Posts Tagged: percorsi di vita

Sessant’anni ma non sentirli affatto

Nata nel 1959, per la prima volta nella mia vita guardo con fastidio al nuovo anno (il tempo sembra aver acquistato una velocità esponenziale ormai da diversi anni). Non mi piace affatto l’idea di compiere sessant’anni fra pochi mesi, perché dentro ne sento trenta. Non mi sento affatto matura e realizzata.

Penso ancora di voler cambiare lavoro, compagno, magari paese o continente, perché mi sembra di non avere mai iniziato a vivere realmente. Mi tengo in forma e tutti mi dicono che non dimostro affatto i miei anni, ma questo non mi basta.

Come posso venire a patti con l’idea della vecchiaia o della morte? Cado in depressione per molto meno! Conosco persone online e mi accorgo di formare attaccamenti irrealistici e adolescenziali per persone che ovviamente non lo meritano. Ho provato a frequentare un corso di mindfullness, a cercare aiuto da uno psicologo, ma dopo poche sedute mi sono allontanata, scoraggiata. Cosa devo fare?

La nostra lettrice ha chiesto di avere una risposta pubblica da una psicologa esperta del mondo senior. Risponde Silvia Lo Vetere:

“Gentile Signora, c’è sempre un momento, per lo più nella seconda parte della vita, in cui la percezione del tempo cambia: certo non è un fatto oggettivo perché il tempo scorre sempre uguale, ma dentro di noi no.

E’ un momento di particolare turbamento e anche di grande importanza. Un momento che può essere una condanna o una preziosa opportunità. Molto dipende da noi.

Sono due infatti le strade che si parano davanti a noi di fronte all’inevitabile turbamento di questa nuova consapevolezza: negarla con orrore o venirne a patti trovandone anche i potenziali aspetti di valore.

Non rari tentativi di fuga si osservano sulla prima via, quella della negazione, diversi e quanto mai illusori: tornare ad esempio adolescenti con l’amore dei primi anni di scuola, vestirsi da teenager e magari sfrenarsi in discoteca, o altre cose simili. Tutte cose capaci magari di regalare sollievo nell’immediato, ma sulla lunga, lasciare nel vuoto di una illusione seguita invano.

La seconda strada è la più complessa, ma spesso la più proficua: non lottare contro i segni del tempo, accettarne il rammarico, il turbamento, l’impotenza come sentimenti difficili ma naturali. Affetti con cui nel tempo imparare a convivere magari parlandone anche con i coetanei.

Quasi sempre da questa maggiore accettazione, nasce anche la maggiore capacità di apprezzare aspetti diversi di noi, sopraggiunti con l’età: magari una maggiore consapevolezza di noi stessi, magari una qualità della relazioni più profonda, una maggiore capacità di scelta o altro ancora.

Chissà, forse ora lei pensa di sentirsi meglio cambiando tutta la sua vita. Magari ha ragione, ma forse può rendere più preziose e soddisfacenti le cose che già ha: trovare strade e interessi per ravvivare ad esempio il legame con il partner, avere con i colleghi uno scambio più significativo, coltivare qualche hobby finito il lavoro, allargare la cerchia di amicizie.

Non è rivoluzionando le cose fuori di noi che il nostro malessere migliora. Lei è una donna intelligente e ancora piena di passione: la incanali migliorando la qualità delle cose che fa, capendo di cosa davvero ha bisogno e desidera realizzare. A sessant’anni non può essere più il tutto ciò cui dare voce come a vent’anni. Ma se si impara a selezionare e a scegliere, la qualità delle esperienze che ancora la attendono potrà essere anche molto più intensa e preziosa che a vent’anni.

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Sradicata

Classe 1956, donna, e, come tale, cresciuta sotto una campana di vetro per tutta l’adolescenza, perchè ai miei tempi niente discoteca e niente amicizie maschili, solo l’amica del cuore ed i compagni a scuola. Appena diplomata vengo mandata da sola a Milano all’università e contemporaneamente ho il privilegio di frequentare un prestigioso Istituto Farmaceutico dove lavoro nei laboratori anche dieci ore al giorno studiando nelle ore notturne e i miei non mi danno una lira per mantenermi. Ce l’avrei anche fatta perche’ con la mia intelligenza brillante trovavo soluzioni a tutto, ma non è durata a lungo.

