Posts Tagged: pensione

A precipizio verso… me stesso

Classe (i nostri anziani di un tempo usavano spesso questa divertente parola) 1960, classico bravo ragazzo, educazione severa e spartana, pochi soldi e poca vita, autostima pressochè nulla, pochi amici, pochissime donne, laurea in economia alla grande. Da sempre (dai 25 anni a tutt’oggi) lavoro per un importante ente pubblico nazionale, ma con una gestione professionale di me stesso pessima (sono perfezionista, poco incline al compromesso e a volte un pò lento a capire e a reagire alle situazioni), tanto da ritrovarmi sempre dietro agli altri. Sono sposato con una donna magnifica, positiva, allegra, decisa per quanto per certi versi insicura anch’ella, innamorata, che tuttavia a volte mi dà l’impressione di governarmi in tutto e per tutto. Ho due figli (maschio e femmina) ormai grandi, che non mi danno alcun problema (forse perchè gli abbiamo dedicato davvero tanto tempo e tantissime energie). Soprattutto, sono pigrissimo, non intraprendo nulla, anche temendo di sbagliare e il giudizio altrui. Insomma, una vita grigia e – finalmente – vengo al punto, che è il “terrore” della vita da pensionato, per me che non manco un giorno dal lavoro e temo le ferie per la paura del tempo libero, del ritrovarmi solo con me stesso a dovermi inventare le giornate, io che di inventiva praticamente non ne ho! Tuttavia, il suo blog (per l’esattezza un suo ospite), scoperto solo oggi e per puro caso, qualche spunto me l’ha dato e quindi in questo momento mi sento più sereno. Naturalmente, penso che continuerò a seguirvi.

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Pensione ballerina

Per fortuna il mio lavoro ancora mi piace e non sto tutti i giorni a verificare quanto mi manca alla pensione, perché se lo facessi diventerei matta. Sono nata nel 1952, annata che le stelle devono aver decretato come quella in cui fare tutti gli esperimenti possibili e immaginabili per le donne che devono andare in pensione. Ormai gli anni sono 63 e solo pochi anni fa (nell’era pre-Fornero), quando sono stata una volta a chiedere lumi all’Inps, mi dissero tutti contenti (loro ed io) che entro pochi mesi avrei avuto diritto all’assegno. Poi tutto è cambiato e c’è voluto un po’ di tempo per farsene una ragione, anche se non ho mai capito bene quale sarebbe stata l’età vera del mio pensionamento, da lavoratrice autonoma che in gioventù non le versavano i contributi. Però ormai me n’ero fatta una ragione e a mia figlia ho detto: “Cara mia, se vuoi regalarmi un nipote ne sarei felicissima, ma sappi che un po’ d’aiuto per qualche altro anno non te lo posso dare”. Poi durante queste feste di Natale mi sono imbattuta in un po’ di notizie che parlavano, per il 2016, di ancora nuove regole per le donne. I titoli dicono che si torna ad andare in pensione prima (noi donne), ma al primo articolo letto non ho capito niente, spiegava tutti i vari casi ed eccezioni, così alla fine non ci ho capito niente. Sarà il giornalista poco chiaro, ho pensato. Così ho letto un altro giornale, ma il risultato è stato lo stesso, per capire che sorte mi ha riservato il destino dovrò chiedere di nuovo a qualche “esperto”. Poi dicono che serve più flessibilità… ma più flessibilità di così ! Mai che si possano fare dei programmi, ogni anno sono lì che devo capire cosa è cambiato !

Questa storia é stata pubblicata anche su www.osservatoriosenior.it

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Vivere giorno per giorno?

