Posts Tagged: viaggi

Amo viaggiare

Sono Guido, 67 anni in pensione, di Roma (ma vivo vicino al Lago Maggiore).
Come forse molti di voi mi trovo a scontrarmi spesso con le difficolta a far comprendere agli “under” che sebbene il fisico non è quello di una volta, lo spirito, il desiderio e la volontà di viaggiare sono rimasti immutati, anzi forse questi sono addirittura aumentati, adesso che ho tempo vorrei usarlo.

Amo viaggiare in auto, ho una land cruiser attrezzata per grandi viaggi, Iran, Turchia, Tunisia, Marocco, Algeria, Mauritania e quasi tutta l’Europa sono solo una parte dei 300 mila km percorsi dall’arzilla vegliarda che è un po’ come me, ancora in rodaggio… (Gli altri chilometri li hanno fatti quelle che l’hanno preceduta).
Solo oltreoceano ho rinunciato alla mia macchina e alla comodità che offre, (tutto per due persone anche dormire).
Ho noleggiato veicoli fuoristrada e ho fatto 5 viaggi in Sud America, percorrendo diecimila Km a viaggio tra terra del Fuoco, Patagonia, in Cile e Argentina, deserto de Atacama, Nord Ovest Andino, Iguazu, Salar de Uyuni in Bolivia, tra le piste polverose sulle Ande nelle zone più remote di Argentina, Cile e Bolivia (ma anche Messico, Guatemala, Belize e Honduras).
Sono tornato a gennaio da un viaggio di 45 giorni, eravamo sei persone, un 67enne (io) una 63 enne e suo marito 73enne, e poi due ragazzi di 40 anni che facevano fatica a starci dietro
Il mio messaggio è: se qualcuno è interessato a viaggi in auto anche in terre lontane, eccomi!

Foto di Guido, tratte dai suoi viaggi. La sua storia è pubblicata anche su www.osservatoriosenior.it

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Ripartire

La mia vita è stata un susseguirsi di partenze. Ho avuto la fortuna di poter fare quel lavoro che sognavo sin da bambino, ossia vendere viaggi che detto così sembra molto riduttivo. Infatti dietro la parola vendere viaggi si nasconde tutto un mondo fatto di emozioni, di sogni, di paure inconsce da superare. Viaggiare mi ha permesso di conoscere una fetta consistente di questo nostro mondo e aprirmi a culture diverse, incontrando gente di tante razze, condividendo con loro momenti molto intensi. A conclusione del 2015, ho attraversato un momento difficile dal punto di vista professionale perché, purtroppo, l’agenzia di cui sono ancora socio, per tutta una serie di motivi ha dovuto chiudere la sua attività al pubblico. Per me è stato un duro colpo e forse anche per un eccesso di stress mi sono ritrovato in quelle situazioni in cui un momento di stanchezza, se non preso in tempo rischia di trasformarsi nelle piaghe dell’anima e della mente. Periodi in cui tutto sembra buio, fermo, senza più via d’uscita, Ma la vita mi ha abituato che dopo un viaggio si può sempre ripartire per un nuovo viaggio e avendo questo nel mio DNA ho ritrovato la forza di ripartire, confortato dalla stima, dall’affetto di tante persone nella famiglia, nelle amicizie, tra i colleghi di altre agenzie e tra i clienti . E così ho ritrovato le mie attività, lo scrivere sul mio blog, il proporre viaggi, la curiosità che non mi è mai mancata.

Questa storia è stata pubblicata anche su www.osservatoriosenior.it

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Turismo evergreen di gruppo

Pubblico con piacere questo articolo di Silvia Ghidinelli.

Vi sarà forse capitato di incontrare, anche nelle vostre città, frotte di senior, accompagnati da una guida, intenti ad ammirare le bellezze che li circondano. E’ il turismo di gruppo della terza età.