La mia vita è stata tutta cosi. Periodi piu’ o meno lunghi di stabilità seguiti da sconvolgimenti radicali. Sono riuscita a rimanere infelicemente sposata per 22 anni, a crescere una meravigliosa figlia e a riprendere poi una vita randagia, con frequenti traslochi e cambi di lavoro. E’ vero, me la sono cavata, ma dentro sono spezzata. Non mi sono laureata, nel lavoro non ho fatto carriera ed ora, a 61 anni, non riesco ad instaurare amicizie stabili perche’ qualcosa dentro di me e’ instabile, sempre pronto a partire, a cambiare e ad abbandonare tutto.

Riesco a trovare un posto adatto a me ovunque, ma tutto mi e’ sostanzialmente estraneo come la citta’ in cui vivo ora. Ho conoscenze superficiali, ma non sono piu’ riuscita a creare un’amicizia profonda come ai tempi della scuola. Sempre impegnata a barcamenarmi ed affrontare nuove sfide. Ora la mia salvezza sta nell’avere un lavoro molto sicuro, il famoso impiego statale che i nostri giovani vedono col binocolo, nonché la prospettiva di rimanere in questa città fino alla pensione.

Al futuro non riesco a pensare, non lo voglio immaginare ne’ in positivo ne’ in negativo. Cerco di mantenermi di aspetto giovane ed in buona salute selezionando con cura la mia alimentazione. Sono diventata vegetariana, praticamente vegana, dal Luglio scorso attuando l’ennesima trasformazione radicale e devo dire che i risultati sono eccellenti sotto tutti gli aspetti, fisico, energetico e mentale. L’esistenza, che a volte si comporta in modo curioso, ha fatto si che proprio nel pieno della mia trasformazione alimentare mi si sia allagata la cantina dove c’erano i ricordi di una vita, libri, appunti, oggetti. E buttare via tutto l’ho vissuto come ulteriore alleggerimento. Ma perche’ noi di una certa eta’ conserviamo tutto?

Sì, mi sto rinnovando per l’ennesima volta, sento già il profumo del nuovo che arriva. Una nuova sfida, un’amicizia, un amore, chissà? Pare che noi donne si viva fino a 85 anni e allora me ne restano 24 da vivere alla grande. Ho letto tutte le vostre storie e mi piacciono tutte. Sono storie di chi, comunque, come me, ce l’ha fatta ad arrivare a questa età. Dobbiamo esserne fieri, orgogliosi, abbiamo affrontato di tutto ed ora finalmente ci attendono un po’ di meritato riposo ed una vita piu’ serena.

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Ripartire

La mia vita è stata un susseguirsi di partenze. Ho avuto la fortuna di poter fare quel lavoro che sognavo sin da bambino, ossia vendere viaggi che detto così sembra molto riduttivo. Infatti dietro la parola vendere viaggi si nasconde tutto un mondo fatto di emozioni, di sogni, di paure inconsce da superare. Viaggiare mi ha permesso di conoscere una fetta consistente di questo nostro mondo e aprirmi a culture diverse, incontrando gente di tante razze, condividendo con loro momenti molto intensi. A conclusione del 2015, ho attraversato un momento difficile dal punto di vista professionale perché, purtroppo, l’agenzia di cui sono ancora socio, per tutta una serie di motivi ha dovuto chiudere la sua attività al pubblico. Per me è stato un duro colpo e forse anche per un eccesso di stress mi sono ritrovato in quelle situazioni in cui un momento di stanchezza, se non preso in tempo rischia di trasformarsi nelle piaghe dell’anima e della mente. Periodi in cui tutto sembra buio, fermo, senza più via d’uscita, Ma la vita mi ha abituato che dopo un viaggio si può sempre ripartire per un nuovo viaggio e avendo questo nel mio DNA ho ritrovato la forza di ripartire, confortato dalla stima, dall’affetto di tante persone nella famiglia, nelle amicizie, tra i colleghi di altre agenzie e tra i clienti . E così ho ritrovato le mie attività, lo scrivere sul mio blog, il proporre viaggi, la curiosità che non mi è mai mancata.

Questa storia è stata pubblicata anche su www.osservatoriosenior.it

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La scrittura autobiografica è scrittura di sé

Ricevo da Silvia Ghidinelli e volentieri pubblico. 

Mi sono sempre piaciute le biografie, ne ho lette tante di uomini, di donne, di artisti famosi e di tutti mi interessava la loro vita straordinaria e le persone conosciute, ma soprattutto il loro modo di affrontare le varie occasioni che la vita aveva presentato loro. Se poi mi capitava di leggere autobiografie era un piacere: da Simone De Beauvoir a Neruda, a Lalla Romano ho letto con gusto tratti di tante vite, finché ad un certo punto mi sono chiesta: Perché mi piacciono tanto le narrazioni personali di vite passate? A che cosa serve narrare il proprio passato?