Da parte di Simone: E’ una lotta quotidiana contro la depressione. Ci sono giorni che vinco e giorni che perdo. Sono di più i giorni che non accetto di rimanere steso al tappeto, nel senso che al tappeto ci sono finito ma cerco tutte le energie che mi sono rimaste nel corpo e nell’anima perché non voglio credere che il sottoscritto, fino poco tempo fa considerato bell’uomo (così mi dicevano), di discreto successo, con delle belle qualità, adesso annaspo. Le donne mi guardano ormai come si guarderebbe un paracarro e d’altra parte non è che le fantasie sessuali abbondino. Lasciamo perdere… Sono separato da tanti anni e ho avuto altre relazioni, anche importanti, ma adesso la sola idea di impegnarmi in un nuovo rapporto mi mette il prurito. Pensavo che la mia professionalità costruita in tanti anni di lavoro in una grande azienda mi avrebbe permesso di dare un contributo da volontario in qualche associazione, ma ho scoperto con grande delusione che queste associazioni sono un mondo di potere dieci volte peggiore di quello aziendale e oltretutto meno organizzato. Ci riproverò, ma ormai senza grandi attese… Il momento più difficile è quando mi rendo conto di essere insignificante agli occhi degli altri. Un caro amico mi dice sempre che adesso che siamo in pensione è il momento di vivere giorno per giorno quel che succede godendo delle piccole cose e senza fare programmi. Probabilmente ha ragione lui, anzi sicuramente ha ragione lui perché lo vedo sempre sereno, ma per me è davvero difficile mettermi in questa prospettiva. Io senza qualcosa che mi prende, che mi interessa, che mi chiede di tirar fuori le mie capacità, non sono soddisfatto. Non do la colpa a nessuno. Se alla mia età non sono in pace con me stesso è solo responsabilità mia. E comunque bisogna guardare avanti.  Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior.

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Il senso delle mie giornate

Sono andata in pensione quattro anni fa. Il mio lavoro è stato molto impegnativo, dal punto di vista sia fisico sia mentale. Lavoravo in una grande azienda e i problemi interni erano tantissimi e difficili. Nonostante questo non pensavo di lasciare un lavoro che comunque amavo, ma la malattia con la quale ho combattuto negli ultimi anni e le continue battaglie interne mi hanno convinta ad un certo punto che era meglio smettere.
La mia vita è stata un’altalena di alti e bassi, di difficoltà e avventure. Comunque credo di aver sempre trovato la forza per affrontarle e superarle. Dopo la laurea sono seguiti 6 anni di precariato (anche allora esisteva…), poi finalmente è arrivata l’assunzione. Ho svolto il mio lavoro con passione, amandolo in modo quasi viscerale, dedicando una grande quantità di tempo e sempre convinta che stavo facendo qualcosa di importante per me, ma anche utile per gli altri.
Una volta smesso, tutti – ed io per prima – pensavano che avrei sentito un enorme vuoto, anche perché sono single e quasi tutti pensano che da single è più difficile vivere gli anni della pensione. Non è così… ora sono felice di appartenere alla schiera dei pensionati. Adesso gestisco a piacimento il mio tempo libero. Mi piace molto leggere, anzi diciamo pure che divoro una grande quantità di libri. Cerco di tenermi aggiornata su qualsiasi argomento, dalle nuove scoperte scientifiche che mi hanno sempre incuriosito alle notizie di economia che, a differenza di quel che dicono le mie amiche, non mi annoiano per niente. Ma ho anche altri interessi, come andare a teatro e non conosco, quasi più, la parola stress. Frequento gli amici di sempre e le ex colleghe e ho fatto in modo che la malattia non tarpasse la mia voglia di fare ogni tanto qualche viaggio e di curare il mio aspetto. Di recente poi collaboro con un’organizzazione di volontariato per dare sostegno a ragazzi disagiati e questo sicuramente ha dato un senso forte alle mie giornate.       La storia di Erika é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Ed eccomi in pensione !

Ci sarò anch’io” ci aveva scritto qualche tempo fa Paty, alle prese con le ansie e le fantasie di chi sta per andare in pensione. Ora che il cambiamento è avvenuto ci racconta come sta vivendo questa nuova fase.

“Eccomi, ora ci sono! Sono in pensione.
Sto occupando il tempo tra nipotini (per i quali cerco di inventare giochi e passatempi) e il mio “cucito creativo”, tra letture e relax, sono ancora in collegamento con i colleghi grazie al gruppo di WhatsApp, ma … mi sento un po’ fuori dal gruppo. Sono andata a scuola ed i ragazzi mi sono corsi incontro, mi hanno abbracciata, ma … non sono più i “miei ragazzi”.
È un’avventura diversa, una vita nuova soprattutto perché dei miei 63 anni ben 43 li ho trascorsi a scuola ed ora mi sento come incompleta, defraudata di un pezzetto di me, ma passerà. Ero abituata ad avere intorno tanta gente ed ora c’è silenzio, nel mio bicchiere mezzo pieno effettivamente l’acqua ogni tanto evapora … cerco di pensare in positivo, non ho più le complicazioni burocratiche del lavoro e non ho più il sovraffollamento di impegni, sicuramente è vero, ma un po’ mi mancano, sarà autolesionismo?
Ci risentiamo tra qualche mese, dopo l’assuefazione a questa nuova vita.”

