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La nuova sfida

Non solo vivere più a lungo, ma vivere bene gli anni aggiuntivi che la vita e il progresso ci stanno offrendo: questa é ormai la sfida che abbiamo davanti.

Nel giro di pochissimo tempo si è diffusa, sui media, tra i politici, nelle aziende e soprattutto tra la gente comune, la consapevolezza della rivoluzione demografica che ha coinvolto le nostre generazioni, rivoluzione ancora in pieno svolgimento. E in Paesi ad elevata longevità come l’Italia, la sorpresa di vivere anche oltre gli ottant’anni si è velocemente trasformata nell’ambizione di vivere con pienezza i decenni di “vita in più” che a molti vengono regalati.

Dietro a questa ambizione c’è il desiderio di sfruttare al meglio questa opportunità ignota a tutte le generazioni precedenti, ma c’é insieme la paura che gli anni della nuova vecchiaia siano lunghi e orribili, gravati da malattie neurodegenerative, da solitudine e da povertà di ritorno (su quest’ultimo aspetto basterebbero i dati riportati negli ultimi giorni dal Sole24ore per essere preoccupati). Solo con queste paure si spiegano le tante affermazioni un po’ angosciate di cinquantenni, sessantenni e settantenni che, di fronte alla fragilità e alla disabilità di tanti ottantenni, novantenni e magari centenari, si chiedono: “ma vale la pena di vivere così a lungo ?”, “ma è ancora vita ?”, “ma siamo di fronte a un progresso o a un peggioramento della condizione umana ?”

Certo che ne varrà la pena… se avremo la capacità di creare le condizioni per esistenze dignitose e dotate di senso, non gravate da malattie lunghe ed umilianti; ne varrà la pena se le prossime conquiste mediche terranno lo stesso passo (non troppo avanti, né troppo indietro) rispetto alle condizioni sociali ed esistenziali.

Riusciremo ad ottenere un tal risultato, così alto ed ambizioso ? E come ? Difficile rispondere, l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno mondiale e le risposte della scienza e dei costumi saranno le più svariate, incrociando culture diverse.

Vi sono proposte e progetti di rilievo che dovrebbero dare una spinta importante in questo senso. Come ad esempio il progetto di innovazione chiamato “Human Technopole Milano 2040”, di recente proposto in sede dopo-Expo e che punta ad aggregare scienziati e competenze delle più svariate discipline con l’obiettivo di trovare le migliori tecnologie per contribuire, tra l’altro, alla qualità della vita e al benessere nell’invecchiamento.

O come la proposta di un paio di anni fa di Fontana, Atella e altri illustri scienziati italiani che auspicavano nascesse dalle scienze della longevità un secondo Rinascimento.

Il mondo scientifico e dell’innovazione speriamo faccia la sua parte, ma sicuramente di almeno pari importanza sarà una trasformazione più sottile eppure dall’enorme impatto, e cioé la diffusione di stili di vita che potranno favorire un “invecchiamento a misura d’uomo” (e non un invecchiamento disumano); stili di vita che riguardano tantissime sfere dell’esistenza, dalle abitudini alimentari, alla cura del proprio corpo, della propria mente, della propria rete sociale e, non ultima, delle proprie finanze.

Questo articolo é stato pubblicato anche su Osservatorio Senior

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Vivere giorno per giorno?

Da parte di Simone: E’ una lotta quotidiana contro la depressione. Ci sono giorni che vinco e giorni che perdo. Sono di più i giorni che non accetto di rimanere steso al tappeto, nel senso che al tappeto ci sono finito ma cerco tutte le energie che mi sono rimaste nel corpo e nell’anima perché non voglio credere che il sottoscritto, fino poco tempo fa considerato bell’uomo (così mi dicevano), di discreto successo, con delle belle qualità, adesso annaspo. Le donne mi guardano ormai come si guarderebbe un paracarro e d’altra parte non è che le fantasie sessuali abbondino. Lasciamo perdere… Sono separato da tanti anni e ho avuto altre relazioni, anche importanti, ma adesso la sola idea di impegnarmi in un nuovo rapporto mi mette il prurito. Pensavo che la mia professionalità costruita in tanti anni di lavoro in una grande azienda mi avrebbe permesso di dare un contributo da volontario in qualche associazione, ma ho scoperto con grande delusione che queste associazioni sono un mondo di potere dieci volte peggiore di quello aziendale e oltretutto meno organizzato. Ci riproverò, ma ormai senza grandi attese… Il momento più difficile è quando mi rendo conto di essere insignificante agli occhi degli altri. Un caro amico mi dice sempre che adesso che siamo in pensione è il momento di vivere giorno per giorno quel che succede godendo delle piccole cose e senza fare programmi. Probabilmente ha ragione lui, anzi sicuramente ha ragione lui perché lo vedo sempre sereno, ma per me è davvero difficile mettermi in questa prospettiva. Io senza qualcosa che mi prende, che mi interessa, che mi chiede di tirar fuori le mie capacità, non sono soddisfatto. Non do la colpa a nessuno. Se alla mia età non sono in pace con me stesso è solo responsabilità mia. E comunque bisogna guardare avanti.  Questa storia é pubblicata anche su Osservatorio Senior.

