Posts Tagged: progetti di vita

Ripartire

La mia vita è stata un susseguirsi di partenze. Ho avuto la fortuna di poter fare quel lavoro che sognavo sin da bambino, ossia vendere viaggi che detto così sembra molto riduttivo. Infatti dietro la parola vendere viaggi si nasconde tutto un mondo fatto di emozioni, di sogni, di paure inconsce da superare. Viaggiare mi ha permesso di conoscere una fetta consistente di questo nostro mondo e aprirmi a culture diverse, incontrando gente di tante razze, condividendo con loro momenti molto intensi. A conclusione del 2015, ho attraversato un momento difficile dal punto di vista professionale perché, purtroppo, l’agenzia di cui sono ancora socio, per tutta una serie di motivi ha dovuto chiudere la sua attività al pubblico. Per me è stato un duro colpo e forse anche per un eccesso di stress mi sono ritrovato in quelle situazioni in cui un momento di stanchezza, se non preso in tempo rischia di trasformarsi nelle piaghe dell’anima e della mente. Periodi in cui tutto sembra buio, fermo, senza più via d’uscita, Ma la vita mi ha abituato che dopo un viaggio si può sempre ripartire per un nuovo viaggio e avendo questo nel mio DNA ho ritrovato la forza di ripartire, confortato dalla stima, dall’affetto di tante persone nella famiglia, nelle amicizie, tra i colleghi di altre agenzie e tra i clienti . E così ho ritrovato le mie attività, lo scrivere sul mio blog, il proporre viaggi, la curiosità che non mi è mai mancata.

Questa storia è stata pubblicata anche su www.osservatoriosenior.it

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Invecchiare bene a casa propria

Intervista di Enrico a Francesco, Pino e Raimondo di Abitaresociale.

Secondo Abitaresociale l’incremento della speranza di vita, associato ad un suo progressivo miglioramento, ha consentito una costante crescita del numero di persone anziane in grado di continuare a condurre una vita attiva e autonoma nella propria dimora. Questo apre delle opportunità, ma anche dei problemi.

02Si tratta di un cambiamento positivo. Perché allora occuparsene? Non dovrebbe essere sufficiente lasciare che la situazione evolva da sola ?

No, perché in realtà la casa e il quartiere oggi rappresentano ancora la principale causa di emarginazione delle persone quando invecchiano, precludendo loro la possibilità di muoversi facilmente, in modo sicuro e indipendente. Le abitazioni degli anziani si rivelano spesso inadeguate alle loro necessità e il patrimonio edilizio esistente generalmente è funzionale ad un tipo di famiglia giovane e autonoma nei trasporti, mentre la persona in là con gli anni, soprattutto quando perde la propria autonomia, spesso è costretta a trasferirsi presso una casa dei propri familiari o in una residenza privata assistita, sradicandola così dalla propria realtà sociale e accelerandone il processo di invecchiamento. Per questo è importante pensare alla propria abitazione per l’invecchiamento sin da prima, quando si è ancora in forma.

Secondo voi qual è la risposta a questo problema ?

E’ fondamentale definire modelli abitativi in linea con le esigenze della persona che invecchia. Servono complessi residenziali completamente accessibili, nuovi o riqualificati, rivolti a persone senior e anziane, ma anche a giovani e famiglie, perché la solidarietà tra generazioni va di pari passo con la ricerca di nuove soluzioni abitative. Noi di Abitaresociale siamo un gruppo interdisciplinare di ricerca e progetto composto da professionisti provenienti dal mondo dell’architettura, della medicina e delle scienze sociali e ci dedichiamo proprio alla creazione di questi tipi di progetti.

Come si sviluppa di solito un vostro progetto ?

In quattro fasi progettuali: sociale, architettonica, economica e gestionale. La progettazione sociale dello stile di vita comunitario preferito, scelto dai residenti attraverso un processo aperto e partecipativo, rappresenta la base da cui deriveranno le scelte dei tipi e tipologie edilizie, cioè il progetto architettonico, quindi l’erogazione dei servizi e l’accompagnamento dei residenti durante il tempo nelle problematiche gestionali.

Tutti i percorsi sono concepiti per favorire il processo di invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni e sono finalizzati alla costruzione di una comunità di residenti intergenerazionale, secondo uno spirito cooperativistico e solidale.

In foto: senior che progettano la loro casa comune.