 

 

Sì perché i senior, spesso, amano viaggiare in gruppo, con le loro Associazioni di Volontariato, di Pensionati, delle loro Parrocchie e, proprio per questo, amano viaggiare tra persone conosciute e spesso amiche, con le quali vivere in gruppo e condividere importanti esperienze, divertirsi insieme, e, in fin dei conti, riappropriarsi dell’atmosfera della giovinezza, quando il gruppo era parte integrante della vita. Sì, perché il gruppo è goliardico, allegro ed integra facilmente anche coloro che sono soli …

Molti senior sono liberi da impegni lavorativi e perciò possono scegliere di viaggiare in qualunque momento dell’anno; è favorita la scelta delle medie stagioni, perché il clima è mite , ma non afoso, i prezzi calmierati, l’accoglienza negli alberghi più curata e meno frettolosa, i siti, i monumenti e i musei meno affollati.

Inoltre il TEMPO, risorsa dei senior, consente loro, se lo desiderano, un lento avvicinamento al luogo prescelto, gustando via via i cambiamenti della natura, delle architetture, dell’Umanità incontrata. Modalità ben lontana dai viaggi “mordi e fuggi” che ti catapultano nelle capitali in poche ore, lasciandoti per altrettanto poco tempo, senza alcun riferimento di localizzazione se non la carta geografica.

In questi viaggi di gruppo raramente il pranzo è libero, per mangiare magari un panino o frutta, come sarebbe anche bene, ad una certa età, per non appesantirsi. Invece, è più in uso che i senior in gruppo condividano il piacere di stare a tavola per gustare cibo tipico del luogo, assaggiare vini nuovi, e, se si trovano all’estero, comparare il tutto con l’ineguagliabile cucina italiana.

Va da sé che, se i viaggi sono organizzati da Enti religiosi, si cercheranno anche le tracce del Cristianesimo nei luoghi visitati: come è accaduto a me, grazie ad un bel viaggio in Grecia con la Diocesi della mia città, di seguire le tracce di S.Paolo all’Areopago sull’Acropoli di Atene e a Corinto, o di S.Andrea a Patrasso. Il viaggio era aperto a tutti, credenti e non, e voglio aggiungere che è stato molto interessante anche per me che sono agnostica, ma percepisco il fascino del Vangelo e provo grande rispetto e ammirazione per coloro che lo vivono con Fede.

Anzi credo che i senior, spesso, inseguano non solo interessi culturali, ma anche spirituali, perché, come dice Hillman, non bisogna trascurare l’anima più profonda, la quale, al di là della gratificazione fisica, ha bisogni estetici: senza immagini e sensazioni di bellezza, l’anima appassisce e muore.

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Una vita nel mondo

Scrive Daniela: Non ero ancora diciannovenne allorché, insoddisfatta delle prospettive che un’asfittica vita di provincia mi prospettava, decisi di volare in Gran Bretagna, allettata dalla fama che quel Paese emanava in termini di dinamicità d’attività lavorativa e senza badare ai possibili rischi di quella scelta.
La conoscenza dell’idioma locale costituì il primo dei problemi da affrontare, a cui si aggiunse il gran freddo del febbraio londinese.
Dopo un anno di soggiorno e di fatiche costrinsi il West London College a dotarmi del Proficiency Certificate, il diploma che attestava che avevo imparato l’inglese.
La conquista ottenuta mi consentì di iniziare una vera e propria attività lavorativa presso una multinazionale, una società alberghiera dove mi occupavo di prenotazioni in tutte le strutture estere periferiche.
Clima e complicazioni affettive mi indussero però a rientrare in Italia di lì a quattro anni; potendomi a questo punto ormai avvalere di una buona conoscenza della lingua inglese non ebbi difficoltà a trovare un’attività lavorativa in una società petrolchimica di primaria grandezza.
Dopo pochi anni di assestamento, mi affidarono un incarico che mi consentì di spaziare sugli ampi orizzonti dell’intero orbe terracqueo: così poterono apprezzare le mie qualità (e io apprezzai le loro) gli abitanti di più di 40 città: da Barcellona a Parigi, da Amsterdam a Copenaghen, da Zurigo a Bratislava, fino a luoghi più lontani come Istanbul, Il Cairo, Jaffa, Casablanca, New York, Tokyo, Seul e tante altre ancora… Lo so che è difficile credermi ma vi assicuro che è andata così. Del resto, che colpa potevo avere io se la Società mi costringeva a seguire i dirigenti ad ogni angolo del mondo ove si recavano a sottoscrivere contratti e/o monitorare i mercati?
Poi, si sa, ci si mettono gli affetti e i sentimenti… Persistenti, complicati e ondivaghi, mi indussero all’abbandono di quell’attività. Per poco però, giacché di lì ad un anno le solite turbolenze affettive mi indussero nuovamente a rimettermi in gioco, anche se ormai avevo ottenuto la pensione.
Per altri dieci anni ho continuato a lavorare in una grande società farmaceutica: diverse esperienze, diverso il linguaggio, diversi i soggetti, tutto però come sempre stimolante.
Tra sette giorni, dal momento in cui scrivo, avrà termine anche questa esperienza.
Sono certa però che non sia stata l’ultima… La vita continua…

