Scrive Elisa: Elisa, abito a Milano, impiegata. Sono capitata per caso su questo sito, fresca di un compleanno che mi ha visto festeggiare 58 anni; a incuriosirmi, fra le varie cose, sicuramente quel viaggio in catamarano tra le isole greche, proposto da un signore Anonimo. Che potrebbe volere di più una sagittariana purosangue? una che ama l’intimità della propria casa, ma sente sempre forte un costante bisogno di vedere il mondo, di relazionarsi con altre realtà e persone? Ho viaggiato molto e continuo a farlo, appena il lavoro me lo consente. Viaggio perché sono curiosa, ma soprattutto per portarmi nei ricordi emozioni forti, quelle che mi può offrire un cielo stellato su una barca in mezzo al mare o il suono di una chitarra attorno al fuoco in una spiaggia lontana. Sono infantile? Sì, forse, ma viva.
Con gli anni do sempre meno importanza al denaro, che pure rispetto, e alle cose materiali. Confesso però di non essere molto brava nel downshifting, diversamente da Silvia. In compenso do molto peso alle parole dette o scritte; una parola a sproposito può essere più tagliente di un coltello e rovinare la bellezza di un rapporto umano.
Inseguo le persone spiritose, che non si prendono troppo sul serio e, anzi, riescono a sorridere perfino nei momenti di difficoltà; nella vita, del resto, difficilmente la gente ti viene a cercare se tieni il muso. Mi apro con facilità agli altri sia quando sono allegra, sia quando soffro, perché sono convinta che faccia bene a me, ma anche a chi mi sta di fronte. Se sono particolarmente triste, porto alla memoria i momenti felici e le fortune godute fino ad oggi, in particolare le scelte libere negli studi e negli affetti. A 28 anni mi innamorai di un uomo molto più grande di me; a mia madre venne un colpo quando lo seppe, ma poi capì che era vero amore e i venti anni di convivenza in seguito lo confermarono.
E quando in auto canto a squarciagola, straziando le canzoni di Baglioni o Vasco, penso che, per fortuna, non mi sente nessuno; allora canto ancora più forte. Infantile? Sì, forse, ma viva.
Posts Tagged: felicità
Ursa minor
Scrive Renata: “Ciao a tutti coloro che mi leggeranno!
Sono una signora sessantenne, di Roma simpatica e giovanile, che pratica pilates e yoga, fa volontariato in una struttura oncologica: da qui ha imparato a vivere con giusto distacco ed a collocare gli eventi nelle opportune priorità.
Perchè mi sono appellata “ursa minor”? vivo spesso nella mia tana, anche se non mi dispiace la compagnia.
Figli grandi, autonome, vivo da sola, potrei dire felicemente, gestendomi i tempi e i modi della giornata secondo il mio criterio, ormai irrinunciabile .
Ci sono altri orsi in giro??”
Piccole trasgressioni
La vita non è fatta solo di buone pratiche e comportamenti virtuosi…
Quali sono le trasgressioni a sessant’anni ?
In poltrona davanti alla tv e… un cioccolatino tira l’altro… finire tutta la scatola
Accettare l’invito di persone vent’anni più giovani e lanciarsi in una partita di tennis o in una gara in bicicletta
Stare fuori fino a tardi e mentire ai figli quando chiedono dove sei stato la sera precedente
Farsi una bella bevuta in compagnia anche se il medico ha detto che ad una certa età bisognerebbe limitarsi a un bicchiere
Fare un acquisto spropositato senza preoccuparsi dei soldi che serviranno quando la vecchiaia sarà difficile
Vestirsi per una volta come la nipote ventenne
Attaccar bottone con una fanciulla di trent’anni più giovane
Per un giorno spegnere il computer, prendere carta e penna, scrivere una lunga lettera ad un amico e spedirla in una bella busta
Altro che lavoro o volontariato… passare pomeriggi interi a fare shopping
Andare al ristorante da solo e mangiare tutto quello che sarebbe vietato
…………………………
Quali sono le tue trasgressioni ?
Troppo stagionato?