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Senior che vivono insieme

Affollata conferenza-dibattito domenica scorsa, 12 ottobre, all’incontro sul “Cohousing Senior” svoltosi all’interno dell’ Experimentdays Milano 2014, “Fiera dell’Abitare collaborativo”. L’evento, ricco di due giorni di esposizioni e conferenze dedicate a nuovi modi di abitare la città, è arrivato in Italia dopo 10 anni di promozione di nuovi stili di vita legati all’abitare consapevole a Berlino e in Germania.

Evidentemente le nuove formule abitative in vista dell’invecchiamento intercettano anche da noi la curiosità ed un bisogno diffuso dei senior di individuare soluzioni più accattivanti di quelle dell’abitazione monofamiliare a rischio solitudine o di scovare alternative, una volta persa l’autonomia, al rimedio della casa di cura o del badante.

Il dibattito dedicato alle “abitazioni collaborative per senior”, aiutato dal medico Pino Frau e dall’ architetto Francesco Cocco di Abitare Sociale, oltre che dai contributi di numerosi esperti, come ad esempio la svedese Kerstin Kårnekull autrice di un libro sui senior che vivono insieme o il madrileno Rogelio Ruiz, ha permesso di mettere in comune idee su quali sono i problemi più sentiti legati alla scelta di vivere in cohousing ad una certa età, ma anche i “sogni abitativi” per l’invecchiamento di più e meno giovani.

Qual è l’Eden più desiderato ? Vivere in luoghi belli, con spazi autonomi e indipendenti associati a parti comuni che forniscano non solo “servizi all’abitare” (il giardino, l’orto, la palestra, la lavanderia, ecc) e alla socialità (come sale comuni), ma anche servizi alla persona (ad esempio, assistenza e sostegno quando servono). La speranza è invecchiare adottando un modo di vivere che si è scelto e non è percepito come obbligato; l’ideale é evitare il ghetto per anziani, sostituito invece da presenze di persone di tutte le età: così si presenta il sogno di chi pensa al cohousing per la seconda parte della propria vita.

Realisticamente la conferenza ha evidenziato però che le distanze per realizzare il sogno sono grandi e numerose: economiche, psicologiche, di offerta del mercato immobiliare, di identificazione dei vicini cohousers, ma è soprattutto un cambiamento culturale quello che potrebbe avvicinare più persone a questa soluzione abitativa: infatti, anche solo immaginare che ci sono alternative alla casa di cura, alla badante, alla solitudine o, nella migliore delle ipotesi, alla famiglia tradizionale che torna ad allargarsi, potrebbe già essere un passo avanti.

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Aiuto ho sessant’anni e tra poco vado in pensione

Scrive Alfonsa: “Ho sessant’anni tra qualche mese andrò in pensione. Io abito a Milano e mio figlio vuole che mi avvicini a lui in modo da aiutarlo in caso di prole. Troppi cambiamenti mi stanno mandando in ansia.”

Scrive Enrico: Meglio prevedere gli anni dell’invecchiamento avvicinandosi ai figli o mantenendo le rispettive abitazioni alla distanza di sempre ? Guardare alla pensione come ad un’opportunità per progettare un futuro interessante o come a una fase della vita in cui prevalgono le incognite e quindi le ansie ?   Prendo spunto dal messaggio inviato da Alfonsa  per riflettere su questi interrogativi.  Mi sembra che il punto chiave sia come viviamo il cambiamento. Se lo viviamo come una condizione imposta dalle circostanze o da altri, corriamo il rischio di vedere solo i lati negativi, se invece all’occasione di cambiare (come quando inizia la pensione) associamo dei nostri desideri e dei nostri progetti, una nostra volontà, allora il futuro possiamo affrontarlo sapendo che esistono sì delle incognite, ma che l’esplorazione di un mondo sconosciuto può portare anche delle cose buone.   I figli ci vogliono vicini a loro perchè hanno bisogno di nonni tuttofare ? Se coincide con un nostro desiderio prioritario di fare i nonni o di dare una mano ai figli, perché no ? Se però dove abitiamo adesso stiamo bene e non ci va di cambiare casa, ci si può sempre organizzare per fare i nonni part time concordando ore e periodi. L’importante é fare delle scelte e non sentirsi obbligati. Provare a progettare il proprio futuro anche a sessant’anni è il segreto !