La storia di Daniela é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Il senso delle mie giornate

Sono andata in pensione quattro anni fa. Il mio lavoro è stato molto impegnativo, dal punto di vista sia fisico sia mentale. Lavoravo in una grande azienda e i problemi interni erano tantissimi e difficili. Nonostante questo non pensavo di lasciare un lavoro che comunque amavo, ma la malattia con la quale ho combattuto negli ultimi anni e le continue battaglie interne mi hanno convinta ad un certo punto che era meglio smettere.
La mia vita è stata un’altalena di alti e bassi, di difficoltà e avventure. Comunque credo di aver sempre trovato la forza per affrontarle e superarle. Dopo la laurea sono seguiti 6 anni di precariato (anche allora esisteva…), poi finalmente è arrivata l’assunzione. Ho svolto il mio lavoro con passione, amandolo in modo quasi viscerale, dedicando una grande quantità di tempo e sempre convinta che stavo facendo qualcosa di importante per me, ma anche utile per gli altri.
Una volta smesso, tutti – ed io per prima – pensavano che avrei sentito un enorme vuoto, anche perché sono single e quasi tutti pensano che da single è più difficile vivere gli anni della pensione. Non è così… ora sono felice di appartenere alla schiera dei pensionati. Adesso gestisco a piacimento il mio tempo libero. Mi piace molto leggere, anzi diciamo pure che divoro una grande quantità di libri. Cerco di tenermi aggiornata su qualsiasi argomento, dalle nuove scoperte scientifiche che mi hanno sempre incuriosito alle notizie di economia che, a differenza di quel che dicono le mie amiche, non mi annoiano per niente. Ma ho anche altri interessi, come andare a teatro e non conosco, quasi più, la parola stress. Frequento gli amici di sempre e le ex colleghe e ho fatto in modo che la malattia non tarpasse la mia voglia di fare ogni tanto qualche viaggio e di curare il mio aspetto. Di recente poi collaboro con un’organizzazione di volontariato per dare sostegno a ragazzi disagiati e questo sicuramente ha dato un senso forte alle mie giornate.       La storia di Erika é stata pubblicata anche su Osservatorio Senior

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Rientro in Italia

Scrive Corado: Sono nuovo nel target di questo blog, infatti ancora mi riconosco solo parzialmente nel punto di vista delle altre storie, o forse mi piace pensare che sia così ….. Dunque, sono partito dall’Italia alla fine del 2005, una bella occasione professionale e mia moglie ed io ci siamo trasferiti a Mosca con i nostri due figli che avevano appena 4 e 2 anni. Da lì l’inizio di un’avventura europea, un anno in Russia (Mosca è a volte affascinante ma certamente non facile, è una bella esperienza se si ha voglia di viverla) poi trasferimento a Bucarest, dove ci sembrava tutto molto più semplice e familiare e dove ho incontrato giovani con grandissima voglia e capacità professionali. E’ seguita Bruxelles, città con qualità della vita molto alta, internazionale ma non troppo grande, in origine città fiamminga, oramai città europea e prevalentemente francofona (meglio non dirlo alla nazionalista N-VA). Da ultimo Varsavia, viva, orgogliosa e in crescita.
Nel frattempo però mi sono reso conto che ero stanco di lavorare come facevo (in banca) e che il desiderio di lavorare e vivere diversamente si accompagnava a quello di vivere questo cambiamento di nuovo nel mio Paese. Quindi rientro in Italia: questo sì un bel cambiamento! Non più sotto l’ala protettiva di un datore di lavoro, mia moglie deve pensare a rimettersi in gioco, i figli per la prima volta studiano in Italiano (che difficile l’analisi logica!), il nuovo lavoro da far partire. Ci siamo stabiliti a Bologna, dove avevo studiato: la prima volta che scegliamo dove andare a vivere non per motivi professionali.
Poi tornare in Italia richiede di costruirsi un ombrello psicologico che ripari dalla pioggia di cattive notizie da cui siamo quotidianamente bombardati. All’estero era come vivere in un limbo previlegiato, ma qui bisogna erigere una paratia tra le notizie che si ricevono e lo spirito ed entusiasmo con cui iniziare le nuove giornate.
Tempo fa uno studioso tedesco affermò che l’Italia era nelle migliori condizioni per affermarsi nella globalizzazione, grazie alla sua fortissima identità; vivendo all’estero se ne ha una chiarissima visione. Questa sì un’idea da tenere sempre bene a mente!

