi giorni.

Morì d’infarto a 85 anni e, come previsto, il suo cervello fu sottoposto ad analisi autoptica. Con grande meraviglia, i ricercatori scoprirono che l’encefalo presentava segni evidenti di una gravissima forma di Alzheimer allo stadio più avanzato: a giudicare dalle condizioni del cervello, la suora avrebbe dovuto presentare una demenza grave.

Il caso non rimase isolato, la stessa Strauch ci racconta anche la vicenda di un personaggio noto nella letteratura scientifica come lo Scacchista: insegnante in pensione londinese, era un formidabile giocatore di scacchi, in grado di calcolare sette mosse in anticipo. Ad un certo punto incominciò a preoccuparsi perché si accorse di poterne calcolare solo quattro, pur continuando ad avere una vita molto attiva  e intellettualmente vivace. Si sottopose a numerosi accertamenti e fu sempre rassicurato sulle condizioni del suo cervello. Alla sua morte, anche il suo encefalo presentava gravi lesioni tipiche della malattia di Alzheimer.

Tante teorie affascinanti, dunque, che mostrano modalità nuove di studiare e di vivere la seconda metà della vita, si snodano nella scrittura piana ed efficace di Barbara Strauch, in questo bel libro decisamente da consigliare.

In foto: la copertina del libro di Barbara Strauch “I tuoi anni migliori devono ancora venire. Le sorprendenti risorse del cervello di mezza età”, edito da Mondadori.

 

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Senior digitali

Ecco un nuovo contributo di Patrizia Belleri a I ragazzi di sessant’anni:  Giorni fa, un mio paziente di 25 anni, parlando della madre, mi diceva: “Devo occuparmi io degli strumenti tecnologici di casa: la mamma è anziana e non sa utilizzare il computer, e nemmeno inviare un sms”. Sorpresa, data la giovane età del ragazzo, gli ho chiesto quanti anni avesse la madre: ne ha 50!
Mesi addietro, una zia di 85 anni mi ha confidato: “Che peccato dover morire senza aver conosciuto questa meraviglia che deve essere Internet”. Curiosa e un po’ dubbiosa, l’ho guidata nell’acquisto di un pc portatile e le ho dato i primi rudimenti di alfabetizzazione informatica. A dispetto delle sue amiche che trovavano stravagante questa sua scelta, la zia ha imparato a poco a poco a utilizzare il computer, fino a muoversi in piena autonomia tra e-mail, gestione del conto corrente, lettura dei giornali e tanto altro. 

Queste persone rappresentano due estremi, e fanno riflettere su una variabile determinante nello studio del processo evolutivo dalla nascita alla vecchiaia: l’adattamento al nuovo. La mamma cinquantenne del mio paziente è percepita “anziana” dal figlio perché carente dell’adattabilità tipica dei giovani. Al contrario, la zia, anziana anagraficamente, possiede intatta la flessibilità mentale che le consente un buon adattamento al nuovo.

Con le dovute eccezioni nell’uno e nell’altro senso, l’attuale generazione dei Senior, proprio per essere stata protagonista di tanti e veloci cambiamenti, è più flessibile nell’accettare le novità.   In tutti i settori della vita quotidiana abbiamo conosciuto un rapido susseguirsi di modi diversi per fare le stesse cose. Abbiamo imparato a scrivere con penna e calamaio, poi abbiamo utilizzato la macchina da scrivere manuale, quella elettrica,  i programmi  di word processing e molti di noi si trovano ormai più a proprio agio con la tastiera che con la penna. 

A vent’anni ci siamo corteggiati con lettere di carta, mentre aspettavamo  per ore che la persona amata ci telefonasse; oggi – sempre connessi e reperibili – anche noi comunichiamo e ci corteggiamo utilizzando Whatsapp e i Social Network: l’unica modalità che i nostri figli conoscono.

Quando i nostri genitori avevano la nostra età, diffidavano dei primi telefoni cellulari e noi cercavamo di convincerli dell’utilità di strumenti che essi guardavano con sospetto.  Oggi noi accogliamo le nuove tecnologie con entusiasmo, ma anche con disincanto, senza demonizzarle né mitizzarle. Semplicemente, le adoperiamo e le  adattiamo alle nostre esigenze. La marcia in più che ci mettiamo è  lo spirito critico di chi ha visto nascere e morire miti e verità: forse è questo il valore che possiamo trasmettere ai giovani.