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Mi sento un equilibrista

Scrive Bruno: Mi sento come un equilibrista sul filo. Mi rendo conto che sta per finire tutto quello che è stato la mia vita passata (però ci sono ancora dentro) e che sta per iniziare un mondo nuovo (però ancora non so cos’è e se mi piacerà). Moglie, lavoro, città, tutto è in bilico e in cambiamento.
Con mia moglie ci stiamo lasciando. Dopo trent’anni di matrimonio, gli ultimi anni tra noi sono stati veramente difficili, lei ha incontrato un nuovo compagno e anch’io ho una nuova compagna, di qualche anno più giovane (io ho appena compiuto i fatidici sessanta, lei ne ha 53). Ci sono momenti di grande delusione per la fine del mio matrimonio ma anche tante energie perché mi sono nuovamente innamorato e questo mi fa sentire come rinato.
Insieme a questo è successo che in azienda mi hanno fatto fuori. Quando a un dirigente gli tolgono la sedia, le responsabilità, le persone e lo lasciano a marcire nel suo ufficio, non ci vuole un genio per capire che ti hanno fatto fuori, che non ti vogliono più, che devi andartene. Alla mia età è inutile cercare di recuperare le posizioni e sperare che il vento torni a tuo favore. L’unica cosa che hai da fare è cercare di proteggerti il più possibile, contratto alla mano. Comunque la trafila la conosco, ho già visto anche con altri cosa succede: devi star lì ancora per un po’ e poi esci e ti porti a casa una buonuscita. Quanto durerà questo però non lo so, lo stress è tanto e non mi sento né dentro né fuori. Io adesso vivo in Veneto e la mia nuova compagna è di Roma, quindi sto cominciando a capire se a Roma potrei viverci e starci bene: anche questo è un mistero. Mi sa che di misteri ne ho un po’ troppi…

Questa storia è pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Una vita nel mondo

Scrive Daniela: Non ero ancora diciannovenne allorché, insoddisfatta delle prospettive che un’asfittica vita di provincia mi prospettava, decisi di volare in Gran Bretagna, allettata dalla fama che quel Paese emanava in termini di dinamicità d’attività lavorativa e senza badare ai possibili rischi di quella scelta.
La conoscenza dell’idioma locale costituì il primo dei problemi da affrontare, a cui si aggiunse il gran freddo del febbraio londinese.
Dopo un anno di soggiorno e di fatiche costrinsi il West London College a dotarmi del Proficiency Certificate, il diploma che attestava che avevo imparato l’inglese.
La conquista ottenuta mi consentì di iniziare una vera e propria attività lavorativa presso una multinazionale, una società alberghiera dove mi occupavo di prenotazioni in tutte le strutture estere periferiche.
Clima e complicazioni affettive mi indussero però a rientrare in Italia di lì a quattro anni; potendomi a questo punto ormai avvalere di una buona conoscenza della lingua inglese non ebbi difficoltà a trovare un’attività lavorativa in una società petrolchimica di primaria grandezza.
Dopo pochi anni di assestamento, mi affidarono un incarico che mi consentì di spaziare sugli ampi orizzonti dell’intero orbe terracqueo: così poterono apprezzare le mie qualità (e io apprezzai le loro) gli abitanti di più di 40 città: da Barcellona a Parigi, da Amsterdam a Copenaghen, da Zurigo a Bratislava, fino a luoghi più lontani come Istanbul, Il Cairo, Jaffa, Casablanca, New York, Tokyo, Seul e tante altre ancora… Lo so che è difficile credermi ma vi assicuro che è andata così. Del resto, che colpa potevo avere io se la Società mi costringeva a seguire i dirigenti ad ogni angolo del mondo ove si recavano a sottoscrivere contratti e/o monitorare i mercati?
Poi, si sa, ci si mettono gli affetti e i sentimenti… Persistenti, complicati e ondivaghi, mi indussero all’abbandono di quell’attività. Per poco però, giacché di lì ad un anno le solite turbolenze affettive mi indussero nuovamente a rimettermi in gioco, anche se ormai avevo ottenuto la pensione.
Per altri dieci anni ho continuato a lavorare in una grande società farmaceutica: diverse esperienze, diverso il linguaggio, diversi i soggetti, tutto però come sempre stimolante.
Tra sette giorni, dal momento in cui scrivo, avrà termine anche questa esperienza.
Sono certa però che non sia stata l’ultima… La vita continua…