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L’emigrazione dei capelli grigi

Notizia Ansa del 21 agosto 2014, sotto il titolo: “Non solo fuga giovani, nuova emigrazione ha capelli grigi”:

“Nel periodo 2007-2013, dall’Italia sono emigrati all’estero in 620mila, quasi il doppio rispetto ai 7 anni precedenti. Solo nel 2013 hanno varcato i confini oltre 125mila adulti. Diversamente dal passato però, il nuovo boom di espatri è trainato da emigrati con i ‘capelli grigi’: negli anni della crisi l’incremento degli espatriati italiani con un’età tra 40 e 49 anni è stato pari al 79,2%. +51,2% nella fascia 50-64 anni. Emerge da una ricerca del Centro studi Cna”.

Da capire se si tratta più di un’emigrazione lavorativa (ad esempio, il tecnico specializzato che viene inviato dall’azienda a lavorare all’estero) o più di un’emigrazione dei pensionati che, come illustravano alcuni dati dell’Inps di mesi fa, si trasferiscono all’estero e lì si fanno inviare la pensione (scelta di vita spesso condizionata da ragioni economiche ma anche dal piacere di trovare luoghi piacevoli dove vivere). In entrambi i casi, testimonianza non solo del periodo di crisi, ma anche della nuova mobilità e iniziativa dei senior.

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Vacanze estive

Parlo con Stefano di questa strana estate che richiede, per lo meno a chi si trova nel Nord e in molte zone anche del Centro Italia, di indossare il golfino e di non dimenticare a casa l’ombrello.

“Macché vacanze! – mi dice il 64enne Stefano – L’estate quest’anno non c’è stata, ma non è solo questione di tempo inclemente, anche l’anno scorso che c’erano invece le solite temperature estive e il solito sole non riuscivo a pensare all’estate come ad un periodo di vacanza. Ormai, da quando non ho più i classici orari e ritmi di lavoro, l’agosto per me è un mese come tutti gli altri, l’unica differenza è che se per caso ti viene in mente di fare un viaggio paghi il doppio. D’estate mia moglie ed io ci spostiamo nella casa che abbiamo fuori città per non soffrire troppo il caldo, cosa che quest’anno avremmo potuto benissimo evitare. Ma anche quando siamo fuori città le abitudini non cambiano e le giornate scorrono come al solito.”

Le vacanze sono interruzione di ritmi e stili di vita, riposo dal lavoro, cambiamento rispetto al quotidiano, scoperta di qualcosa di diverso, momento dedicato alle proprie passioni. Se non c’è niente di questo fai fatica a pensarti in vacanza.  Per Angela, che a 60 anni è ancora pienamente  impegnata nella sua attività professionale, le vacanze estive sono ancora un periodo speciale, di “stacco” dai pensieri e dagli orari quotidiani, ma anche lei, che pure amerebbe molto viaggiare, preferisce programmare le vacanze da turista in altri momenti dell’anno. “Ho la fortuna di poter godere di una casetta al mare di famiglia – racconta Angela – Con i miei fratelli siamo d’accordo che le due settimane centrali d’agosto la uso io. Le vacanze le dedico più volentieri a viaggiare ma per i viaggi mi sembra più furbo prendermi una settimana in periodi meno affollati di turisti. Così le due settimane d’estate smetto di pensare alle preoccupazioni di lavoro, faccio passeggiate e mi dedico a fare la cuoca per i figli che vengono a trovarmi con i nipotini, cosa che durante il resto dell’anno non faccio mai. Anche questa è vacanza.”