Da parte di Tiziano: E’ una cosa che mi chiedo in continuazione in questi giorni: sono troppo “stagionato” per buttarmi in una nuova relazione stabile con una donna ? Ne compio 65 tra poco e alle spalle ho un lungo periodo da single, fino ai quarant’anni, poi finalmente mi sono innamorato di quella che è diventata la mia compagna, ma è durata “soltanto” dieci anni e poi abbiamo capito che non poteva continuare. Dopo questo, che per me è stato il rapporto sentimentale più importante della vita, sono tornato a stare da solo. In questi anni non sono mancati dei rapporti affettuosi con altre donne, ma lo sapevo che non ero veramente preso da queste storie. Finché mi è stata presentata da un’amica una persona che ho trovato subito fantastica, con cui ci siamo intesi all’istante e…va bé diciamolo, mi sono innamorato perso. Anche lei ha ricambiato gli stessi sentimenti e stiamo iniziando a frequentarci. Lo so che uno dovrebbe dirsi: sei fortunato, goditela e non farti problemi. Io invece mi faccio venire un sacco di dubbi, perché mi domando se ho ancora l’età per costruire una vera coppia, ad esempio per immaginarmi di andare a vivere sotto lo stesso tetto. Non riesco a nascondermi le difficoltà e le paure di una relazione stabile. Lei ha dieci anni meno di me, è ancora impegnata nel lavoro e la natura alla mia età non perdona, dieci anni di differenza andando avanti saranno tanti. E poi confesso che temo un po’ di senso del ridicolo, ad esempio nei confronti dei suoi figli, nel comportarci come una coppietta di ventenni. E’ vero che a cuor non si comanda ma l’età dovrebbe portare saggezza… In foto: coppia senior innamorata.
Qualità della vita over60
E’ di pochi giorni fa la presentazione di un importante studio sulla qualità della vita e il benessere dei senior, che mette a confronto 91 Paesi del pianeta. “Global AgeWatch Index” è il nome della ricerca, realizzata, con la collaborazione dell’Onu, da Help Age International, un network di dimensioni globali. Come al solito questi studi producono delle classifiche, graduatorie che andiamo a leggere un po’ timorosi perché difficilmente noi italiani ne usciamo bene. E infatti anche questa volta il piazzamento ottenuto non è lusinghiero, solo il 27° posto, ben lontano dalle star della classifica (Svezia, Norvegia e Germania), ma anche alle spalle di altri Paesi come la Slovenia o come i sudamericani Cile e Argentina. Ma più che discettare sulla posizione che ci viene attribuita, mi sembra interessante capire in base a cosa viene stabilita, per un over60, una qualità della vita alta o bassa. Chi ha condotto lo studio in questione ha utilizzato quattro parametri abbastanza chiari: il livello e la sicurezza del reddito disponibile; la salute, l’accesso alle cure mediche e la longevità; il lavoro e la possibilità di formarsi e mantenersi aggiornati; le condizioni sociali e ambientali favorevoli (come ad esempio la rete familiare e degli amici, il senso di sicurezza nel girare da soli per strada e la qualità dei mezzi pubblici).
Noi italiani senior, risparmiatori e proprietari di case, risultiamo particolarmente ben messi, in rapporto agli altri Paesi, sulla sicurezza del reddito, ma non sfiguriamo neppure su salute e condizioni per la longevità, così come – naturalmente – sul supporto che riceviamo dalla rete familiare. Al contrario i tasti più dolenti riguardano il lavoro e la formazione (addirittura qui siamo solo al 62esimo posto, dato il basso tasso di occupazione italiano dei sessantenni e la scarsa pratica di istruirsi e aggiornarsi una volta andati in pensione), insieme ad altri aspetti legati al contesto ambientale, come la percezione di sicurezza o i servizi pubblici ricevuti. Questo nostro profilo di punti forti e deboli è del tutto in linea con altre indagini svolte anche a livello europeo e con le diagnosi che molti commentatori propongono.