L’immagine stereotipata del giovane che aiuta l’anziano a districarsi tra le diavolerie della tecnologia è ormai superata, tenendo anche conto che la gran parte dei Nuovi Senior ha  avuto un approccio con le tecnologie digitali nell’ambito lavorativo e professionale.    Credo che i modi di percepire e di utilizzare gli strumenti tecnologici siano diversi a seconda dell’età e delle esperienze, ma gli approcci differenti possono condurre a una sinergia utile a entrambe le generazioni.
Invecchiamento attivo, dunque, ma anche solidarietà tra le generazioni e non a senso unico, affinché le risorse di ciascuno possano far diventare tutti un po’ più ricchi.

Segui Patrizia Belleri anche su http://www.patriziabelleri.it/

 

 

 

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Amicizie e vitalità

Se ti accorgi che un coetaneo dall’ultima volta che l’hai incontrato rivela uno sguardo più spento, un dialogo smozzicato, un’incapacità di partecipare emotivamente a qualunque discorso provi a imbastire, è chiaro che il suo invecchiamento ha preso una brutta piega. Fatta salva l’ipotesi che abbia avuto una nottataccia insonne o che sia imbottito di farmaci, che anche questi comunque sono brutti segni, ci sono buone probabilità che non stia invecchiando affatto bene.

Poi invece incroci un sessantenne dallo sguardo intenso e brillante, dalla parlata vivace, dalla conversazione appassionata e ti chiedi: da dove gli vengono queste qualità ? qual é il segreto per mantenersi vivo e per continuare a trasmettere vitalità agli altri ?

Magari ci fosse una sola risposta ! Ovviamente le ragioni possono essere tantissime, ma c’è una costante in chi mantiene queste caratteristiche anche da senior: il segreto è la ricchezza di rapporti sociali e di amicizie.

L’intreccio positivo tra una vita sociale attiva, una mente che non perde troppi colpi e una condizione fisica che consente una maggiore longevità è stato ormai certificato sia dalla psicologia sia dalla medicina: i senior che frequentano altre persone, hanno amici, si relazionano con nuove conoscenze, hanno più probabilità di altri di evitare il decadimento cognitivo e la depressione; al contrario, hanno più possibilità di dare un senso alla propria vita, di continuare ad interessarsi al mondo e di dedicarsi con altri ad attività vitali.

Cosa fare quindi per mantenere una vita sociale attiva man mano che l’età avanza? Fondamentalmente due cose: coltivare i rapporti con amici e conoscenti da una parte e dall’altra aprirsi a nuove conoscenze e rapporti.  Naturalmente mantenere con costanza la cerchia delle relazioni di sempre è più facile per chi non si è spostato dal luogo dove ha vissuto per molti anni: importantissimo, in questi casi, sentire e vedere gli amici, condividere con loro le ultime esperienze, raccontarsi gioie e dolori, avere insieme momenti di divertimento e relax. Raccontarsi dei figli che si rendono autonomi, scambiarsi confidenze sui nuovi interessi che si stanno coltivando, confessarsi le sempre più frequenti magagne di salute e di lavoro, è un balsamo a costo zero più efficace di tanti farmaci. E anche se non si é proprio amici per la pelle, svolgere insieme attività di comune interesse, vedersi per discutere dell’attualità, passare una serata davanti a un bicchiere di vino, sono anche questi tutti modi non solo per tenere vivo il rapporto con amici e conoscenti, ma soprattutto per “tenersi vivi”.

Aprirsi a nuove conoscenze è altrettanto importante. E’ una necessità imprescindibile per chi va a vivere in una nuova città o in un nuovo paese e per chi si ritrova da solo dopo una vita spesa quasi solo in coppia e che per qualche ragione si è interrotta. Ma fare nuove conoscenze è una linfa fondamentale per tutti perché consente di tenersi aperti al mondo e di non irrigidirsi (l’irrigidimento è un pericolo serio con l’età!): l’invecchiamento peggiore è di chi si fossilizza nelle proprie visioni del mondo, di chi si rifiuta di scalfire le proprie  convinzioni e di chi non riesce ad essere più curioso delle nuove conoscenze e scoperte. Non è facilissimo, dopo i 50-60 anni, avviare nuove amicizie e nuove conoscenze significative, da senior siamo tutti un po’ più selettivi di quando eravamo giovani, ma è sicuramente un errore chiudersi a riccio nel proprio “piccolo mondo antico” o, peggio, nella propria solitudine.

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Quando un genitore si ammala di Alzheimer

Sono sempre più numerosi i cinquantenni e i sessantenni con i genitori malati di Alzheimer. Con piacere ospito questo articolo di Patrizia Belleri, psicologa e psicoterapeuta, che da tempo partecipa a questo blog e che qui descrive gli stati d’animo di chi ha un genitore con questa malattia e cosa si può fare per affrontare la situazione. Enrico

Maria ha sessant’anni. I figli sono adulti, ma non ancora del tutto autonomi, la pensione è lontana, tuttavia, la buona salute e un rapporto di coppia sereno le permettono di guardare alla vita con ottimismo. Può finalmente dedicare del tempo a sé, quel tempo che le sembrava così scarso fino a pochi anni fa. Quando la madre manifesta i primi sintomi della malattia di Alzheimer e poi il decadimento progressivo, la vita di Maria prende una direzione imprevista.