La storia di Paty é pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Realtà in cambiamento

Dei cambiamenti per un po’ se ne parla, qualcuno li teme, qualcuno li auspica, e però spesso succede che per un lungo periodo se si guarda alla realtà di novità se ne vedono poche e i cambiamenti rimangono solo un’ipotesi. Poi ad un certo punto, quando quasi tutti hanno cominciato a non crederci più o comunque sono esausti di chiacchiere, ecco che i numeri entrano prepotenti in campo ed improvvisamente ti dimostrano che sì…. eppur si muove! E’ quel che sta succedendo nel mondo del lavoro e delle organizzazioni. Da tre anni almeno in Italia si racconta che l’universo del lavoro avrebbe dovuto fare i conti con l’invecchiamento e con l’allungamento dell’età della pensione, ma è stato assai difficile in questo periodo riconoscere pratiche diverse nel modo in cui le organizzazioni hanno gestito la variabile dell’età, sotto il profilo delle condizioni di lavoro, degli orari, dei tempi di carriera, o anche del rapporto tra le generazioni degli over55 iper-esperti e quella dei 25enni per lo più stagisti. La ribalta, se mai questo cambiamento voleva essere tenuto in considerazione, è stata presa dal problema degli esodati, che – per quanto delicato e importante – era sempre un modo di affrontare il problema senza domandarsi cosa sarebbe dovuto cambiare in futuro. Negli ultimi tempi invece è apparso qualche numero che sta rendendo obbligatorio interrogarsi su questo aspetto. E se non bastassero i numeri italiani ci penseranno quelli di altri a farci capire che ora qualcosa deve cambiare per forza.

Ad esempio, in Italia il tasso di inattività delle persone tra i 55 e i 64 anni, che era intorno al 62% ancora nel 2010, nella seconda parte del 2014 si è posizionato tra il 50 e il 51% e il trend non può che continuare nella stessa direzione. Al di là dell’evidente impatto di questo dato sul modo di gestire le organizzazioni, questo tra l’altro vuol anche dire che l’esperienza di vita di una gran numero di cinquanta – sessantenni di oggi è profondamente diversa da quella fatta dalla larga maggioranza dei loro fratelli di soli cinque o dieci anni più anziani.

In Germania, dove pure hanno previsto la possibilità di smettere di lavorare a 63 anni, già da un po’ i tedeschi over 60 che lavorano sono numerosi. Nel loro caso, una metà circa delle persone tra i 60 e i 64 anni risultano ancora in servizio attivo, mentre nel 2005 erano poco più di uno su quattro.

E vale la pena ricordare anche una notizia che si legge in questi giorni: e cioé l’accordo della Toyota con i sindacati, che prevede anche la riassunzione su base volontaria di pensionati over60 particolarmente qualificati, in grado di trasmettere know-how e conoscenze ai nuovi arrivati.  Un sintomo di come cambiamenti della realtà impongono anche cambiamenti nei modi di gestire il mondo del lavoro.  E’ il momento dei cambiamenti, non più delle chiacchiere.