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Una proposta di cohousing – 2a puntata

Il primo pezzo proposto da Danilo sul cohousing, pubblicato su questo blog lo scorso 26 novembre, ha suscitato interesse. Pubblico quindi volentieri una “2a puntata” in cui sono approfonditi alcuni aspetti della vita in cohousing.

Scrive Danilo: “Il primo inserto sul cohousing su questo blog ha suscitato un certo interesse che, unitamente ad altri  sviluppi attuati in interventi e incontri da me organizzati in altre aree,  penso meriti  la ripresa dell’argomento.  Le informazioni richieste sono tante e principalmente legate alla ubicazione del cohousing  e al caso di malattia di un ospite (cohouser).  Vediamo di dare una sintetica risposta ai questi due quesiti.

Per quanto riguarda la localizzazione esiste solo la regola della vivibilità dell’ambiente interno ed esterno.  Può andare bene sia la città (sconsiglierei  la periferia più lontana di una grande città) che una posizione vicino alla città (distante al max una ventina di chilometri), un luogo turistico, climatico, termale, etc. Basta che l ‘ubicazione soddisfile esigenze delle persone coinvolte.

Le considerazioni sulla scelta ottimale si basano essenzialmente, oltre a quanto detto poc’anzi, sulla capacità di garantire  dei vantaggi per gli ospiti rispetto alla situazione attuale e quindi la valutazione dei costi di  acquisto o di ristrutturazione dell’immobile (che si ripercuotano sulla retta mensile) , la vicinanza a servizi  (sia socio-sanitari che rete di trasporti) e la necessità di avere spazi verdi interni  alla struttura.   In modo particolare rispondo volentieri ad una persona e qui confermo che anche un  Comune (inteso proprio come Ente pubblico) o Enti ecclesiastici potrebbero essere interessati a partecipare al cohousing  magari dando in dotazione  edifici di proprietà e forse ora vuoti.  Due sono le condizioni  basilari  : la gestione del  cohousing  deve essere attuata in forma  indipendentee la durata dell’affitto non può essere di certo il 6+6.

Per quanto riguarda il caso di malattie distinguerei fra malattie ”passeggere” (mali stagionali, influenza, etc) dove il comportamento è come quello di una normale famiglia , vale a dire che bisogna aderire a principi attivanti di aiuto e di socialità e di compagnia; l’ospite può farsi aiutare anche da famigliari/amici al di fuori del contesto cohousing e, se lo ritiene opportuno, può recarsi a casa di questi. Nel caso di malattia grave che comporti l’ospedalizzazione, il gestore si incarica di attuare e di seguire tutto l’iter amministrativo dal ricovero alla dimissione e alla eventuale riabilitazione , a meno che l’ospite decida diversamente.  Se ci fossero altre domande e interesse sull’argomento non esitate a contattarmi all’indirizzo <danilocesare@libero.it>

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Una proposta di cohousing

Danilo è tra i frequentatori di questo blog e scrive facendo a tutti noi una proposta. E’ stato in Australia dove ha visitato due strutture di cohousing per senior, gli piacerebbe realizzare qualcosa di analogo in Italia e così si sta rivolgendo anche ai lettori de I ragazzi di sessant’anni per cercare persone interessate. Volentieri pubblico quel che mi ha inviato.

Scrive Danilo: “Mi piacerebbe costruire un primo gruppo di 15-20 persone (coppie/single) di età over 65, autosufficienti, che con me formino ed alimentino una discussione tecnica, sociale ed economica con lo scopo di realizzare un (e poi speriamo altri !!) sistema di co-housing, sulla falsariga di quanto già attuato all’estero (USA, Auatralia, Paesi scandinavi) e in Italia.

Ma che cosa è il co-housing o co-abitazione? La risposta può essere formulata con diverse definizioni in quanto diverse sono le applicazioni del co-housing;  la definizione che mi sento di dare  è che si tratta semplicemente di un modello di vita caratterizzato da una vision di solidarietà, di cooperazione e di partecipazione, da una mission di formare un gruppo che rompa  con il crescente isolamento nelle quattro mura della propria abitazione ed indifferenza e che possa partecipare, ognuno con la propria esperienza e con il proprio carattere, al mantenimento e alla crescita intellettuale e sociale del gruppo e da obiettivi di ottimizzazione dei costi, di riduzione dei consumi, tutto per stare insieme, pur mantenendo la propria privacy e utilizzando principalmente il “buon senso”  che è sempre vincente.