La storia di Daniela é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Rientro in Italia

Scrive Corado: Sono nuovo nel target di questo blog, infatti ancora mi riconosco solo parzialmente nel punto di vista delle altre storie, o forse mi piace pensare che sia così ….. Dunque, sono partito dall’Italia alla fine del 2005, una bella occasione professionale e mia moglie ed io ci siamo trasferiti a Mosca con i nostri due figli che avevano appena 4 e 2 anni. Da lì l’inizio di un’avventura europea, un anno in Russia (Mosca è a volte affascinante ma certamente non facile, è una bella esperienza se si ha voglia di viverla) poi trasferimento a Bucarest, dove ci sembrava tutto molto più semplice e familiare e dove ho incontrato giovani con grandissima voglia e capacità professionali. E’ seguita Bruxelles, città con qualità della vita molto alta, internazionale ma non troppo grande, in origine città fiamminga, oramai città europea e prevalentemente francofona (meglio non dirlo alla nazionalista N-VA). Da ultimo Varsavia, viva, orgogliosa e in crescita.
Nel frattempo però mi sono reso conto che ero stanco di lavorare come facevo (in banca) e che il desiderio di lavorare e vivere diversamente si accompagnava a quello di vivere questo cambiamento di nuovo nel mio Paese. Quindi rientro in Italia: questo sì un bel cambiamento! Non più sotto l’ala protettiva di un datore di lavoro, mia moglie deve pensare a rimettersi in gioco, i figli per la prima volta studiano in Italiano (che difficile l’analisi logica!), il nuovo lavoro da far partire. Ci siamo stabiliti a Bologna, dove avevo studiato: la prima volta che scegliamo dove andare a vivere non per motivi professionali.
Poi tornare in Italia richiede di costruirsi un ombrello psicologico che ripari dalla pioggia di cattive notizie da cui siamo quotidianamente bombardati. All’estero era come vivere in un limbo previlegiato, ma qui bisogna erigere una paratia tra le notizie che si ricevono e lo spirito ed entusiasmo con cui iniziare le nuove giornate.
Tempo fa uno studioso tedesco affermò che l’Italia era nelle migliori condizioni per affermarsi nella globalizzazione, grazie alla sua fortissima identità; vivendo all’estero se ne ha una chiarissima visione. Questa sì un’idea da tenere sempre bene a mente!

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Ho iniziato per un disagio generazionale

Il sessantenne Marco Martini mi ha inviato, come sua storia, il testo di una intervista che gli è stata fatta dopo aver vinto il “Traders’ Cup”, un campionato di trading con denaro reale, organizzato da Traders’ Magazine Italia in collaborazione con Borsa Italiana.  Pubblico un estratto di questa intervista.

sfondo campanileDice Marco: “Sono un sessantenne. Sono artigiano, commerciante e tecnico.  Ho fatto la scuola dell’obbligo e ho delle abilitazioni tecniche per il mio lavoro.
Ho una compagna e sono padre di un trentunenne, nato da una precedente relazione.
Vivo in Liguria. West Liguria. Una terra unica. A Bussana Vecchia. Tra i ruderi di un sogno hippy”.
Qual è, chiede l’intervistatore, il suo percorso di formazione nel trading finanziario ? “Ho iniziato per un disagio generazionale. Io nasco in provincia nei primi anni della seconda metà del secolo scorso, con le prime TV nelle case, le bombole del gas invece di legna e fascine, la plastica , il Moplen. Il primo telefono era in duplex. Il primo fax sono andato, incredulo, a vederlo arrivare in una ditta di fiori.
Poi, superati i quarant’anni, come uno schiaffo, la fantascienza diventa inesorabilmente realtà. Cervelli elettronici, PC portatili, telefoni cellulari, ADSL, Internet, comunicazione, new economy (cioè soldi dai soldi). Tanto da imparare, e a me piace.
con graficiCon Mauro, amico e bravo informatico, ci procuriamo dei software, un tipo ci vende lo scibile sul trading a 125 euro (correva l’anno 2003). Avevamo tutti i software esistenti… un centinaio… Resto folgorato, mi piace. A 50 anni appartengo a questo tempo, decido che  mi sarei formato un poco anche  in questa disciplina. Leggo un gran numero di libri e teoremi, mi piace; così lontano dal mio quotidiano. Vivo le varie teorie, approcci e matematiche come se fossero romanzi. Ed eccomi qua….