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Facciamo due conti

Roberto lo conosco da tempo. Ha 62 anni, mi dice che ha concordato con l’azienda dove lavora un’uscita anticipata che lo porterà fino alla pensione. I soldi che riceverà dall’azienda copriranno il mancato stipendio per un paio d’anni. Poi, quanto riceverà di pensione non è riuscito ancora a capirlo esattamente, ogni volta gli dicono cifre diverse; quel che gli è chiaro è che con la pensione al massimo potrà coprire le spese quotidiane di ordinaria amministrazione sue e di sua moglie, la quale ha smesso di lavorare da più di dieci anni e al momento non ha un reddito proprio, se non quel che le viene dall’affitto di un appartamento ricevuto tempo fa in eredità. Hanno un figlio che ha finito gli studi, sta facendo uno stage dove gli danno 600 euro al mese e vive ancora con i genitori, anche se spera di rendersi velocemente autonomo e andare a vivere con la sua compagna. Roberto è soddisfatto dell’accordo fatto per la sua uscita dal lavoro, ma quando ci incontriamo mi si para davanti con foglio e penna perché vuole condividere le sue preoccupazioni economiche: ci penso su e mi rendo conto che è la prima volta che lo fa da quando lo conosco. La domanda di uno come Roberto, che ha sempre lavorato con discreti stipendi, che è stato capace di risparmiare e con il mutuo si è comprato la casa dove vive, che ha sempre avuto un tenore di vita che definirei da “classe media”, senza farsi mancare nulla ma senza particolari ambizioni economiche, è molto semplice: “ce la farò a mantenere in futuro lo stesso tenore di vita di oggi ?”

Pare che riuscirci sia molto difficile, anche se la risposta dipende da mille fattori e anche gli esperti di pensioni e di finanza, posti di fronte alla stessa domanda, faticano a dare risposte sicure. Ovviamente ognuno parte da proprie condizioni particolari e il contesto non permette di fare previsioni realmente attendibili. Ma non c’è dubbio che la domanda posta da Roberto attraversa la mente di milioni di senior: le aspettative sono di una vita sempre più lunga, avremo abbastanza risorse e opportunità per viverla decentemente ?

Di recente Jo Ann Jenkins, Presidente della potente American Association of Retired People, ha parlato di “resilienza finanziaria”, facendo riferimento alla capacità sia della società sia dei singoli senior di creare le condizioni perché appunto il progresso dato dal prolungamento dell’aspettativa di vita sia coniugato con la presenza di risorse finanziarie che evitino il deterioramento del tenore di vita all’avanzare dell’età.

Molto dipende dalle scelte che vengono compiute a livello politico e pubblico, ma molto dipende anche dalla capacità dei singoli di pensare con lungimiranza al proprio futuro finanziario.

Sul primo fronte pensiamo ad aspetti come la sostenibilità della spesa pensionistica pubblica, l’allungamento dell’età pensionabile, l’utilizzo e l’incentivazione dei fondi pensionistici integrativi privati, il mantenimento di un sistema sanitario pubblico, o pensiamo anche alla prevenzione delle frodi che sono particolarmente accentuate nei confronti delle persone in età avanzata.

Ma anche il ruolo di ciascun individuo è fondamentale. A 60 anni la “speranza di vita residua” è di più di venti anni (e di più di 25 per le donne): in quanti siamo abituati a fare una previsione delle risorse che avremo a disposizione nei prossimi venti anni?, a fare una stima delle spese che sosterremo?, in quanti abbiamo un’educazione finanziaria che ad esempio ci consenta di valutare quanto ancora dobbiamo risparmiare per fronteggiare i momenti più bui di salute ?

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Dove gli over60 vivono meglio

Noi italiani saremmo addirittura precipitati, nel breve volgere di un anno, dalla 27a alla 39a posizione nella classifica proposta dal Global Age Watch Index, uno studio realizzato annualmente su 96 Paesi del mondo da Help Age International e presentato come al solito ad inizio ottobre in occasione della Giornata Internazionale delle Nazioni Unite dedicata ai senior.

Quali sono i Paesi dove i senior vivono meglio ? E perché l’Italia compare in fondo alla classifica dei Paesi europei occidentali e sempre peggio nel ranking mondiale ?

Campione del mondo figura la Norvegia, al secondo posto la Svezia, al terzo la Svizzera, e poi via di seguito, nei primi dieci posti, Paesi dell’Europa dell’Ovest, Nordamericani, dell’Australasia, oltre al Giappone. Noi, solo al 39° posto, tra le Mauritius (prima di noi) e l’Armenia (subito dopo). In fondo alla classifica: Afghanistan, Mozambico, Gaza, Malawi, Tanzania.