Una volta definito il concetto di co-housing vediamo di chiarire alcuni primi elementi portanti che sottopongo con formulazione di domande.

Ma cosa deve fare il gruppo?  Una volta che il gruppo si è formato bisogna individuare una persona con competenze specifiche che possa incaricarsi di trovare un immobile (o un’area) con particolari caratteristiche che prendano in considerazione, tra l’altro, clima, vicinanza a città (particolarmente interessanti e con un buon grado di vivibilità) , rete di trasporti urbani, rete stradale, qualità dei servizi sanitari, disponibilità di terreno . Si passa poi alla fase attuativa di progettazione dei locali che prevede mini alloggi, sale per servizi comuni (cucina, lavanderia, saloni per incontri, dibattiti, riunioni), salette per ascoltare musica, sala biblioteca, palestra  e quant’altro fosse suggerito.  Bisogna preferibilmente far riferimento ad un immobile già esistente che può essere ristrutturato in tempi brevi e a costi sopportabili.  Questi due passi sono di grandissima importanza.   E’ necessario strutturare, poi, un piano di fattibilità e un piano operativo  perché bisogna assicurare agli ospiti la continuità dell’esistenza del co-housing e perché bisogna  valutare i risultati gestionali che non possono essere negativi.  

Come viene gestita la co-house?  La co-house è gestita dagli stessi ospiti (a rotazione) che danno il proprio contributo per sempre maggiormente  migliorare il pensiero di vita in comune.  Si prevede la presenza di un responsabile della gestione del co-housing che sempre appartiene al gruppo.

Quanto potrebbe costare vivere in una co-house?  I costi sono relativi all’affitto del mono locale e ai servizi  “comuni” e quindi cucina, lavanderia, pulizie, gli eventuali sevizi sanitari che la “gestione” deve garantire; la quantificazione del costo appare a questo punto ancora prematura ma penso che possa essere inferiore a quanto si spende vivendo da soli. Ecco perché il valore dell’investimento iniziale è di preponderante importanza.

Tutti possono partecipare al co-housing?   Con franchezza devo dire che l’obiettivo è di condividere un percorso con persone che siano a disposizione degli altri, che apprezzino la vita sociale, che siano a disposizione con idee, suggerimenti che costruiscano il proprio benessere e quello degli ospiti.

E se io voglio portare nella co-house i mobili/quadri che ho  a casa?  Liberissimo di farlo; si tiene sempre presente il quoziente rispetto verso gli altri.

Ma se una persona vuole lavorare?   In alcune situazioni è permesso che gli ospiti  svolgano alcune attività come cucinatura (pasti, dolci, pasta fatta a mano, etc) manutenzione ordinaria, giardinaggio, orto. Anche qui lo scopo è quello di tenere in movimento il proprio asse intellettivo lavorando e sentendosi utili alla collettività.

Come si svolge la giornata?  Alla base esiste un regolamento, strutturato con molta semplicità,  che può essere integrato e modificato dagli ospiti. L’utilizzo della giornata è completamente a disposizione della singola persona che può entrare e uscire dalla co-house quando vuole, che può invitare i propri familiari e amici, tenendo presente il regolamento. Per quanto riguarda incontri, dibattiti, viaggi, etc., questi vengono programmati e decisi dal gruppo .

Si può sciogliere il rapporto con la co-house?  Decisamente si, una volta definiti gli aspetti contrattuali.

La gestione della co-house può allontanare un ospite?  Anche qui la risposta è positiva; a estremi mali estremi rimedi.

Questa è una prima idea che spero possa dare apertura a nuovi inserimenti di discussione e di fattibilità.  Grazie per voler partecipare. Danilo Cesare

In foto: un gruppo in cohousing

 

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Il reinventarsi non ha tempi brevi

I saggi dicono che bisognerebbe essere capaci di reinventarsi giorno per giorno, senza dare nulla per scontato.  Facile a dirsi ! Per niente facile però a realizzarsi, perché ogni volta che proviamo a reinventarci dobbiamo fare i conti con il senso di perdita di quel che lasciamo e con l’incertezza del nuovo che cerchiamo.