Stretta tra due generazioni che hanno bisogno di lei, Maria si sente smarrita. Aiutare i figli le sembrava normale e non lo avvertiva come un peso, ma i bisogni della madre la schiacciano e si sente impreparata.

Il rapporto  con la madre  era stato conflittuale e oggi il senso di colpa la assale ogni volta che non riesce a comunicare adeguatamente con lei, che si lascia prendere dal nervosismo, o pensa di non essere  efficace nell’assisterla.

Come descrivere il dolore, lo smarrimento, l’impotenza di chi vive situazioni come questa?

Il 21 settembre scorso è stata celebrata la giornata mondiale dell’Alzheimer.  Questa malattia, dall’esordio subdolo e dalle manifestazioni drammatiche, è in costante aumento perché le persone vivono più a lungo; i Senior – figli di una generazione che ha avuto figli in età giovanile –  affrontano dunque la malattia dei genitori quando essi stessi iniziano a guardare alla propria vecchiaia.

La demenza di un genitore richiede di affrontare compiti difficili e delicati, spesso senza averne le capacità né la vocazione, e, soprattutto, coglie impreparati.  L’esordio della malattia di Alzheimer giunge inaspettato, e talvolta la prima reazione è il rifiuto. Si formulano ipotesi alternative: che l’anziano sia depresso, o che cerchi di attirare l’attenzione su di sé, che non si sforzi abbastanza a ricordare e a ragionare.

Una volta confermata la diagnosi, poi, ci si scopre inadeguati a un tipo di assistenza difficile anche per chi la svolge per professione.   Oggi si parla della sindrome del burnout, un malessere psico-fisico che colpisce i cosiddetti caregiver, coloro che svolgono le professioni di aiuto. Ma chi caregiver si trova ad esserlo per necessità, e con una persona cara, è doppiamente a rischio: per l’impreparazione e per il  coinvolgimento emotivo che la vicinanza affettiva comporta.

Che fare?  

Bando ai sensi di colpa: aggiungono dolore al dolore.  Se abbiamo risposto in maniera sgarbata al nostro genitore, ammettiamo che il carico di tensione è elevatissimo e un cedimento fa parte del gioco.   Ci si può sentire in colpa per provare sentimenti di imbarazzo. Non c’è nulla di cui vergognarsi se il nostro genitore ha comportamenti bizzarri in pubblico: le persone sensibili capiranno. È invece importante mantenere i contatti sociali e, per quanto possibile, far sì che anche l’ammalato non si isoli.

È comprensibile sentirsi in colpa anche quando si giunge alla decisione che nessun figlio vorrebbe prendere: il ricovero. Molto spesso si tratta dell’unica scelta praticabile, dopo aver sperimentato tutte le possibili alternative. Anche in questo caso, è più utile cercare di assolversi e dedicare le proprie energie a sostenere il genitore, magari con visite più frequenti.

Farsi aiutare. Da soli è quasi impossibile sopportare un carico tanto elevato. L’aiuto qualificato può rivelarsi utilissimo. Ci sono gruppi di mutuo aiuto, coordinati da esperti che insegnano a gestire le proprie emozioni, ma soprattutto a comunicare correttamente con l’ammalato, a stimolarne le capacità residue, a migliorar la qualità delle vita di chi assiste e dell’assistito.

E’ anche importante parlare con le persone di cui ci fidiamo: possiamo trovare nell’altro comprensione, o esaminare un modo diverso di vedere la situazione e magari scoprire che anche altri vivono un problema analogo. Il confronto con l’esterno favorisce il distacco emotivo e può essere costruttivo e consolatorio.

 Trovare del tempo per sé. Il contatto continuo con un ammalato di Alzheimer può provocare molta angoscia e nel contempo impoverire le abilità cognitive di chi lo assiste. Bisogna imparare a chiedere, anche quando non si è abituati a farlo, e trovare dei momenti per la propria realizzazione personale: per  prendere le distanze fisiche ed emotive e, soprattutto, per mantenere la mente sempre attiva e allenata.

 Per i sessantenni di oggi c’è la speranza che buone pratiche comportamentali –  prime fra tutte la stimolazione intellettiva – e i progressi della ricerca scientifica  allontanino dal loro futuro lo spettro della demenza.   Patrizia Belleri”        In foto: R. Magritte, “Il doppio segreto”, 1927

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