Posts Tagged: figli grandi

Datemi una lanterna….

Ho quasi 63 anni, ho vissuto tutta ma proprio tutta la vita al servizio degli altri. Prima mia madre che comandava a bacchetta, poi un marito egocentrico, due figlie che quando hanno bisogno sanno a chi rivolgersi, a chi se non a me che non mi tiro mai indietro!!   Ho 4 nipoti che entro l’anno saranno 6… separata in casa da quasi 3 anni ma separata in casa da 44 anni, questa la realtà!!  Mi rendo conto che la colpa principale è mia, ho permesso che gli altri, marito in primis, mi trattassero così, ma adesso tutti mi dicono vai… ed io non so da che parte cominciare, adesso che tutti abitiamo vicini come faccio ad andarmene?  Ora quella che potrebbe aver bisogno degli altri sono io, bisogno dei miei figli magari… decidere se essere sola vivendo in 2 o esserlo vivendo sola… Ultimo ma non ultimo sono casalinga da sempre… economicamente non autosufficiente… forse un aiuto psicologico mi darebbe la forza di capire quale è la mia strada, credo che prenderò questa strada in attesa di capire quale sarà quella definitiva, quella che mi farà vedere la luce.

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Senior, case e generazioni

Durante le mie indagini sulle attività e gli stili di vita dei senior, quando mi ritrovo a domandare al cinquantenne o sessantenne che ho di fronte “cosa farà da grande”, non riesco mai ad evitare l’argomento “casa”. E’ un “tema sensibile”, capace di suscitare emozioni, fantasie e timori. E’ un argomento assolutamente intrecciato con le riflessioni degli intervistati sui propri progetti di vita, su quelli del proprio partner, sul destino dei figli e persino sul valore dell’autonomia e della libertà di movimento. Non appena ad un senior ancora autonomo parli del dove abiterà negli anni a venire gli si drizzano le orecchie, perché sa che sta parlando di uno dei terreni fondamentali su cui si giocherà la qualità della sua vita futura.

I senior non vogliono immaginare il loro futuro né con badanti né in case di riposo. E anche immaginarsi la solitudine della propria casa mette paura. Sono tantissimi i 50-60-70enni che si stanno chiedendo come e dove abiteranno nei prossimi anni e il momento giusto per porsi la domanda è proprio quando sei ancora abbastanza in forze. Quando invece l’autonomia è venuta meno e dipendi dal prossimo di solito é ormai troppo tardi e tocca adattarsi a soluzioni decise da altri.

Le storie che raccolgo da tempo raccontano tante situazioni diverse: si va da chi progetta un cambio di casa e residenza per tornare al paese d’origine dove troverà solidarietà familiare, a chi fa la scelta del cosiddetto downshifting, lasciando un appartamento grande e andando a vivere in uno più piccolo ma più consono alle proprie nuove esigenze personali; da chi, in condizioni privilegiate, può permettersi di godere come mai ha fatto in precedenza la seconda casa, a chi cerca di tenersi ben stretto il piccolo appartamento dove é in affitto sperando di farcela economicamente a sostenere la spesa con la pensione. Non mancano neppure testimonianze di chi ha adottato la soluzione sofisticata del prestito vitalizio ipotecario, prevista per legge per gli over65, dando in garanzia la propria abitazione per finanziare gli studi del nipote o di chi, in misura sempre più consistente, è attratto da esperienze di coabitazione e da formule di cohousing. 5-generazioni-insieme-300x224Ma le soluzioni di gran lunga più gettonate, per lo meno nelle testimonianze che ricevo, sono quelle che si intrecciano con l’abitazione dei figli ormai grandi e dei genitori over80. Sono soluzioni che prevedono, se non il vivere sotto lo stesso tetto, almeno l’abitare a non troppa distanza dai familiari in maniera da darsi aiuto vicendevole quando serve: è il modo, tutto italiano, di realizzare la solidarietà tra generazioni. La cosiddetta “generazione sandwich”, quella dei cinquanta-settantenni che spesso da una parte hanno figli grandi ma non ancora autosufficienti dal punto di vista economico e dall’altra parte genitori longevi ma spesso bisognosi di assistenza, è una generazione che tocca con mano quotidianamente cosa significa la solidarietà intergenerazionale e che spesso cerca nella vicinanza delle abitazioni il modo per rendere meno gravoso il proprio impegno familiare.