Il punto però mi sembra che sia un altro. Vale a dire: ma davvero i parametri indicati sono quelli che misurano la “qualità della vita” ? E come si intreccia il concetto di “qualità della vita” con quelli di benessere, di felicità e di ricchezza ? Chi ha alta qualità della vita deve essere necessariamente ricco e sempre sano ? E il senso di benessere di un senior non è forse il risultato di una serie di preferenze individuali piuttosto che il sicuro effetto di condizioni economiche e di servizi pubblici ? Il discorso sarebbe ampio e non ambisco certo a dare risposte in poche righe. Mi limito qui a fare un esempio paradossale, per spiegare perché, a mio parere, la “qualità della vita” è forse una condizione troppo soggettiva per poter essere ingabbiata in misurazioni. Una 63enne che abita in una cittadina sul mare con molti giorni di sole ma probabilmente con servizi pubblici allo stretto indispensabile, in pensione da qualche anno dopo decenni di lavoro con una pensione di mille euro al mese che insieme a quella del marito le consente di vivere sì modestamente ma senza particolari angosce, che trascorre la giornata dedicandosi ai nipoti e alla casa, che nel tempo libero passeggia sul lungomare o guarda la televisione, che non frequenta alcun corso o associazione, che a due passi da casa trova il medico di base che la conosce bene anche se poi deve fare chilometri per l’ospedale e gli specialisti, magari che vive in una zona ad alta intensità di reati anche se quando esce di casa vicini e negozianti la salutano con cortesia, ebbene questa nostra signora 63enne in base ai parametri utilizzati per misurare la “qualità della vita” risulterebbe in condizioni disastrose. Ma siamo proprio sicuri che sia così ? Che invece la sensazione di benessere e di soddisfazione per la propria vita non sia per questa signora più che buona ? E che magari non vorrebbe cambiarla con nessun’altra vita ? Pur essendo assolutamente favorevole, lo sa chi mi segue su queste pagine, a creare le condizioni per ottenere alti livelli su tutti i parametri considerati dal Global AgeWatch Index, starei ben attento a considerare questi come espressione sicura della “qualità della vita” percepita da un senior e legherei invece di più la “qualità della vita” alla soddisfazione delle preferenze e delle aspirazioni personali di ciascuna persona.
Felici più di prima ?
Poco più di due anni fa, nell’aprile 2011, provocò un certo scalpore la presentazione alla londinese Royal Economic Society annual conference di una ricerca, condotta da studiosi dell’università di Maastricht, sulla felicità nelle diverse età anagrafiche: la scoperta che veniva presentata era sintetizzabile nell’affermazione che a sessant’anni si è felici più di prima. La notizia mi sembrò così rilevante che la presi a riferimento di un intero capitolo del mio libro “I ragazzi di sessant’anni”. Poco prima, un altro studio (indagine Gallup-Healthways, 340.000 persone intervistate), condotto dal prof. Arthur A. Stone della Stony Brook University di New York, era arrivato alle medesime conclusioni: l’andamento del livello della felicità al variare degli anni lo si capisce secondo un curva ad U, dove il primo estremo in alto della U corrisponde ai vent’anni, mentre il secondo estremo lo si raggiunge oltre i sessanta, eguagliando più o meno a quell’età il livello di felicità vissuto a venti. In mezzo c’è una grande caduta, che procede inesorabile al traguardo dei trenta, poi dei quaranta e che toccherebbe il punto di minima alla soglia dei cinquant’anni, seguita da una ripresa che durante i cinquanta si fa più veloce fino ai livelli di felicità massimi oltre i sessanta e poi nei settanta.
Si potrebbe discettare per ore su cosa s’intende per felicità, se è possibile misurarla e quanto è determinata dalle condizioni di contesto e dai percorsi di vita individuali. Fatto sta che queste due ricerche, riprese in seguito da altri studi che non smentivano i primi risultati, hanno messo in seria discussione il luogo comune del sessanta- settantenne tristemente in declino e hanno invece contribuito non poco all’idea di una fase di vita nuova, quella dei senior, prodiga di soddisfazioni.