Mi sembra che l’autobiografia permetta di riconoscersi nella figura che porta il nostro nome e la nostra storia disegnata sulla faccia. Mi pare che scrivere di sé serva a non rimanere schiacciati sul presente della nostra vita ma a cercarvi un senso, attraverso la narrazione. Ma anche a trovare, nella determinazione di scelte, amicizie, amori, abitudini, errori, il nostro carattere, la sua evoluzione e a capire il nostro destino. Inoltre l’autobiografia consente una seconda lettura delle vicende della vita. La prima lettura è stata nel momento della vita vissuta, meno consapevoli, guidati dal temperamento, dall’istinto, dall’amore, dal risentimento, mentre una seconda lettura, più avanti negli anni, a bocce ferme, ci permette di vedere il filo di Arianna che ci ha guidati: un’occasione irripetibile e imperdibile di vedere la nostra vita come una metafora e forse comprendere il senso di un lungo cammino. Ed è così che pian piano, mi sono trovata faccia a faccia con il desiderio di “fare scrittura autobiografica”, e la ricerca di un corso collettivo di supporto che mi aiutasse a metterla in pratica e non sono stata delusa.

La scrittura autobiografica mi ha dato la consapevolezza stabile delle conquiste interiori certe nel mio percorso di vita. Scrivere è stato un sicuro riappropriarmi dei miei percorsi esistenziali e delle mete raggiunte, guidata dalla curiosità di incontrare me stessa. Ho la chiara immagine che prima, col pensiero e con i miei scritti sporadici, illuminassi con una torcia degli “angoli” di vita, tra paesaggi indistinti; invece la scrittura autobiografica mi ha permesso di illuminare a giorno i miei scenari, aperti e non più temuti. Inoltre rivestire di parole scritte i fatti, le persone e le emozioni della mia vita è stato per me dimostrare cura verso me stessa. Ancora: ascoltare le vite degli altri ha dilatato il mio mondo interiore. Infatti il confronto con l’altro, evidenziando approcci alla vita diversi dai miei, è stato uno specchio che ha trasmesso di riflesso le mie specificità emotive e ha contribuito alla più profonda scoperta di me.

Questa scrittura mi ha regalato la distanza emotiva dagli eventi della mia vita, così utile a guardare in faccia le cose avvenute, senza esserci dentro, e da questa prospettiva osservarle, accettarle e lasciarle andare. Mi ha portato anche in dono concentrazione, centratura, scoperta, indulgenza, pace e da qui alla scoperta di nuovi desideri e pertanto ancora progettualità future. Dunque narrare il nostro passato è un elemento indispensabile per dare un senso non solo alla nostra vita passata, ma anche presente e futura. Quale migliore cura di sé?

Questo articolo è stato pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Pensione ballerina

Per fortuna il mio lavoro ancora mi piace e non sto tutti i giorni a verificare quanto mi manca alla pensione, perché se lo facessi diventerei matta. Sono nata nel 1952, annata che le stelle devono aver decretato come quella in cui fare tutti gli esperimenti possibili e immaginabili per le donne che devono andare in pensione. Ormai gli anni sono 63 e solo pochi anni fa (nell’era pre-Fornero), quando sono stata una volta a chiedere lumi all’Inps, mi dissero tutti contenti (loro ed io) che entro pochi mesi avrei avuto diritto all’assegno. Poi tutto è cambiato e c’è voluto un po’ di tempo per farsene una ragione, anche se non ho mai capito bene quale sarebbe stata l’età vera del mio pensionamento, da lavoratrice autonoma che in gioventù non le versavano i contributi. Però ormai me n’ero fatta una ragione e a mia figlia ho detto: “Cara mia, se vuoi regalarmi un nipote ne sarei felicissima, ma sappi che un po’ d’aiuto per qualche altro anno non te lo posso dare”. Poi durante queste feste di Natale mi sono imbattuta in un po’ di notizie che parlavano, per il 2016, di ancora nuove regole per le donne. I titoli dicono che si torna ad andare in pensione prima (noi donne), ma al primo articolo letto non ho capito niente, spiegava tutti i vari casi ed eccezioni, così alla fine non ci ho capito niente. Sarà il giornalista poco chiaro, ho pensato. Così ho letto un altro giornale, ma il risultato è stato lo stesso, per capire che sorte mi ha riservato il destino dovrò chiedere di nuovo a qualche “esperto”. Poi dicono che serve più flessibilità… ma più flessibilità di così ! Mai che si possano fare dei programmi, ogni anno sono lì che devo capire cosa è cambiato !