I criteri in base ai quali viene stabilita la qualità della vita in ciascun Paese sono gli stessi dell’anno scorso: il livello e la sicurezza del reddito disponibile, le condizioni di salute e l’aspettativa di vita, le capacità personali di lavoro e culturali, le condizioni sociali e ambientali favorevoli (come ad esempio la rete familiare e degli amici, il senso di sicurezza nel girare da soli per strada o la qualità dei mezzi pubblici). E come l’anno scorso, la nostra classifica cambia completamente a seconda dei fattori che consideriamo. Noi italiani siamo ai vertici della classifica se consideriamo il fronte della salute, misurato dagli autori dell’indagine dall’aspettativa di vita a 60 anni, dall’aspettativa di vita in salute alla stessa età e dal riuscire a dare un senso positivo alla vita. E non sfiguriamo (25esimi) neppure guardando alla sicurezza del reddito: malgrado l’allungamento dell’età della pensione e il peggioramento dei dati sul rischio povertà, qui giocano a favore la copertura pensionistica universale, la ricchezza immobiliare e soprattutto il fatto che in Italia il reddito e i consumi dei senior, rispetto a quello di altre fasce di età, non è penalizzato, a differenza di altri Paesi dove invece il trentenne è di solito più ricco del sessantacinquenne. Dove crolla la nostra posizione in classifica è sulle capacità personali (69° posto) e ancor più sulle condizioni ambientali (74esimi). Le cosiddette capacità personali sono – opinabilmente – misurate da due fattori: il tasso di occupazione dei 55-64enni (che sta aumentando gradualmente ma che rimane sempre incredibilmente basso rispetto agli altri Paesi più avanzati) e il tasso di scolarità, misurato dalla percentuale di over60 con almeno istruzione secondaria, il che dovrebbe dare, secondo l’indagine, una maggior capacità di comprendere come va il mondo. Infine, per quanto riguarda le condizioni ambientali, siamo messi male sia per la percezione di sicurezza, sia per il basso senso di libertà nel fare scelte che riguardano la propria vita quando si è anziani, sia per la soddisfazione per i trasporti pubblici. Ci salviamo solo per la rete sociale e familiare che, pensiamo, non ci lascerebbe soli in caso di necessità.

Fin qui i dati. Starei però ben attento a considerare questi indicatori come espressione sicura della “qualità della vita” percepita da un senior. Sono aspetti certamente utili per aiutare a definire delle politiche pubbliche verso i senior, ma la “qualità della vita” la legherei di più alla soddisfazione delle preferenze individuali e alle aspirazioni personali di ciascuno di noi. Penso cioé che la “qualità della vita” sia una condizione troppo soggettiva per poter essere ingabbiata in queste misurazioni.

Per spiegarmi, riprendo un esempio paradossale che facevo un anno fa su questo stesso blog: una 63enne che abita in una cittadina sul mare con molti giorni di sole ma probabilmente con servizi pubblici allo stretto indispensabile, in pensione da qualche anno dopo decenni di lavoro con una pensione di ottocento euro al mese che insieme a quella del marito le consente di vivere sì modestamente ma senza particolari angosce, che trascorre la giornata dedicandosi ai nipoti e alla casa, che nel tempo libero passeggia sul lungomare o guarda la televisione, che non frequenta alcun corso o associazione, che a due passi da casa trova il medico di base che la conosce bene ma che deve fare chilometri per l’ospedale e gli specialisti, magari che vive in una zona ad alta intensità di reati anche se quando esce di casa vicini e negozianti la salutano con cortesia, ebbene questa nostra signora 63enne in base ai parametri utilizzati per misurare la “qualità della vita” risulterebbe in condizioni disastrose. Ma siamo proprio sicuri che sia così ? Che invece la sensazione di benessere e di soddisfazione per la propria vita non sia per questa signora più che buona ? E che magari non vorrebbe cambiarla con nessun’altra vita ?

E poi c’è anche qualcos’altro che non torna: perché gli over60 emigrano sempre di più, ma non in direzione dei Paesi che stanno in cima alla classifica di Help Age International, bensì verso altri Paesi dove la qualità della vita dei senior risulta più bassa di quella italiana ?