I “ragazzi di sessant’anni” di oggi hanno alcune straordinarie opportunità che le generazioni precedenti non hanno mai sperimentato, ad esempio sul piano della salute, delle possibilità di apprendimento, delle esperienze sociali ed affettive, eccetera. Al contempo sperimentano delle responsabilità e delle incombenze che in passato a questa età non erano più richieste. In questo senso sono degli “apripista”, alla ricerca di nuove modalità per vivere bene questa fase della vita e, in questa ricerca, una parte di rilievo sicuramente è assegnata al trovare le migliori soluzioni abitative e al mantenere saldi i rapporti tra generazioni. In foto: 5 generazioni insieme.    Questo articolo é stato pubblicato anche su abitaresociale.net

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Aiuto ho sessant’anni e tra poco vado in pensione

Scrive Alfonsa: “Ho sessant’anni tra qualche mese andrò in pensione. Io abito a Milano e mio figlio vuole che mi avvicini a lui in modo da aiutarlo in caso di prole. Troppi cambiamenti mi stanno mandando in ansia.”

Scrive Enrico: Meglio prevedere gli anni dell’invecchiamento avvicinandosi ai figli o mantenendo le rispettive abitazioni alla distanza di sempre ? Guardare alla pensione come ad un’opportunità per progettare un futuro interessante o come a una fase della vita in cui prevalgono le incognite e quindi le ansie ?   Prendo spunto dal messaggio inviato da Alfonsa  per riflettere su questi interrogativi.  Mi sembra che il punto chiave sia come viviamo il cambiamento. Se lo viviamo come una condizione imposta dalle circostanze o da altri, corriamo il rischio di vedere solo i lati negativi, se invece all’occasione di cambiare (come quando inizia la pensione) associamo dei nostri desideri e dei nostri progetti, una nostra volontà, allora il futuro possiamo affrontarlo sapendo che esistono sì delle incognite, ma che l’esplorazione di un mondo sconosciuto può portare anche delle cose buone.   I figli ci vogliono vicini a loro perchè hanno bisogno di nonni tuttofare ? Se coincide con un nostro desiderio prioritario di fare i nonni o di dare una mano ai figli, perché no ? Se però dove abitiamo adesso stiamo bene e non ci va di cambiare casa, ci si può sempre organizzare per fare i nonni part time concordando ore e periodi. L’importante é fare delle scelte e non sentirsi obbligati. Provare a progettare il proprio futuro anche a sessant’anni è il segreto !


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Che soddisfazione i figli !

Scrive Paolo, padre di tre figli grandi: Si sa che noi uomini quando i figli sono ancora bambini non ci dedichiamo troppo a loro e solo quando crescono siamo più presi dal rapporto con loro. Forse per le generazioni dei genitori trentenni e quarantenni di oggi é un po’ diverso, ma io mi ricordo che il sottoscritto e anche i miei amici quando i figli avevano due o sei anni eravamo molto presi dal lavoro e dallo sport e davamo poco tempo ai figli. Adesso i miei figli sono adulti, la maggiore ha 32 anni, la seconda trenta e il terzo é un ragazzone di 25. Ognuno di loro si è fatto una famiglia o vive comunque in coppia e tutti e tre abitano in altre città, il terzo e andato a lavorare in Svizzera. In questi giorni abbiamo deciso di passare qualche giorno insieme in montagna. E’ bellissimo! Che soddisfazione vederli grandi, autonomi, adulti con cui posso parlare di tutto. Li abbiamo cresciuti noi così e vedere come sono diventati mi riempie di orgoglio. Non mi sentirò mai solo, anche se un giorno dovessi ritrovarmi solo, sapendo che loro esistono.