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Ora ho deciso di lottare veramente

Scrive Piera: Sono Piera, abito a Roma, ho 56 anni. Ho un diploma di ragioniera ma non per mia scelta purtroppo, io avrei voluto fare ben altro a suo tempo. Avevo la passione per le scienze e la matematica e il sogno di diventare medico ma una mentalità retrograda, per il solo fatto di essere donna me lo ha impedito nonostante il mio cervello fosse stato giudicato in grado di farlo egregiamente. Per iniziare a lavorare mi sono trasferita in una grande città come Roma con tanti sogni da realizzare e tante speranze per il mio futuro. Ho conosciuto mio marito.Un ragazzo della mia stessa età e ci siamo innamorati. Ho messo da parte i miei sogni, ho iniziato a lavorare e dopo qualche anno ci siamo sposati. Sono nati due splendidi figli. Ma dentro di me era sempre forte il desiderio di fare qualche cosa in più’ così mi sono buttata nel campo della moda vista anche la mia passione per tutto ciò che e’ bello e ricercato. Così ho ripreso a studiare e ho conseguito un diploma di stilista di alta moda, purtroppo ero già’ troppo grande per questo settore e per inseguire i miei sogni mi sarei dovuta trasferire in una grande città’ del nord o magari all’estero ma avevo una famiglia e non potevo abbandonarla. Però nel frattempo lavoravo, studiavo e provvedevo a loro. Ho provato a realizzare questo mio sogno a Roma insieme a due colleghi stilisti ma ancora una volta è stato solo un sogno e niente più. Però la vita ad un certo punto mi ha aperto una nuova finestra e ho ripreso a studiare ma per conseguire l’abilitazione come consulente del lavoro e ci sono riuscita solo con le mie forze ed anche con ottimi voti. E’ stata per me una grande soddisfazione quasi una rivincita verso quella laurea in medicina che tanto sognavo. Mi sentivo forte e sicura che questa volta avrei tirato fuori il meglio di me….ma ahime’ cosi’ non è stato nonostante ci abbia messo il cuore ma forse per quel tipo di mestiere non ci vuole cuore ma solo ed esclusivamente cervello ed io sono per entrambe le cose e così ancora una volta è andato tutto a farsi benedire. Poi però la vita ti chiude anche tutte le finestre. Quando pensi che in fondo tutto procede per il meglio anche se i sogni sono in un cassetto ti trovi a lottare con la malattia, di mio marito, anni di sofferenze e tantissimi problemi. Ti senti sola ma lotti con tutte le tue forze, ne vieni fuori, mio marito guarisce e riprende la sua vita ma con uno spirito diverso, sempre più’ egoista ed egocentrico ed ora sono io che lotto con il male, il male fisico e quello dell’anima. Il corpo si indebolisce, non ho la forza fisica e la mente e lo spirito vanno di pari passo……..lascio quello straccio di lavoro che mi è rimasto perché non ho più la forza di farlo, non mi dà più niente , mi sento sopraffatta. Ormai sono circa due anni, sono ancora malata fisicamente ma piano piano guarirò’. Ho capito che per guarire il corpo ho bisogno prima di guarire lo spirito e la mente ed e’ ciò che farò… non posso abbandonare i miei sogni perché loro sono la mia speranza e saranno la mia salvezza… ora voglio diventare naturopata e mi iscriverò ad una scuola, ora lo faccio solo per me, per guarire il mio corpo, la mia mente ed il mio spirito perché ho deciso di volermi bene.

Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Voglio la macchina del tempo