Quando Lucio e sua moglie hanno finalmente deciso di separarsi dopo più di 30 anni di matrimonio e molte incomprensioni, lui si immaginava che sarebbe stato relativamente facile ricostruirsi una nuova vita: nuova casa, nuove libertà, nuovi rapporti e la possibilità di vivere più felicemente la quotidianità secondo i propri desideri. Niente di più fallace ! Dopo un anno Lucio non ha ancora superato un sottile senso di fallimento che lo prende, soprattutto non appena si sveglia il mattino, per il suo matrimonio finito; e la nuova vita ogni tanto fa capolino, ma non gli è ancora chiaro cosa veramente, di tutte le inedite esperienze che ha fatto nel corso dell’ultimo anno, gli interessa veramente e cosa invece no.

A Francesca, 59 anni, l’occasione di reinventarsi si è invece presentata a seguito di una vicenda lavorativa. La società per cui lavorava, in evidente crisi di sopravvivenza, le ha chiesto, se voleva mantenere il posto, di trasferirsi in un’altra città, molto lontana dalla sua dove aveva casa, famiglia, amici e abitudini. Dopo una penosa riflessione, Francesca ha deciso che il cambiamento di città non le stava bene e che, se cambiamento doveva essere, allora questo poteva significare interrompere l’attività lavorativa full time in anticipo rispetto alle sue aspettative, cercare qualche incarico retribuito coerente con la propria professionalità e liberare del tempo prima impiegato nel lavoro per dedicarsi a tutto ciò che aveva sempre tenuto in un cassetto negli anni precedenti. Ma anche per lei la transizione non è stata indolore, né veloce. Oggi, dopo molti mesi, ancora si interroga sulla bontà della propria scelta: le prende spesso un senso di vuoto e di perdita per la mancanza di tutto il contesto sociale che comportava il lavorare in un ambiente organizzato e, pur non essendo priva di iniziativa, da una parte fatica a trovare incarichi che le diano un minimo di soddisfazione economica e dall’altra i suoi sogni nel cassetto (viaggi, teatro, un impegno civile per l’ambiente) non riescono ancora a precipitare in qualcosa di abbastanza concreto, qualcosa capace di dare un significato alla sua vita paragonabile a quello precedente.

Così, tanto Lucio quanto Francesca sperimentano che il reinventarsi è un atto di coraggio che rivitalizza, ma che contemporaneamente costa fatica e richiede tempo.   Costa fatica l’allontanarsi dalla situazione consolidata e ben conosciuta su cui abbiamo costruito per tanto tempo la nostra identità, al punto che paradossalmente diventa più facile accettare il cambiamento da parte di chi vi è stato forzato piuttosto che da parte di chi l’ha scelto. Ma costa fatica anche la ricerca del nuovo modo di vivere e l’incessante attività di adattamento e di ricerca del proprio benessere e della propria felicità.

Inoltre, chi a buon diritto può dire che da senior è riuscito a reinventarsi, sicuramente può anche testimoniare che non basta un atto momentaneo di coraggio: il cambiamento non lo si ottiene nel tempo di uno schioccare di dita; al contrario, l’elaborazione del senso di perdita per ciò che si lascia e l’atterraggio in un nuovo assetto di vita soddisfacente richiedono tempi lunghi e capacità di non scoraggiarsi.

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Sognare una nuova vita, perchè no?

Scrive Aurora: Anche io sono sui 60, modesta pensionata, niente legami stretti, a nord-ovest fra le nebbie, a parte dei nipoti che non vedo mai e poi impegni con associazioni e volontariato; amici, pochi. Mi son detta: se provengo da una bellissima antica città del sud sul mare ed ho anche dei cugini integrati laggiu’, associazioni omologhe, il caldo (condizionatore permettendo), ricordi delle vacanze d’infanzia, perchè non chiudere baracca e mobili compresi, senza aspettare il nuovo amore, sono anche io passabile, e traferirmi in meridione ? “BENTORNATA al sud” mi dice una voce interiore forte ed insistente. Aspetto i vs. commenti, guardando le agenzie immobiliari di laggiu’ e sognando: forse non è impossibile! PS mi piace scrivere racconti, con qualche piccola pubblicazione: perchè non cambiar scenario?

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Il tira e molla sulle pensioni

Trovo ormai insopportabile il tira e molla sulle pensioni a cui siamo sottoposti da molti anni e che ci viene riproposto nuovamente in questi giorni.