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Famiglie allargate e disperse

Scrive Margherita: Dunque, questa è la mia situazione familiare: vivo nella zona di Perugia con il mio nuovo compagno (nuovo si fa per dire, stiamo insieme da più di dieci anni), il mio ex marito è rimasto ad abitare a Torino e anche lui ha una nuova compagna. Ci siamo conosciuti tutti al matrimonio di nostro figlio (nostro nel senso di mio e del mio ex marito), due anni fa. Mio figlio sta a Bologna, dove ha studiato, ha trovato lavoro e anche moglie, che adesso é incinta (evviva! sto per diventare nonna!). La secondogenita, ventitreenne, da qualche mese sta facendo un erasmus a Siviglia e nelle ultime chiacchierate via skype mi ha parlato di un certo Carlos che mi vorrebbe presentare… Anche il mio nuovo compagno ha un figlio ventenne dal precedente matrimonio, che abita vicino a noi e che è l’unico che vediamo spesso.
Poi ci sono i nonni e le nonne. Famiglia di gente longeva la mia. Mettendo insieme i genitori miei, quelli del mio attuale compagno e la madre del mio ex marito con cui sono sempre rimasta in ottimi rapporti, arriviamo a ben quattro ultraottantenni, tutti ancora belli vispi.
Perché racconto tutto questo? Perché quest’anno ho avuto l’idea di invitare tutti qui a Perugia per le feste natalizie. Penserete: questa qui ha tendenze masochistiche… Ma no, solo che sono stufa di non riuscire a ricomporre almeno per un momento i pezzi della mia famiglia e le feste di Natale sono la migliore occasione. “Non puoi invitare solo i tuoi figli ? così, per rendere le cose un po’ più semplici…” mi ha chiesto preoccupatissimo il mio compagno. “E poi sei sicura che anche a loro farebbe piacere?” ha incalzato più realista del re. Ho fatto un po’ di telefonate di sondaggio e, guarda guarda, erano tutti d’accordo, anche la compagna del mio ex marito che in teoria mi sembrava lo scoglio più duro da superare. Loro si fermeranno in zona solo una notte (va bene così). Invece mio figlio, che è contento di non dover scegliere se fare il Natale con suo padre o con sua madre, passerà a prendere i nonni a Torino e poi ci raggiungeranno qui per rimanere qualche giorno. Anche mia figlia verrà, se con lo spagnolo o no sarà la sorpresa dell’ultimo minuto… Poi, se sarò sopravvissuta, vi racconterò com’è andata.

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L’amore a settant’anni

Ospito volentieri questo articolo di Patrizia Belleri che commenta il bel libro “L’amore a settant’anni” di Vanna Vannuccini.

C’è un limite di età per innamorarsi e per vivere una sessualità libera e appagante? C’è sempre tempo per amare, ma soprattutto per vivere con significato tutte le stagioni della nostra vita, anche quando si è “vecchi abbastanza da scambiarci gli occhiali al ristorante per leggere il menu”.

Vanna Vannuccini, giornalista attenta alla questione femminile, fondatrice negli anni 70 della rivista Effe, la prima testata femminista in Italia, affronta l’argomento con un tocco lieve, sempre attenta a non scivolare in prese di posizione definitive. 

Questo libro nasce da un incontro tra vecchie amiche, entrambe giornaliste, in una spiaggia toscana, a chiacchierare del tempo che passa e delle amiche comuni, fino a scoprire che molte di loro stanno vivendo amori appassionati e appaganti esperienze sessuali.  Da qui, l’idea di far parlare donne diverse per età, cultura e ceto sociale, raccogliendone le testimonianze. Fanno parte della generazione di donne che per prime hanno studiato e hanno conquistato un posto nel mondo produttivo. Sono state protagoniste di tante rivoluzioni culturali e sociali, hanno scelto il partner con cui condividere la vita e molte hanno avuto anche il coraggio di por fine a  relazioni ormai prove di significato.   Oggi si sono affrancate da una antica abitudine: valutare se stesse attraverso lo sguardo di un uomo.