Perché stress, ansia, rabbia e tristezza, quell’insieme di sentimenti negativi che fanno l’infelicità, una volta superati i cinquanta comincerebbero a diminuire ? La spiegazione più ragionevole è che quando sei giovane prendi decisioni che sono guidate da aspirazioni per il tuo futuro. Cioè, punti a raggiungere qualcosa nella vita. E questo può significare che in quel momento non ti stai veramente focalizzando sul tuo benessere. Quando invece sei invecchiato, ormai lo sai cosa sei stato nella vita. La smetti di guardare sempre avanti e cominci a dare attenzione a cose più piccole. Non significa non avere obiettivi o ambizioni, ma riuscire a guardare le cose con più distanza. Con gli anni poi diventiamo più accomodanti verso noi stessi, la saggezza ci consente di accettare con meno paure le nostre debolezze e tendiamo a smussare i comportamenti più competitivi. E’ vero che iniziano a calare le aspettative sul futuro e che vengono ridimensionate le ambizioni, ma proprio questo crea le condizioni per vivere con più serenità. Insomma, da senior si può essere più felici perché impariamo ad esserlo con ciò che abbiamo, senza puntare a méte troppo difficili o impossibili. Contemporaneamente, abbiamo la consapevolezza che gli anni prima della “vecchiaia vera” sono ancora ricchi di possibili opportunità o, quanto meno, che le condizioni fisiche e mentali ci consentono di prospettare ancora un periodo vitale. E’ così che benessere, serenità e consapevolezza di opportunità aiutano a far crescere soddisfazione e felicità. E’ questo il meccanismo virtuoso che le ricerche hanno suggerito e che effettivamente può essere testimoniato da molte persone che hanno sperimentato su di se questa evoluzione.
La curva ad U di Stone ha avuto un immediato successo ed oggi è così tanto riproposta dai media che ormai è diventata prossima a ribaltare il luogo comune tradizionale, quello del sessantenne intristito e declinante. Ma proprio adesso che la curva ad U si sta affermando come nuovo paradigma credo che valga la pena interrogarsi sulla sua attualità: al di là degli aspetti psicologici, che per certi versi hanno caratteristiche universali, continuano a permanere le condizioni di contesto che ne consentono la sua validità? Le condizioni di contesto non sono così irrilevanti, come è stato già dimostrato da quegli altri studiosi che hanno esaminato 27 diversi Paesi e che hanno rilevato come la famosa curva ad U si presenta ovunque, ma che le età di picco (all’insù e all’ingiù) possono variare moltissimo: ad esempio, il punto di risalita verso la felicità avverrebbe solo a 62 anni per gli Ucraini, mentre i lesti Svizzeri lo sperimenterebbero già a 35. In particolare, la disponibilità di tempo non stressato e di risorse economiche sufficienti a non impensierirsi sono sicuramente anch’esse delle pre-condizioni per una psicologia più serena. Da questo punto di vista, converrà verificare se gli attuali cinquantenni, a differenza dei loro fratelli maggiori, di dieci-quindici anni più anziani, possono godere delle stesse condizioni favorevoli allo sperimentare la ricrescita della felicità o se le nuove condizioni, economiche e lavorative, non abbiano spostato in avanti il momento della risalita.
Coppie stagionate
Sergio e Serena si conoscono da trentasette anni. Amici comuni li presentarono, ma non fu subito colpo di fulmine. Solo dopo un anno Cupido scoccò la sua freccia e altri mesi trascorsero prima di decidersi a rivelarsi. Poi tutto seguì in fretta: convivenza, matrimonio, primo figlio, secondo figlio… e problemi di casa, di lavoro, economici, di salute, familiari, di educazione dei figli, di tradimento, tutti bene o male affrontati insieme. Oggi Sergio e Serena hanno 60 anni e si fa fatica a distinguere la loro vita dalla loro coppia. Hanno condiviso trentacinque anni di vita, si conoscono reciprocamente come nessun altro e da un pezzo hanno trovato un buon equilibrio nell’affrontare insieme la quotidianità, il che dà loro una sicurezza a cui non vorrebbero certo rinunciare. Soprattutto se presi separatamente, riconoscono subito che il loro rapporto non offre più né misteri né sorprese e che le palpitazioni di cuore se capitano non sono più dovute all’emozione per il partner ma a ben più prosaici motivi. C’è affetto, c’è complicità, c’è sesso moderato, c’è la soddisfazione di aver cresciuto insieme i figli: a Sergio e Serena sembra molto ed obiettivamente è tantissimo, hanno ragione ad essere soddisfatti. Però è Serena, più abituata a riflettere sul loro rapporto, che porta a galla un’inquietudine sul loro futuro, un interrogativo su come saranno i prossimi anni per se e per il ménage: “Adesso che stiamo ancora lavorando entrambi e che uno dei figli è ancora in casa faccio fatica a vedere dei cambiamenti tra me e Sergio, ma non mi piace l’idea che ormai tutto quello che c’era da scoprire è alle spalle e che davanti c’è solo un tran tran senza passione o peggio solo malattie e vecchiaia. Io vorrei imbattermi ancora in cose nuove, in emozioni, in scoperte che mi facciano sentire viva. E la mia speranza è di trovare tutto questo ancora con l’uomo della mia vita”.