Cosa sta succedendo ? Succede che in Parlamento è ripartita la sarabanda per modificare ancora una volta il sistema pensionistico e le regole per accedervi. Ci saranno anche mille buoni motivi per pensare a delle modifiche, ma quel che mi sembra insopportabile è che i tantissimi cinquantenni e sessantenni che sono stati toccati un anno e mezzo fa dalla riforma Fornero, anche coloro che hanno considerato un’ ingiustizia l’allungamento dell’età pensionabile, nel frattempo hanno rivisto i loro programmi e progetti di vita e in molti casi se ne sono fatti di nuovi. Come si può, ogni anno o due anni, continuare a rovesciare le regole creando una situazione di incertezza continua nella vita dei diretti interessati ? Lo dico da persona convinta che la pensione non è più come una volta lo spartiacque unico tra una fase e l’altra della vita; una volta era così: prima della pensione era vita adulta, dopo invece entravi nella categoria dell’anziano pensionato. Oggi è sicuramente diverso, le transizioni da una fase ad un’altra della vita sono molto più sfumate, legate a tanti fattori oltre al ricevere una pensione e soprattutto molto più dipendenti dai percorsi di vita individuali. Ma ciò detto, resta il fatto che il percepire o no l’assegno dell’Inps per un numero elevatissimo di senior italiani resta una variabile che condiziona tantissimo le proprie scelte. D’accordo che oggi è richiesta flessibilità in tutto, ma se avessi un socio che ogni momento mi cambia le carte in tavola, di quel socio ne farei a meno…peccato che il socio Stato non si possa scegliere.

Detto quindi che a mio parere sarebbe meritorio se i parlamentari la smettessero con il tira e molla, vediamo cosa c’è in campo.

Il tema principale che è in discussione (che è in campo oggi, poi magari fra un mese nessuno se ne ricorda più e tutti a rincorrere un’altra palla, come quasi sempre succede…) è quello del riabbassamento dell’età per la pensione di vecchiaia e del ripristino di fatto delle pensioni di anzianità, vale a dire il cuore della riforma di un anno e mezzo fa. 

Sotto la bandiera della maggiore “flessibilità” nel definire l’età pensionabile (maggiore scelta individuale nel decidere quando pensionarsi tra i 62 e i 70 anni, a fronte di possibili riduzioni o incrementi della pensione riconosciuta) si ritrovano quasi tutti, e anche al sottoscritto sembra un buon princìpio. Quando però si entra nei particolari le proposte divergono tra coloro che “smonterebbero” di molto la riforma precedente rendendo più accessibile e favorevole l’anticipo (ad esempio questa è la posizione del presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, PD, che ha ottenuto l’assenso della vicepresidente della stessa Commissione, Renata Polverini, PdL, la quale a sorpresa ha aderito a posizioni che non sono mai state del suo partito) e chi contrasta un’interpretazione eccessiva di flessibilità che porterebbe a veder svanire i benefici sulle finanze pubbliche della principale riforma del Governo Monti (è il caso di Pietro Ichino, ex PD, e di Giuliano Cazzola, ex PdL, oggi entrambi di Scelta Civica). In mezzo c’è il Ministro del Lavoro Giovannini, che ha fatto le sue proposte, sempre all’insegna della flessibilità, anche se la sensazione è che al momento la partita su questo terreno sembra giocarsi più a livello parlamentare che per guida governativa. 

Ad ogni modo sarebbe troppo semplice pensare che le proposte dei politici citati siano le posizioni ufficiali dei partiti, perché sull’argomento opinioni diverse, a volte anche molto diverse, si trovano in ogni partito. La confusione quindi rimane grande…

Con qualche domanda che fa da sfondo al dibattito: i 300 miliardi di risparmio per lo Stato previsti nei prossimi quarant’anni a seguito dell’ultima riforma delle pensioni sono una cifra troppo grossa o al contrario guai a riaumentare la spesa ? E’ stata più un’ingiustizia allungare l’età pensionabile a chi pensava di esserci vicino o l’ingiustizia consisteva nel fatto che le generazioni dei cinquantenni e sessantenni potevano andare in pensione più presto e a condizioni molto più vantaggiose rispetto a quanto era permesso alle nuove generazioni ? E ancora: la pratica dei prepensionamenti dei cinquantenni, per quanto più costosa per la collettività, è ancora tutto sommato una soluzione accettabile oppure è necessario perseguire politiche attive per aumentare il tasso di occupazione degli over55 ?