L’intervistatore chiede a Marco anche come si svolge la sua giornata.
“Non ho una giornata tipo, il trading é un hobby. Rilassante ed eccitante, più del tresette o del poker al bar. Ma con un potenziale enorme. Quando sono alla piattaforma osservo, valuto e a volte opero. Comunque se cominci alle 8 ti prepari. Alle 8,30 – 9 partono le banche Europee, poi notizie sui vari partecipanti alla bagarre. C’é di che divertirsi”.  In foto: Marco Martini

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Rigenerarsi

Scrive Carlo: Un paio di anni fa ho smesso di praticare la mia attività di medico e da allora ho ricominciato a fare il medico. Mi spiego: era arrivata l’età della pensione ma non avevo alcuna voglia di mettere in un cassetto la mia professione. Non dover più combattere con la burocrazia sanitaria e non essere più ossessionato dagli orari, a questo sì ho rinunciato volentieri ed ero contento di togliermi queste scocciature dai piedi. Ma il rapporto con i pazienti è sempre stata la mia vita e a quella non volevo rinunciare. Alcuni amici che lavorano in un’organizzazione di volontariato e che conoscevano questo mio desiderio mi hanno proposto di trascorrere due periodi l’anno in posti del mondo dove c’è un gran bisogno di medici e ci sono centri di questa organizzazione. All’inizio ero molto perplesso, non solo perché temevo di non essere in grado di reggere la fatica fisica imposta da questi luoghi disagiati, ma anche perché la mia filantropia non era arrivata ad immaginare una sfida del genere. Alla fine mi sono fatto convincere e ci ho provato. E’ stata un’esperienza indescrivibile: molto dura ma anche emozionante, con emozioni che non provavo da tanto tempo. Mi sono sentito utilissimo, ho toccato con mano le differenze del mondo, ho conosciuto realtà che mai avrei immaginato esistessero e persino sul lato professionale mi sono accorto che avevo bisogno di migliorarmi, di studiare cose che non conoscevo. Dopo due esperienze di questo genere posso dire che è stato un vero modo per rigenerarmi, non avrei potuto immaginare un passaggio migliore verso la mia stagione da pensionato.

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Vita attiva ma più leggera

Desideriamo avere contemporaneamente una vita attiva e una vita leggera. Sono due istanze compatibili ?

L’immagine del sessantenne e della sessantenne che trascorrono le giornate ai giardinetti è ormai sfuocata, non corrisponde più alla realtà che vediamo tutti i giorni, che si presenta variegata: chi continua ad avere un’occupazione lavorativa, chi diventa, magari più di prima, il fulcro intorno a cui ruota la compagine familiare, chi già in pensione si ingegna per trovare degli interessi e dei progetti che diano un significato arricchente alla propria esistenza; senza parlare della voglia di mantenere una vita affettivamente ricca e una condizione di corpo e mente sufficientemente in forma.  Il cambiamento è veloce: fino a pochi anni fa qualcuno si limitava a teorizzare di un futuro in cui gli “anziani” avrebbero sperimentato un nuovo invecchiamento attivo; nel giro di un lustro la realtà ci è cambiata sotto gli occhi alla velocità della luce e oggi consideriamo “normale” che la maggior parte dei senior svolga una vita attiva.

Quel che non è cambiato è il desiderio, assai diffuso tra i senior, di abbinare alla vita attiva una vita più “leggera” di quella condotta nei decenni precedenti dell’esistenza. Non si è modificato cioè il desiderio, arrivati all’età da senior, di ridurre un po’ le incombenze, le responsabilità e i ritmi che hanno accompagnato, per tanto tempo, i ruoli lavorativi, genitoriali e sociali coperti quando si era adulti nel pieno della maturità.  Ci si prende sì degli impegni, ma si vorrebbe dosarli in base alle proprie forze. Si continua, magari volentieri, ad occuparsi di figli, nipoti e genitori ottanta-novantenni, purché questo non si trasformi in un vincolo e un obbligo da cui non si sa come uscire. Si continua ad avere un’occupazione, ma le motivazioni e le forze sono diverse e si vorrebbe che venissero tenute in considerazione. Ci si impegna in progetti e in nuove avventure, ma deve essere prevalente il gusto per ciò che si fa e le nuove attività non devono assolutamente diventare una nuova prigione. Insomma, è forte la spinta per una vita più “leggera”, più ricca di desideri appagati e meno densa di doveri.