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L’emigrazione dei capelli grigi

Notizia Ansa del 21 agosto 2014, sotto il titolo: “Non solo fuga giovani, nuova emigrazione ha capelli grigi”:

“Nel periodo 2007-2013, dall’Italia sono emigrati all’estero in 620mila, quasi il doppio rispetto ai 7 anni precedenti. Solo nel 2013 hanno varcato i confini oltre 125mila adulti. Diversamente dal passato però, il nuovo boom di espatri è trainato da emigrati con i ‘capelli grigi’: negli anni della crisi l’incremento degli espatriati italiani con un’età tra 40 e 49 anni è stato pari al 79,2%. +51,2% nella fascia 50-64 anni. Emerge da una ricerca del Centro studi Cna”.

Da capire se si tratta più di un’emigrazione lavorativa (ad esempio, il tecnico specializzato che viene inviato dall’azienda a lavorare all’estero) o più di un’emigrazione dei pensionati che, come illustravano alcuni dati dell’Inps di mesi fa, si trasferiscono all’estero e lì si fanno inviare la pensione (scelta di vita spesso condizionata da ragioni economiche ma anche dal piacere di trovare luoghi piacevoli dove vivere). In entrambi i casi, testimonianza non solo del periodo di crisi, ma anche della nuova mobilità e iniziativa dei senior.

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Cercare lavoro dopo i 55 anni

Negli ultimi tempi ricevo con maggior frequenza del solito messaggi di over55 che vorrebbero trovare un lavoro e non ci riescono. Ad esempio Alberto mi scrive: “A settembre avrò 58 anni e sto cercando un lavoro da più di un anno…non so più come fare sono disperato…ho sempre fatto il commerciale, vendita, ma sono disposto a fare  qualsiasi cosa…”. Certo, se chi ha una professione commerciale alle spalle fatica a trovare un lavoro allora c’è davvero da preoccuparsi, i venditori da sempre sono tra i più ricercati dalle aziende…

E in un altro messaggio Michela, scoraggiata, mi interpella così: “Le scrivo perché il mio compagno, che è del 1954, cerca un impiego urgentemente. Ha sempre lavorato come camionista, ma anche come musicista e ora lavora “a chiamata” come factotum, ma non sempre gli pagano la giornata (lo chiamano a lavorare in nero)… Non so come aiutarlo… Grazie anticipatamente per i consigli…”  In questi casi vorresti poter aiutare subito chi si trova senza lavoro e non sa come fare per trovarne uno. Invece, dato che non sei un operatore del mercato del lavoro, ti ritrovi solo a provare a raccogliere qualche suggerimento su come presentarti ad un colloquio di lavoro e su come far tesoro dell’esperienza passata, o a dispensare qualche invito a verificare se la propria Regione offre qualche aiuto nei programmi di ricollocazione agli over 55 che cercano lavoro, se vi sono opportunità presso agenzie di somministrazione lavoro vicine a casa, piuttosto che a proporsi come collaboratore a tempo o esterno senza cercare a tutti i costi un rapporto di lavoro dipendente.

Una buona rassegna di suggerimenti la fornisce Betta Andrioli in un articolo pubblicato pochi giorni fa su Il Sole24ore, dal titolo “A 50 anni senza lavoro, ecco come ricominciare”.

Ad esempio, secondo questo articolo, ripartire da se stessi, rimettersi in discussione, proporsi attivamente sono atteggiamenti essenziali per qualsiasi ricerca di nuova occupazione. E nei colloqui di selezione è chiaro che si può valorizzare i propri punti di forza, in particolare l’esperienza in un particolare mestiere o settore, senza nascondere al selezionatore eventuali debolezze, come spesso accade per la conoscenza delle lingue straniere o le competenze digitali.

Certamente il problema è sentito e i dati Censis secondo cui gli over 50 senza occupazione sono cresciuti  negli ultimi sei anni del 146% sono lì a dimostrare che la disoccupazione picchia duro anche su chi sta entrando nella fase di vita da senior ma vede ancora lontana la stagione della pensione. Non tutto però è perduto: se sono tanti coloro che dopo i 55 anni cercano lavoro senza successo, è però altrettanto vero che i dati delle comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro dicono che nel corso del 2013 in Italia sono stati stipulati, con persone di età superiore ai 55 anni, ben 912.570 contratti regolari di lavoro (molti dei quali a tempo determinato), cioè quasi il 10% del totale dei nuovi contratti di lavoro stipulati nell’anno.

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