L’Autrice racconta vicende a lieto fine, o sfociate in cocenti delusioni, e anche contrastate: sì, perché il pregiudizio è duro a morire e spesso i figli, o l’ambiente circostante, giudicano sconveniente l’amore maturo e lo ostacolano.

C’è chi ritrova l’amore dell’adolescenza e scopre una magia: una sorta di “doppia visione”, come la chiama la sessuologa Judith Wallerstein, grazie alla quale si sovrappongono la visione idealizzata dei ragazzi di allora con quella della donna e dell’uomo maturi di oggi: accade a Phil e Sally, che si sono amati cinquant’anni fa e oggi si ritrovano, forti dell’amore di allora, temprati dalle vicende della vita: “Ricominciamo da qui, tutti e due abbiamo il nostro passato, questo è un nuovo inizio per entrambi”. E che importa se i figli li prendono benevolmente in giro.

Non mancano le delusioni, come accade a Caterina. Poco avvezza a padroneggiare il forte impatto emotivo della comunicazione on line, vive una storia d’amore virtuale, fatta di palpitazioni, tormentate attese di e-mail che non arrivano, fino al crollo finale delle illusioni.   E c’è anche chi non riesce a sottrarsi alla potenza del pregiudizio che si fa crudeltà, anche da parte dei figli.  Accade a Domenica, contadina della campagna ciociara, che  vede sfumare da ragazza il sogno del matrimonio per amore e che, quando questo sogno di profila di nuovo a ottant’anni, viene bruscamente riportata alla realtà dai figli ottusi e insensibili.

Le storie parlano dell’amore tra uomini e donne che hanno saputo guardare oltre il pregiudizio secondo cui le rughe e il corpo che cambia non sono compatibili con la voglia e il diritto di amare ed essere amati. Si può riscoprire una nuova stagione dell’amore, soprattutto se questa è sostenuta anche da valori forti, quali la stima, la complicità, la curiosità intellettuale. E’ una stagione tanto più bella e struggente poiché si ha la consapevolezza che il tempo che rimane è poco, e va vissuto significativamente.

“L’immagine che questi rapporti ci richiamano alla mente è quella del raggio verde – quell’ellisse, quel fascio di luce brillante che compare qualche volta sopra il sole al tramonto – visibile per pochi secondi mentre il sole scende sotto l’orizzonte e cade l’oscurità. Ma forse non è solo l’ultimo raggio del sole che tramonta, hanno detto alcune delle donne intervistate: potrebbe essere il primo di un nuovo sole, che illumini rapporti diversi tra uomo e donna. (pag.16).”

Nell’illustrazione: la copertina del libro di Vanna Vannuccini, L’amore a settant’anni, Feltrinelli, 2012.

Questo articolo viene pubblicato anche su http://www.patriziabelleri.it/ e nel blog “I nuovi senior” dell’International Business Times http://it.ibtimes.com/blogs/i-nuovi-senior/

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La trasformazione dei nonni

Forse il caso della signora Isabella è eccezionale, però vale la pena di raccontarlo. Isabella ha 80 anni, due figlie quaranta-cinquantenni e tre bei nipotini sotto i dieci anni. Il marito è morto parecchi anni fa, ma non si può certo dire che da lì in avanti la signora abbia sofferto di solitudine e malinconia. Anzi, mentre prima faceva vita abbastanza ritirata, da allora si è intensificata di molto la sua vita relazionale, sia con la frequentazione di vecchie e nuove amiche sia partecipando attivamente ad un paio di associazioni solidaristiche. Ma soprattutto sono molti anni che la signora Isabella viaggia: viaggi in posti vicini e lontani, viaggi brevi di pochi giorni e lunghi di settimane, viaggi a sue spese e ospitata da amici e conoscenti. Mica solo posti sicuri, anche zone difficili dell’Africa e altitudini che da anziani bisognerebbe andarci cauti. Ma Isabella non è preoccupata per i rischi che corre viaggiando, mentre le sue figlie raccontano, tra lo stupore e la delusione, che quando la cercano sono più le volte che non la trovano perché in viaggio di quando invece riescono a raggiungerla a casa. Della “mamma roccia”, come la chiamano, sono orgogliose, ma allo stesso tempo ormai rassegnate che da lei non otterranno alcun aiuto nella cura quotidiana dei bambini. “Ci eravamo illuse – mi dicono –che facesse quel che fanno di solito i nonni coi nipoti, cioè che li tenesse un po’ con sé, che ci desse una mano quando noi siamo a lavorare”.