Da parte di Maria: Da giovane ho avuto dei sogni che si sono infranti quando mi sono accorta che le paure erano più forti dei desideri. Ho accettato il primo impiego che sono riuscita a trovare: nella pubblica amministrazione. Non avevo ancora 22 anni e avevo già rinunciato alla realizzazione di me stessa. L’ipocondria non mi dava tregua, la volontà latitava, i rapporti con gli altri erano superficiali. In sostanza non vivevo. A 24 anni mi sono laureata. Ho fatto carriera. Ho “bluffato” di continuo, non sul piano della competenza che mi è stata sempre riconosciuta, ma della capacità di essere leader di cui difettavo completamente. Intanto mi facevo elettrocardiogrammi. Ancora peggio andavano le cose sul piano sentimentale. Baciavo rospi che non si trasformavano, ma se avessi incontrato il principe non mi avrebbe voluto! Passavo da una storia all’altra senza partecipazione. Al massimo un anno e scappavo o mi facevo lasciare. I soli piaceri erano i viaggi, il cinema, l’arte, la lettura. A più di 40 anni mi sono innamorata del computer e soprattutto di internet. Ho creato diversi blog. Ne ho ancora due. Poi sono diventata dipendente di Facebook e Twitter. Ho interrotto l’ultimo rapporto “parasentimentale”, 4 anni fa, cambiando il mio stato su Facebook. Da allora sono fidanzata con il mio gatto che peraltro è un lascito del mio ex, insieme a una pianta di more. In quello stesso anno mi hanno demansionato sul lavoro. Sono ancora in causa. Finalmente a gennaio, a 61 anni e 7 mesi, sono andata in pensione. Pensavo che sarei stata meglio, che avrei avuto tanto tempo per dedicarmi ai miei interessi, per rilassarmi, per viaggiare, per scrivere. Invece il corpo manda segnali preoccupanti, devo badare a mia madre centenaria, ho un trasloco in corso che mi sta succhiando le ultime energie. E poi l’angoscia per il tempo buttato, per la vita buttata, mi opprime. Non dormo la notte pensando alla vecchiaia. Voglio la macchina del tempo! O un portale per passare in un universo parallelo.  Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior.

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Se piangi, se ridi…

Scrive Antonio: Se piangi, se ridi…. comincio con il titolo di una canzone cantata qualche sera fa da Boby Solo nella trasmissione di Vespa che lo festeggiava per il suo compleanno. Titolo in sintonia con l’altalenante successione della nostra vita, tra successi e fallimenti, vittorie e sconfitte, che hanno caratterizzato anche il nostro percorso lavorativo.
Tanti avvenimenti li ricordiamo perchè sono legati alle canzoni che hanno costituito la colonna sonora della nostra vita.
Ma non dobbiamo rimanere prigionieri dei nostri ricordi, se pur belli. Anche la vecchiaia è bella, peccato che duri poco. Essa va vissuta in maniera consapevole, vivace e partecipe. In qualche modo e nella giusta misura da protagonisti. Nessuna paura. Finalmente non abbiamo più nulla da perdere.
E se “saper invecchiare significa trovare un accordo decente tra il tuo volto da vecchio e il tuo cuore e cervello da giovane” bene, evitiamo di guardarci spesso allo specchio.  Questa storia è pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Una vita nel mondo

Scrive Daniela: Non ero ancora diciannovenne allorché, insoddisfatta delle prospettive che un’asfittica vita di provincia mi prospettava, decisi di volare in Gran Bretagna, allettata dalla fama che quel Paese emanava in termini di dinamicità d’attività lavorativa e senza badare ai possibili rischi di quella scelta.
La conoscenza dell’idioma locale costituì il primo dei problemi da affrontare, a cui si aggiunse il gran freddo del febbraio londinese.
Dopo un anno di soggiorno e di fatiche costrinsi il West London College a dotarmi del Proficiency Certificate, il diploma che attestava che avevo imparato l’inglese.
La conquista ottenuta mi consentì di iniziare una vera e propria attività lavorativa presso una multinazionale, una società alberghiera dove mi occupavo di prenotazioni in tutte le strutture estere periferiche.
Clima e complicazioni affettive mi indussero però a rientrare in Italia di lì a quattro anni; potendomi a questo punto ormai avvalere di una buona conoscenza della lingua inglese non ebbi difficoltà a trovare un’attività lavorativa in una società petrolchimica di primaria grandezza.
Dopo pochi anni di assestamento, mi affidarono un incarico che mi consentì di spaziare sugli ampi orizzonti dell’intero orbe terracqueo: così poterono apprezzare le mie qualità (e io apprezzai le loro) gli abitanti di più di 40 città: da Barcellona a Parigi, da Amsterdam a Copenaghen, da Zurigo a Bratislava, fino a luoghi più lontani come Istanbul, Il Cairo, Jaffa, Casablanca, New York, Tokyo, Seul e tante altre ancora… Lo so che è difficile credermi ma vi assicuro che è andata così. Del resto, che colpa potevo avere io se la Società mi costringeva a seguire i dirigenti ad ogni angolo del mondo ove si recavano a sottoscrivere contratti e/o monitorare i mercati?
Poi, si sa, ci si mettono gli affetti e i sentimenti… Persistenti, complicati e ondivaghi, mi indussero all’abbandono di quell’attività. Per poco però, giacché di lì ad un anno le solite turbolenze affettive mi indussero nuovamente a rimettermi in gioco, anche se ormai avevo ottenuto la pensione.
Per altri dieci anni ho continuato a lavorare in una grande società farmaceutica: diverse esperienze, diverso il linguaggio, diversi i soggetti, tutto però come sempre stimolante.
Tra sette giorni, dal momento in cui scrivo, avrà termine anche questa esperienza.
Sono certa però che non sia stata l’ultima… La vita continua…