Diversa l’esperienza di Regina, 62 anni appena compiuti: “Mai vista così tanta gente in città durante l’estate! – testimonia Regina – Per me è sempre stato proibitivo fare lunghe vacanze durante l’alta stagione quindi sono abituata a passare la maggior parte delle ferie estive in città. Tutto sommato, non mi dispiace: si respira un ritmo più rilassato, ti fai una passeggiata in più in centro e le occasioni per vedere una mostra o per andare a vedere un bel film non mancano. Le vacanze vere sono quelle dello spirito e della mente. E più passano gli anni, più te ne rendi conto!”

Tre modi diversi di vivere l’estate da parte di tre senior.  Che vada ripensato il concetto stesso di vacanza, per i senior ?

 

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Anche domani mattina !

Scrive Elisa: Come Enrico, anch’io ricordo la Dauphine !! Ne aveva una di color azzurro chiaro un mio lontano parente. L’ auto della mia famiglia era invece una mitica Volkswagen marron glacé: macchina tanto solida e affidabile, quanto dall’ estetica davvero poco felice.
L’articolo di Enrico mi ha catapultato in un passato comune per momenti e stili di vita; le sole differenze nel fatto che noi andavamo in montagna e vi stavamo non solo un mese, bensì l’ intera estate. Nella memoria ho molto lucido il momento della partenza, che si ripeteva ogni anno il canonico giorno dopo la chiusura della scuola. Ancora oggi riprovo lo stesso entusiasmo di allora, ma l’ immagine più viva è il volto di mio padre quando, costernato davanti al cofano e al portabagagli debordanti di valigie, sbofonchiava in modo puntuale <>. Non che partiti le cose andassero meglio: usciti dall’ autostrada Milano-Bergamo e iniziata la salita verso le prealpi lombarde (la nostra meta era la Presolana) ogni curva – potenziale attentato per lo stomaco mio e di mio fratello e, nondimeno, per gli interni della indomita Volkswagen – richiedeva una certa abilità di manovra e soprattutto tanta pazienza. Povero papà… lui che, prima delle sospirate ferie di agosto ci raggiungeva il venerdi sera e ripartiva il lunedi mattina, concedendosi il lusso di una sporadica incursione durante la settimana per recuperare il sonno perso a causa dell’afa milanese.
Per quasi un ventennio la Presolana ci vide assidui frequentatori: papà con gli amici delle bocce, mamma a chiacchierare con le mogli degli amici delle bocce, io e mio fratello con le rispettive compagnie.
Finito il liceo, però, iniziai a domandarmi se oltre a quella casa verdina in montagna, alle interminabili partite a tamburello e alle scorribande in moto e motorini per le valli della Bergamasca, ci fosse qualcos’ altro che meritasse di essere visto.
Un giorno, per puro caso, venni a sapere da un’amica che in una bacheca alla Statale spiccava un cartello con scritto: “Chi è interessato/a a un campeggio in Sardegna dal 2 al 20 agosto contatti…”. Due minuti bastarono perché prendessi coscienza di non essere mai stata in tenda prima di allora e di non conoscere nessuno dei miei potenziali compagni di viaggio, a parte la mia amica; mi bastò invece un solo minuto per prendere coscienza del fatto che, proprio per questi motivi, non avrei dovuto lasciarmi scappare una simile opportunità.
A distanza di anni mi accorgo di sorridere quando passo in rassegna i momenti di quella mia prima esperienza di campeggio in compagnia di una masnada di ragazzi e ragazze, tra i venti e i venticinque anni, tutti di città diverse, alcuni lavoratori, i più studenti; in comune un irrefrenabile desiderio di libertà e divertimento e, soprattutto, un’ impreparazione pressochè totale in materia di tende e paletti. Mi vengono ancora in mente i cori lungo le stradone deserte, che percorrevamo di notte sotto le stelle, dopo aver lasciato i paesi vicini in occasione delle sagre agostane rigurgitanti di salsicce e vino rosso. Non previsto quel temporale, scoppiato all’ improvviso, mentre dormivamo, avvolti nei sacchi a pelo, sul traghetto del ritorno. Troppo divertente quella gita di qualche giorno ad Orgosolo, località nota per i murales ma soprattutto agli onori delle cronache per i rapimenti banditeschi, all’ epoca piuttosto frequenti. E’ ovvio che, in mancanza di cellulari e altri contatti telefonici, i miei genitori vennero a sapere di questi eventi solo a cose fatte quando, tornata a Milano, ebbi modo di entrare nei particolari. Allora raccontai anche della sfilata di materassi, generosamente messi a disposizione da un’ improvvisata ospite di casa ad Orgosolo, una signora che proprio non si capacitava del fatto che i suoi figli, i suoi cocchi, fossero a Rebibbia da un bel po’ di tempo.
Ancora adesso che sono qui a scrivere mi pongo una domanda, quella che mi sono fatta già tantissime volte: “Elisa, lo rifaresti, ora che non hai più vent’anni e – ammettilo – ti piace viaggiare comoda e lasciare meno spazio all’ imprevisto ?” La risposta è sempre la stessa: “Anche domani mattina !”