Ma è proprio vero che è questo ciò che “di solito” fanno i nonni ?  Le indagini finora dicevano proprio così e i commentatori sociali non hanno mai smesso di sostenere che la carenza di servizi per le famiglie con figli fosse compensata dalla presenza dei nonni. Eppure di recente è emerso un dato da una ricerca del Censis che segnala un cambiamento forte di abitudini.

Dice il Censis: “La percentuale di nonni che si occupano direttamente dei nipoti scende dal 35,8% del 2007 al 22,5%, e si contrae dal 17,5% al 9,7% la quota di anziani che si rendono disponibili per il disbrigo di mansioni in casa o di pratiche burocratiche. Aumenta però dal 31,9% del 2004 al 47,9% la quota di over 60 che contribuiscono con un aiuto economico diretto alla vita di figli e/o nipoti.”

Insomma, non sappiamo quanti ottantenni attivi come Isabella ci siano in circolazione, ma sicuramente il modello di comportamento di tanti nonni sessantenni e settantenni non è più quello di una volta: il ruolo che si sta affermando è sempre più di sussidio economico per le giovani generazioni impoverite, però sporcandosi sempre meno le mani con incombenze domestiche, di cura e di servizio. L’affetto verso i nipoti continua a resistere, ma deve coniugarsi con le esigenze di libertà, di movimento e di vita attiva dei nuovi nonni.

 

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Un altro giro di boa

“Cosa fanno i tuoi figli ?”,  “Studiano o lavorano ?”,  “Vivono ancora con te o se ne sono andati ?” “E come è stato il distacco ?”  Sono domande che chi ha figli grandi si sente ripetere cento volte, spesso da altri genitori che condividono la medesima situazione e che hanno voglia di confrontarsi sul punto.

Non c’è dubbio che nel rapporto tra genitori senior e figli venti-trentenni ci sono dei passaggi che se da una parte dovrebbero essere considerati come una naturale e sana evoluzione del percorso di vita, dall’altra parte si presentano irti di ostacoli di natura sia psicologica sia sociale.

A partire dalla famosa “sindrome del nido vuoto”, quel particolare stato psicologico che colpisce i genitori quando i figli si emancipano e lasciano l’abitazione d’origine.  Che poi sia un’emancipazione completa (non solo abitativa, ma anche affettiva, economica e di autonomia nella vita quotidiana) oppure solo parziale, comunque i genitori cinquantenni e sessantenni in questi casi sperimentano un cambiamento forte nel loro modo di vivere e nel modo in cui guardano al futuro. Anche senza considerare le situazioni di chi arriva a soffrire di disturbi nevrotici o psicosomatici, a tutti la prospettiva cambia. Fino all’ultimo giorno che è rimasto a casa dovevi morderti la lingua per non reagire quando trovavi in giro per casa gli avanzi del suo pranzo e la cucina lasciata nel pieno disordine ? Dal giorno dopo che se ne é andato, ti sembra eccessivo l’ordine che impera in tutte le stanze della casa, fattasi improvvisamente grande. I sentimenti negativi che connotano la “sindrome del nido vuoto” sono ben noti: il senso di vuoto, un malessere da mancanza e da solitudine, la fatica a rinunciare ad atteggiamenti di protezione e controllo. Che naturalmente, ci si augura, sono controbilanciati da sensazioni positive, come la soddisfazione nel veder diventare il figlio autonomo, e da nuove opportunità e libertà di cui non ci si ricordava più: maggiore spazio fisico, più libertà d’azione, possibilità di ridare nuova linfa alla coppia. Per la verità, molti uomini e donne che si trovano in questa situazione ne sono spaventati: “E adesso che siamo soli, tra noi cosa ci diciamo ?”, ma è una reazione da vista corta che non considera le potenzialità che si hanno davanti. 

