Ricevo da Silvia Ghidinelli e volentieri pubblico.
Mi sono sempre piaciute le biografie, ne ho lette tante di uomini, di donne, di artisti famosi e di tutti mi interessava la loro vita straordinaria e le persone conosciute, ma soprattutto il loro modo di affrontare le varie occasioni che la vita aveva presentato loro. Se poi mi capitava di leggere autobiografie era un piacere: da Simone De Beauvoir a Neruda, a Lalla Romano ho letto con gusto tratti di tante vite, finché ad un certo punto mi sono chiesta: Perché mi piacciono tanto le narrazioni personali di vite passate? A che cosa serve narrare il proprio passato?
Mi sembra che l’autobiografia permetta di riconoscersi nella figura che porta il nostro nome e la nostra storia disegnata sulla faccia. Mi pare che scrivere di sé serva a non rimanere schiacciati sul presente della nostra vita ma a cercarvi un senso, attraverso la narrazione. Ma anche a trovare, nella determinazione di scelte, amicizie, amori, abitudini, errori, il nostro carattere, la sua evoluzione e a capire il nostro destino. Inoltre l’autobiografia consente una seconda lettura delle vicende della vita. La prima lettura è stata nel momento della vita vissuta, meno consapevoli, guidati dal temperamento, dall’istinto, dall’amore, dal risentimento, mentre una seconda lettura, più avanti negli anni, a bocce ferme, ci permette di vedere il filo di Arianna che ci ha guidati: un’occasione irripetibile e imperdibile di vedere la nostra vita come una metafora e forse comprendere il senso di un lungo cammino. Ed è così che pian piano, mi sono trovata faccia a faccia con il desiderio di “fare scrittura autobiografica”, e la ricerca di un corso collettivo di supporto che mi aiutasse a metterla in pratica e non sono stata delusa.
La scrittura autobiografica mi ha dato la consapevolezza stabile delle conquiste interiori certe nel mio percorso di vita. Scrivere è stato un sicuro riappropriarmi dei miei percorsi esistenziali e delle mete raggiunte, guidata dalla curiosità di incontrare me stessa. Ho la chiara immagine che prima, col pensiero e con i miei scritti sporadici, illuminassi con una torcia degli “angoli” di vita, tra paesaggi indistinti; invece la scrittura autobiografica mi ha permesso di illuminare a giorno i miei scenari, aperti e non più temuti. Inoltre rivestire di parole scritte i fatti, le persone e le emozioni della mia vita è stato per me dimostrare cura verso me stessa. Ancora: ascoltare le vite degli altri ha dilatato il mio mondo interiore. Infatti il confronto con l’altro, evidenziando approcci alla vita diversi dai miei, è stato uno specchio che ha trasmesso di riflesso le mie specificità emotive e ha contribuito alla più profonda scoperta di me.
Questa scrittura mi ha regalato la distanza emotiva dagli eventi della mia vita, così utile a guardare in faccia le cose avvenute, senza esserci dentro, e da questa prospettiva osservarle, accettarle e lasciarle andare. Mi ha portato anche in dono concentrazione, centratura, scoperta, indulgenza, pace e da qui alla scoperta di nuovi desideri e pertanto ancora progettualità future. Dunque narrare il nostro passato è un elemento indispensabile per dare un senso non solo alla nostra vita passata, ma anche presente e futura. Quale migliore cura di sé?
Questo articolo è stato pubblicato anche su Osservatorio Senior