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Ricordi di viaggi e vacanze

Di fronte alla prospettiva di un periodo di vacanza ognuno di noi si comporta in modo diverso. C’è chi vuole andare sul sicuro e chi invece vuole sperimentare sempre qualcosa di nuovo. E può anche capitare che ciascuno di noi preferisca in alcuni momenti le sicurezze e in altri momenti le sorprese.

I  miei ricordi di bambino cresciuto nel periodo del boom economico sono di una famigliola che al momento delle vacanze caricava sulla prode Dauphine (era un’automobile, non una colf) una quantità irragionevole di bagagli e che, allo scadere del weekend di S. Pietro e Paolo, non un giorno prima non un giorno dopo, partiva inerpicandosi lungo i tornanti della Cisa, quella originale, la statale con così tante curve che non può che essere stata opera di uno con la mente contorta (oggi se volete che uno si faccia tutta la statale della Cisa dovete promettergli che alla fine vincerà una Ferrari).  Una mezza dozzina di fermate per vomiti e pipì erano assicurate, ma lo stoicismo dei miei genitori veniva ripagato dopo circa quattro – cinque ore di viaggio, quando in lontananza si cominciavano ad intravedere le Apuane e, finalmente, il mare.

La mitica Marina di Massa ci aspettava con le sue spiagge, i suoi ombrelloni, i suoi ping pong da stabilimento balneare e soprattutto con le stesse facce di villeggianti. All’ombrellone di sinistra ritrovavamo i signori di Pontedera e a quello di destra quelli un po’ più antipatici che venivano da Torino, che però avevano una figlia che con il passar degli anni si faceva sempre più interessante. Lì si rimaneva per un mese, la giornata scandita da ritmi che neanche in un collegio svzzero: alle 10 già tutti in slip da bagno sulla spiaggia, alle 12.30 via tutti a far la doccia e alla casa presa in affitto per il pranzo, poi dalle 15 alle 18 replay. L’evento della giornata, per quel che mi riguardava, erano le finte gare ciclistiche, finte perché con il ciclismo non avevano niente a che fare: ci si inventava una pista e con lo scatto dell’indice e del pollice si faceva a gara spingendo in avanti i tappi delle aranciate, ciascuno dei quali era associato ad un ciclista famoso. Me lo ricordo bene, perché non ero niente male a questo sport particolare. Per tutto il mese stavamo a corto di informazioni di quelli che conoscevamo: le comunicazioni telefoniche come siamo abituati ad averle oggi erano ancora di là da venire ma tutto sommato quell’ assenza di trilli non impensieriva nessuno. Mio padre, non so per quale vocazione masochistica, si faceva avanti e indietro da Milano tutti i fine settimana, finché scaduto il mese non ci riportava a casa.  Prima di partire però bisognava ricordarsi di una cosa fondamentale: passare dal signor Antonio, che era il gestore dello stabilimento, e fissare per l’anno successivo: mi raccomando, stessa fila e stesso ombrellone !  Ecco, non si poteva proprio dire che le mie vacanze da bambino fossero piene di incognite. Sapevo in anticipo quel che mi aspettava e tra l’altro, siccome non mi dispiaceva per niente, partivo un po’ meno musone del solito. 