Se l’improvviso nido vuoto è per tanti la condizione con cui fare i conti, ben più preoccupati sono i genitori i cui figli faticano a raggiungere l’autonomia, vuoi per concretissime ragioni economiche e di mancanza di lavoro, vuoi per fragilità psicologica o per bassa spinta all’indipendenza. E’ vero che ci si potrebbe consolare pensando che anche in passato la regola era quella di più generazioni che vivevano sotto lo stesso tetto, ma il fatto è che oggi la famiglia patriarcale non esiste più e quindi, quando genitori e figli grandi vivono insieme, madre e padre intorno ai 60 sono costretti a cercare dei difficilissimi punti di equilibrio nella convivenza: da una parte son loro a tener su la baracca, dall’altra parte nessuno riconosce loro particolari autorità per questa ragione.

Insomma, nell’uno e nell’altro caso (che non si riesca a staccare il cordone ombelicale o che arrivi il momento del distacco) il passaggio richiede attenzione, sensibilità e, quando è possibile, gioco di squadra nella coppia genitoriale.

Questi fenomeni, che afferiscono soprattutto alla sfera dei rapporti affettivi e familiari, si innestano oggi in un contesto sociale che a sua volta contribuisce a rendere delicato il passaggio di vita sia per noi genitori della generazione baby boomer, sia per i figli grandi della Y-generation (più o meno quelli nati negli ultimi due decenni del 900).  Su questo credo che sia sufficiente ricordare due aspetti: il primo è la difficoltà enorme per le nuove generazioni di rendersi economicamente autonome attraverso il lavoro, il secondo è la nuova forma di emigrazione (emigrazione di studio e di avvio al lavoro), che coinvolge moltissimi giovani. Per quanto riguarda il primo aspetto, siamo sommersi quotidianamente dai dati sul livello stratosferico di disoccupazione giovanile, da ricerche che evidenziano la difficoltà per un venti-trentenne di ottenere mutui, da numeri choc sull’entità dei NEET. Purtroppo, la consapevolezza dei problemi non ha portato finora a scalfirne l’entità. Per quanto riguarda il secondo aspetto, la nuova emigrazione, non siamo ancora di fronte a un fenomeno di massa, ma il trend è sicuramente da non trascurare: per dare un’idea, il flusso dei venti-quarantenni verso l’estero è stato, secondo dati pubblicati di recente dal Sole24ore, di circa 28.000 persone all’anno. E’ gente che per lo più ha un alto livello di scolarizzazione e che sceglie, come destinazione per lavorare, soprattutto la Germania, la Gran Bretagna, la Svizzera, oltre a tanti altri Paesi. Senza contare i tantissimi che all’estero ci vanno per studiare o per le varie formule a metà strada tra studio e lavoro. Così che nascono persino pagine facebook dal titolo “noi che abbiamo i figli all’estero”.

Insomma, tra disoccupazione giovanile e nuova emigrazione, tra cordoni ombelicali che non vengono tagliati e nidi rimasti vuoti, il giro di boa dei figli che diventano indipendenti è da seguire con particolare cura.