La storia di Daniela é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Viatato piangere

Scrive Giuliana: Ho iniziato a lavorare molto presto, a 21 anni e subito sono entrata a far parte di una multinazionale. Il flashback si riferisce a circa 34 anni fà e già allora, e questo è il paradosso, c’erano i contratti a tempo determinato. Riesco con fatica ad ottenerne uno di due mesi rinnovato poi per altri due mesi, grazie all’eccellente conoscenza della lingua inglese. Inizio la mia gavetta in un’azienda dove si sperimenterà poi anche l’esodo incentivato che avveniva tuttavia con il sorriso degli interessati, grazie alla compresenza di una parte sindacale. Proseguo nel mio percorso fino a quando arriva l’opportunità per il salto di qualità. Cambio azienda e comincio letteralmente da zero un nuovo percorso, fatto di fatica e coinvolgimento su tutti i fronti. L’azienda sta nascendo e manca praticamente tutto: dalle procedure alle competenze. Vado avanti lo stesso e mi impegno fino a quando, dopo solo 6 mesi di prova, scopro di avere un tumore. La prima preoccupazione è come andare avanti sul lavoro. Quel lavoro dove ancora devo dimostrare molto e che rappresenta soprattutto in questo momento una “via di fuga”, una leva per affrontare interventi e terapie. Scopro di avere un’energia che non immaginavo mi appartenesse e continuo a lavorare con le piccole pause necessarie. Riesco ad andare avanti e l’azienda mi trasferisce in un altro settore dove non ho nessuna competenza ed attitudine. Inizia un processo involutivo dove la perdita di identità e la demotivazione si confrontano con la voglia di apprendere di cercare di restare al passo. Chiedo di avere formazione o di continuare a far parte di un’area dove possa essere più produttiva. Nel frattempo sono passati circa 20 anni dal mio ingresso nel mondo del lavoro e con sacrifici enormi mi laureo per ben due volte, colmando un gap che mi faceva sentire in qualche modo non completamente idonea per il mio ruolo. Dopo molti anni finalmente riesco a ritrovare un equilibrio creando un nuovo settore con maggiore attinenza rispetto alle mie esperienze e caratteristiche. Non passa molto tempo e l’azienda inizia a creare un bacino di possibili risorse con prospettive di uscita dall’Organizzazione. Non me ne rendo subito conto ma faro’ parte di questo gruppo, chirurgicamente individuato in base all’età ed alla posizione, ritenuta all’improvviso non necessaria. Dov’è il paradosso? Quello che mi è successo continua a succedere a molte persone ma la differenza è che io sono anche una “categoria protetta”. Questa condizione in passato forse mi avrebbe risparmiato il trattamento di “uscita” ma oggi non ha alcun peso nelle decisioni aziendali. Con tutte le mie forze cerco di ribellarmi al mio destino consultando legali e consulenti del lavoro ma ho le spalle al muro. Cerco di mediare, di parlare con l’azienda perché trovi soluzioni anche temporanee ma non mi viene dato ascolto. I miei colleghi sono troppo immersi nel non immaginare che un domani potrebbe toccare anche a loro. Non ci sono rappresentanti sindacali in azienda. Da circa 3 anni non sono più parte dell’azienda che ho contribuito a creare e sono incappata nella cosiddetta “riforma Fornero” che ha esteso il traguardo della pensione. Sono stata seguita da una società di ricollocamento ma senza risultati. La vera drammatica discriminante è l’età anagrafica che sancisce un vero e proprio spartiacque tra chi può ambire a continuare a lavorare e chi no. Non voglio arrendermi però e decido di pubblicare un e-book con un titolo emblematico “vietato piangere” dove ripercorro le tappe della mia esistenza e della mia vita professionale, cercando sempre di non lasciarmi andare alla disperazione per una condizione che si sta estendendo a macchia d’olio.

Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior

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