Domande importanti e lecite, naturalmente. Ma chi ha la responsabilità politica di dare delle risposte non dovrebbe mai dimenticarsi che un valore importante per chiunque è poter fare delle previsioni per il proprio futuro, senza ritrovarsi tra capo e collo continui cambiamenti e marce indietro che condizionano le scelte di vita.

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Esperimenti di co-abitazione

“Non vogliono immaginare il loro futuro né con badanti né in case di riposo né nella solitudine della loro casa. E’ il momento giusto per lanciarsi in un investimento sulle nuove soluzioni abitative per i baby boomers! Il fenomeno sta esplodendo: sono tantissimi i 50enni e 60enni che si stanno chiedendo come e dove abiteranno nei prossimi anni. Cercano degli spazi, delle comunità non invasive dove ci sia completa autonomia ma anche rapporti umani e servizi comuni.”  Così provava a convincermi qualche giorno fa un amico di qualche anno più giovane che non vedevo da qualche tempo e che era ispirato dalla ricerca di settori di business dalle buone prospettive e dalla sicura crescita.  Credo che l’analisi del mio amico sia corretta per molti versi: è vero che i senior, soprattutto quelli ancora in forma, quando pensano al loro futuro lo fanno con una certa inquietudine e storcono il naso alle ipotesi delle badanti e delle case di riposo. Bisogna però vedere quanto è forte la motivazione a 55, 65 anni, a cambiare la propria abitazione attuale e a cimentarsi in qualche forma di  co-abitazione che, per quanto non invasiva e vantaggiosa, pone non pochi punti di domanda.   Se si guarda a quel che succede in altri Paesi, ad esempio negli Stati Uniti, pare proprio che la tendenza segnalata dal mio amico sia vera, ma non dobbiamo mai dimenticarci che l’Italia spesso sfugge alle tendenze quando c’è di mezzo la casa e la famiglia. Secondo quanto riferisce Sally Abrahms, che scrive di baby boomers e di invecchiamento, negli USA il numero di persone che vogliono vivere in share housing e di proprietari di case che vogliono condividere l’abitazione è in forte aumento e tra questi la parte del leone la fanno le donne over 50 che cercano soluzioni abitative insieme a coetanee. Un esempio è dato da Louise, Karen e Jean che hanno messo in comune le loro sostanze, hanno acquistato una casa insieme e della loro esperienza parlano in un libro dal titolo eloquente: “My House, Our House”. Louise, psicologa, era pronta ad andar via da casa sua quando i suoi figli sono diventati grandi; Karen, di lavoro consulente e per questo obbligata a continui viaggi, ha aderito all’idea, felice di aver qualcuno che abita casa sua quando lei è via e che le curi il gatto; Jean, infermiera, si era lasciata col marito e dopo un periodo in affitto ha pensato che fosse meglio la soluzione in comune. “E’ come vivere con due meravigliose sorelle” dice una di loro.  Certo è importante che via sia qualcosa di più di un feeling positivo, dato che i soldi che hanno messo in comune, e che continuano a condividere mese dopo mese per le spese, non sono pochi. Senza contare la necessità di una convinta adesione alle regole comuni. Per dirne una, hanno stabilito che nessuna di loro abbia ospiti notturni per più di sette giorni consecutivi.

La scelta di Louise, Karen e Jean è sicuramente impegnativa. In altri casi i vincoli possono essere minori. In ogni caso, è fondamentale la forza delle motivazioni che spingono in questa direzione. Un simpatico video <http://video.corriere.it/co-abitare-torino-esperimenti-convivenza-collettiva/788c961a-d437-11e2-9edc-429eec6f64c6>, girato in Italia, a Torino, e con protagonisti non dei senior, ma dei trentenni che hanno fatto una scelta di cohousing, mostra quali possono essere le motivazioni forti che spingono a realizzare questa idea: socializzare, trovare degli amici, condividere momenti di vita, aiutarsi, trovare e dare solidarietà, migliorare la qualità della vita, aggregarsi… sono queste le parole d’ordine che escono dalle testimonianze delle persone del filmato.

Sono motivazioni che, unite a quelle economiche (che valgono a tutte le età, sia in America che da noi), possono spingere anche un senior a fare un’esperienza di convivenza collettiva?                 In foto: Louise, Karen e Jean nella loro casa

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