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Senza lavoro ? Ha ragione mio figlio

Mi chiamo Gianandrea, ho 57 anni e da quando ne avevo 20 lavoro. Nei primi sei anni sono stato presso una ditta piccolissima che non mi ha mai pagato i contributi e poi è fallita. Dopo ho iniziato a lavorare in un’officina più grande di manutenzione che mi ha messo in regola e da lì non mi sono più mosso. Praticamente sono 37 anni che lavoro e più di 30 che verso allo Stato i soldi per la mia pensione. L’officina dove sono impiegato adesso è in crisi da un po’, il proprietario ci ha già spiegato molte volte che i conti non tornano e che gli costa molta fatica continuare a tenerla aperta. Con lui ormai ho molta confidenza, ci conosciamo da tanto tempo e sono un po’ il suo vice nell’organizzazione del lavoro quotidiano, quindi mi parla apertamente e secondo me manca poco prima che la chiude. Io ho davanti ancora dieci anni di contributi da versare prima di prendere la pensione. Ammesso e non concesso che a 67 anni la pensione davvero arriva e che sia sufficiente per vivere, nei prossimi dieci anni cosa faccio ? Non sono il tipo che si piange addosso, ho messo in giro la voce tra amici e conoscenti che ho bisogno di un nuovo lavoro, ma lo so che non sarà facile. Per fortuna mia moglie lavora anche lei, in un posto che sembra sicuro e mio figlio è già autonomo da qualche anno. Vuol dire che almeno dovrò occuparmi solo di me stesso non anche della famiglia e i miei risparmi dovrebbero bastarmi per un paio d’anni. Però non ci dormo quando penso che dopo una vita mi ritrovo senza arte né parte. So curare l’amministrazione, programmare il lavoro di un’officina, accettare e seguire i clienti, occuparmi delle diecimila pratiche burocratiche che ci sono da sbrigare, ma ci sarà un’altra officina che oggi vuole un 57enne per fare queste cose ? Io sono disponibile a fare qualunque cosa, ma non so se sarà sufficiente. Mio figlio mi fa la lezione invece di farla io a lui, mi dice che bisogna essere pronti a cambiare sempre, a non considerarsi mai arrivati, che loro di trent’anni questa lezione l’hanno dovuta imparare da subito e che per quelli della mia età è più difficile perché non ci siamo abituati. Ha ragione lui.      In foto: l’americano Mark Simoneau, ora 65enne, che ha ritrovato un buon lavoro nel 2012 dopo quattro anni trascorsi da disoccupato e alla ricerca di occupazione (fonte: AARP)

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Non è una guerra

Scrive Gennaro: Qualche sera fa ho visto in televisione una trasmissione sui rapporti tra “anziani” (così venivamo chiamati) e giovani. Se non erro, si chiamava “la guerra dei mondi”. L’obiettivo di tutta la trasmissione era di trovare degli spunti per mettere in conflitto le due generazioni. Queste trasmissioni vivono solo se riescono a creare della polemica e naturalmente a chi tentava un minimo di ragionamento veniva subito tolta la parola per incalzare con nuove polemiche. Io, che ho quasi settant’anni, francamente non riesco a guardare come a una guerra ai rapporti con i miei figli più giovani trentenni e con il mio nipote più grande diciottenne. Che la vita per un ragazzo oggi si presenti più in salita di come è stato per noi è probabile, basta pensare alla difficoltà di trovare lavoro, anche se anch’io da giovane mi sono dovuto fare la mia bella gavetta con dei turni massacranti e sempre sfavorito rispetto ai colleghi più anziani. Però sono convinto che un ventenne di oggi riceva di più di quello che riceveva un ventenne cinquant’anni fa: più istruzione, più beni materiali, più possibilità di viaggiare e di conoscere altri mondi, più libertà. Nel mio piccolo, io sono stato contento quando ai miei figli ho dato la possibilità di studiare fino alla laurea, quando li ho foraggiati anche finanziariamente se volevano viaggiare e andare a studiare le lingue e ho dato loro la possibilità di vivere con agio. E da loro sento di ricevere un sentimento di riconoscenza per questo. Se provo a fotografare il rapporto tra me e i miei figli la foto che mi viene fuori è di solidarietà, altro che guerra. Ma non credo che la mia sia un’isola felice, anche in tante altre famiglie che conosco l’aria che si respira è questa. Grazie dell’ospitalità. Gennaro      In foto: un senior e un giovane.    Clicca qui per il link al video con cui è stata lanciata la trasmissione tv “La guerra dei mondi”

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