Questo è il punto, quel che dice Serena è proprio la sfida principale delle coppie stagionate di oggi, per lo meno di quelle non in via di separazione: dare vitalità ai decenni successivi che si prevede si vivranno insieme. Se Serena e Sergio, e insieme a loro tutti i senior nelle stesse condizioni, pensassero a come è andata alle generazioni che li hanno preceduti, probabilmente scoprirebbero che l’inquietudine manifestata da Serena allora non era molto diffusa. Alla stessa età, intorno ai sessant’anni, si veniva da trenta – quarant’anni di matrimonio e la prospettiva accettata da quasi tutti era, nella migliore delle ipotesi, di trascorrere una serena vecchiaia insieme. Come per tutti gli altri aspetti dell’esistenza, anche per la coppia non si pensava di avere davanti a se altri vent’anni di vita attiva, da inventare, da progettare, da rendere interessante, prima di sperimentare la vera vecchiaia. Oggi invece, così come non ci si considera particolarmente fortunati se a settant’anni si è ancora pienamente autonomi e vitali, allo stesso modo non ci si considera pienamente appagati se la vita di coppia da senior si limita alle abitudini di convivenza, al sostegno reciproco e alla solidarietà in caso di bisogno. Si è più ambiziosi, giustamente! Ma non è scontato che si trovino risposte all’esigenza di rivitalizzazione della coppia e alla ricerca di nuovi assetti ed equilibri nella vita insieme. Come ad ogni passaggio importante, la coppia può rigenerarsi oppure può frantumarsi e la crescita delle separazioni dei senior fa capire subito che le risposte da cercare non sono facili. Le inquietudini e le speranze di Serena sono quelle di molti senior ! In foto: una coppia senior
Mi sono persa qualcosa
Sono Donatella, ho 62 anni. Per tutto questo tempo sono stata una figlia, una mamma, una moglie, un’insegnante, e qualcos’altro ancora. Ma in questo momento della mia vita, tutto questo mi pare non sufficiente per sentirmi soddisfatta. Forse perché ho perso mia madre pochi mesi fa (mio padre se n’è già andato da un po’), mia figlia da una settimana è andata a vivere in casa sua con il compagno (ed è giusto che sia così)…Mah , non so, mi sembra di essermi persa qualcosa di importante.
Lutti, nuovi amori e figli
Mi capita sempre più spesso negli ultimi tempi di sentire di conoscenti over60 che avviano una nuova relazione sentimentale. Qualche volta si tratta di persone che in passato sono state single, più frequentemente sono uomini e donne che hanno alle spalle rapporti di coppia lunghi che ad un certo punto sono finiti. Ci sono anche, tra questi ultimi, coloro che hanno conosciuto il grande dolore della morte del partner e che dopo un periodo più o meno lungo di lutto e di sofferenza, si sono riaffacciati alla vita e hanno trovato un nuovo compagno o una nuova compagna, di cui si sono innamorati o comunque con cui hanno deciso di trascorrere un pezzo della vita. Nelle due storie che conosco di Cristina e di Renzo (entrambi nomi di fantasia), uno dei problemi più sentiti in quanto nuova coppia senior con alle spalle un matrimonio finito con la morte di uno dei partner, è la difficile reazione dei figli grandi.
I sentimenti dei figli di fronte ad un nuovo rapporto di uno dei genitori sono sempre un tasto delicato, qualunque sia la loro età e l’età dei loro genitori, ma la faccenda pare complicarsi ulteriormente se il genitore è un senior e se l’altro genitore è morto.