Sono abbinabili e compatibili queste due istanze, quelle della vita attiva e contemporaneamente più leggera ? Probabilmente dobbiamo sciogliere noi, prime generazioni di senior che sperimentano l’allungamento della vita attiva, il bandolo della matassa. L’equilibrio tra queste due istanze è sicuramente possibile, ma i termini della questione non sono per nulla scontati per chi ci sta intorno e spesso anche noi diretti interessati non abbiamo sufficiente consapevolezza di quale punto di equilibrio vorremmo raggiungere. Forse si può partire proprio da qui, dal cercare di capire quale sarebbe per ciascuno di noi il punto di equilibrio ottimale e dal cercare di raggiungerlo, senza buttarci a capofitto in tutti gli impegni che capitano a tiro, senza accondiscendere a tutte le richieste che ci vengono, ma anche senza rifiutarsi di cogliere le opportunità che ancora possiamo incontrare.

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Sessantacinque anni e non sentirli

Scrive Renato: Non sono di quelli che pensano che la vita cambi, in peggio o in meglio, oltre i sessant’anni o i sessantacinque, come nel mio caso. Non penso che oltre i sessant’anni si debba cambiare qualcosa della propria vita e in questo senso non sono d’accordo con l’approccio al problema dell’autore del blog, ancorché mio vecchio collega e amico.
Penso invece che il cambiamento stia proprio nel pensare che non si debba cambiare, casomai aggiungere, proprio perché l’età ci dà opportunità che quelli più giovani di noi non hanno: oggi ho una visione d’assieme dei problemi del mio lavoro che vent’anni fa non avevo e un’esperienza che mi consente di scrivere un rapporto in metà del tempo di allora. Certo, occorre mantenersi curiosi ma io, come direbbe Toto’, “lo nacqui”. E qui sta il punto: fare “patrimonio” della parte migliore della nostra natura e non fermarsi mai, andare avanti, verso la prossima sfida, verso la prossima cosa nuova da scoprire, a 20 anni, come a 40, come a 60: ma questo non richiede “cambiamenti”, richiede semmai fedeltà a se’ stessi. Questo semmai è l’unico “elisir di lunga vita” (intellettuale) che nella mia esperienza funziona. Insieme con l’aver sempre nella mente il verso dantesco: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute et conoscenza”. Che non a caso unisce indissolubilmente la nostra stessa NATURA di uomini alla conoscenza e alla curiosità: mai “condanna” fu più dolce e bella da portare, tanto da sfidare anche la paura della morte.
Qualcuno dirà “ma non hai raccontato la tua storia”. E’ vero, ma questa è la “metastoria”, quella da cui nasce la storia reale che, se interessa a qualcuno, posso raccontare. In un’altra puntata. Renato il Filosofo

Caro Renato, questo articolo pubblicato da  The Economist ti piacerà.

 

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Tutto é possibile

Perché censurarsi e vedere sempre innanzitutto le difficoltà e i limiti legati all’età?

In questi due brevi messaggi Luisella e Anonimo ci raccontano i loro progetti di viaggio e vacanza: tutto è possibile !

Scrive Luisella1951: “Il viaggio in India lo accarezzo da quando ero giovane ma per una ragione o per l’altra non sono mai riuscita a realizzarlo. Quelle terre, quella gente, quella cultura, continuano ad essere un mio sogno e mi spiace troppo l’idea di rinunciare a conoscerle. Adesso però ci riuscirò, sembra assurdo che organizzi questo viaggio proprio ora che faccio un po’ fatica  a camminare, ma mi rimarrebbe un rimpianto troppo forte se rinunciassi. Quindi partirò, in fin dei conti ce la posso fare, non va bene mettersi da sola dei limiti, se troverò un’amica che ha voglia di viaggiare con me sarà meglio, se no mi infilerò in qualche gruppo e me la caverò. Luisella1951” In foto: Judi Dench e Celia Imre nel film Marigold Hotel.

Scrive Anonimo: “Sono pensionato, appassionato di vela e viaggi. Ho un catamarano di 12 mt e vorrei organizzare un gruppo di otto persone per navigare in Grecia da Giugno a Settembre cambiando vita anche per soli 4 mesi. Rispondete. Sono in pensione da poco.”

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