Cristina ha 65 anni, suo marito è spirato due anni fa dopo una lunga malattia e lei gli è stata vicino fino all’ultimo. Dopo circa un anno un coetaneo ha iniziato a corteggiarla discretamente e lei non è rimasta insensibile ai modi di questa persona. Tra mille dubbi, ha avviato questa nuova relazione e ora, a distanza di mesi, pensa di aver fatto la cosa giusta. I suoi tre figli sono tutti autonomi e hanno una loro famiglia. Però quando Cristina ha comunicato loro, tra mille imbarazzi, l’esistenza del suo nuovo compagno, la reazione è stata prima di incredulità, poi di opposizione crudele. Compatti, hanno preso le distanze, l’hanno fatta sentire in colpa e hanno diradato al minimo indispensabile le comunicazioni. Per la prima volta si sono occupati seriamente del patrimonio familiare e hanno invitato la madre, senza troppi giri di parole, a non frequentare con il suo nuovo partner la casa di campagna di famiglia, che sarebbe servita a loro e ai loro bebè nei weekend e durante le vacanze.
Anche nella storia di Renzo la reazione dei figli è stata un problema. Renzo è più anziano di Cristina, ha 77 anni e sua moglie è morta quando lui ne aveva 73. Gli anni precedenti erano stati di faticosa e penosa assistenza alla moglie malata, che lui aveva sempre amato con passione. I primi due anni successivi alla scomparsa della moglie Renzo era inconsolabile e i suoi due figli quarantenni sono subentrati nel compito di assistenza, questa volta a favore del padre che sembrava non farcela a superare il trauma. Poi, durante una vacanza estiva, è comparsa una signora di dieci anni più giovane, per cui Renzo ha subito provato simpatia, ricambiata, e nel giro di qualche settimana è nata una nuova coppia. Hanno adottato una regola per cui ciascuno mantiene la propria abitazione, ma la frequentazione è quotidiana e non c’è dubbio che la vita ora l’affrontano insieme. Figli contenti che il padre avesse ripreso vitalità ? Nemmeno per sogno. Uno ha impiegato un anno prima di accettare di conoscere la nuova compagna del padre e l’altro appena può esprime un giudizio morale negativo verso il proprio genitore.
Per fortuna, sia Cristina sia Renzo non hanno rinunciato alle loro nuove storie d’amore, ma certamente la serenità di entrambi è stata intaccata da come i figli hanno reagito.
Ormai si può tranquillamente sostenere che il pregiudizio negativo nei confronti dell’amore e dell’innamoramento dei senior sia stato superato, ma non è per niente da sottovalutare la psicologia dei figli nati da precedenti coppie, specialmente se alle spalle c’è il lutto per uno dei genitori.
Sentimenti contrastanti
Da parte di Ludovica: Settimana scorsa mio figlio ha annunciato che si sposa e che andrà a vivere in Germania, dove abita la sua futura moglie. Una notizia improvvisa, non me l’aspettavo e in questi ultimi giorni non riesco a pensare ad altro, oscillo tra stati d’animo opposti, di felicità e di spavento, di realizzazione e di vuoto. Io ho 59 anni, mio marito anche e abbiamo due figli. L’altra figlia è più piccola, il primogenito, quello che sta per spiccare il volo, ha 26 anni, si è laureato in informatica e ha iniziato a lavorare, per sua fortuna senza troppi problemi nel trovare un’occupazione dove può applicare quel che ha studiato. Anch’io lavoro e credo di avere trasmesso ai miei figli l’importanza sia di studiare, sia del lavoro. Adesso però la vera notizia è che se ne va, si sposa e va ad abitare lontano. Quando era piccolo, ma anche dopo quando cresceva, ho sempre cercato di renderlo autonomo e sono sempre stata fermamente convinta che da ventenni si sta meglio se si diventa autonomi, con una propria famiglia e con il proprio lavoro. E’ proprio quel che mio figlio sta facendo, quindi dovrei essere solo contenta. Da un certo punto di vista effettivamente lo sono, è come se vedessi portata a compimento la mia missione di genitore, ma dall’altra parte mi ritrovo anche un po’ “mammona” italiana, con mille preoccupazioni che mi assalgono: e chi sarà questa tedesca ? il disgraziato non me l’ha mai presentata e così mi faccio solo delle fantasie. E come sarà d’ora in avanti il rapporto con lui, che sarà completamente assorbito dalla sua nuova vita e che giustamente non avrà un minuto per pensare a casa sua, figuriamoci se gli passerà per la testa di prendere l’aereo e tornare qui? Succede che si avvera quel che volevo per lui (un ragazzo realizzato, autonomo e felice) e malgrado ciò sono percorsa da un filo di infelicità. Mah…