Forse per reazione personale, forse perché nel frattempo l’Italia non era più la stessa, qualche anno dopo la mia vacanza era diventata un’altra cosa. Non era vacanza se non ci mettevo una dose consistente di avventura e se per caso tutto filava liscio un po’ mi dispiaceva. Intanto, guai a pensare di tornare negli stessi luoghi degli anni precedenti: il must era diventato viaggiare, esplorare, scoprire quel che non era ancora omologato.  Negli anni Settanta non c’erano ancora i low cost, i genitori erano disposti a svenarsi per mandarti a Croydon o a Hastings per imparare l’inglese, ma non a sovvenzionare delle vacanze un po’ balzane, quindi se volevi raggiungere le destinazioni più lontane dovevi inventarti un mezzo di locomozione terrestre. A parte quelli mitici che arrivavano in Afghanistan in autostop (lo confesso, non ci ho mai nemmeno provato), i più si lanciavano verso méte esotiche con vecchie carriole che si brindava se riuscivi ad arrancare fino al confine di Stato. Andava ancora molto la canadese: due sere su tre, dopo aver viaggiato tutto il giorno ad una media che superava di poco i 70 all’ora, si piantavano i paletti della tenda e si piombava in un sonno pesantissimo; la terza sera, anche perché il fetore cominciava ad essere intollerabile, le ragazze riuscivano a rimediare un alberguccio di infima categoria che a quel punto però sembrava una reggia.

A quell’epoca non c’era ancora l’immigrazione dall’estero, se per caso ti passava di fianco uno con una tunica fino ai piedi, e non era un prete, tutti si voltavano e lo squadravano incuriositi; se ti passava di fianco una col velo faceva un po’ meno scalpore perché eravamo ancora abituati alle nonne del Sud Italia che andavano in giro con la testa coperta di nero . Ma insomma, le grandi migrazioni mondiali verso l’Italia dovevano ancora iniziare e allora destinazioni come il nord Africa o la Turchia erano il massimo dell’avventura e dello sconosciuto. Trovavi coetanei italiani arrivati con mezzi di fortuna tra i berberi marocchini, in Cappadocia, ma anche a Capo Nord e, naturalmente, non potevi aver mancato la traversata dormendo sul ponte di una qualche scassatissima e iperaffollata nave greca.  L’Erasmus non era stato ancora inventato ed eravamo felici di vivere l’avventura, la scoperta, l’incognito.

A dir la verità non provavamo tutti sempre gli stessi sentimenti.Quella volta che ci eravamo mossi dall’Italia in sette su un pullmino 850 Fiat per raggiungere Istanbul e alla seconda notte di pioggia incessante sulla Serbia e sulla Bosnia (che allora non sapevamo si chiamassero così, erano semplicemente una Yugoslavia dove ci stupivamo che usassero caratteri diversi dai nostri), ci ritrovammo fradici noi, le nostre tende e i nostri bagagli, con i topi che di  notte impedivano di dormire, in alcuni del gruppo la preoccupazione e l’ansia presero il sopravvento. Va bene l’avventura, ma fino a che punto ? fu la domanda posta il mattino dopo al riparo in una bettola davanti a una tazza di schifoso caffè tiepidino. Eh sì, sono i rischi del mestiere del vacanziere avventuroso ! Ti piace l’idea di scoprire nuovi mondi, di metterti alla prova, di entrare in contatto con genti e culture diverse, di sperimentare situazioni non scontate, ma il prezzo che paghi è l’incertezza e quel che provi è quel sottile sentimento che si fa strada, prima quando valuti razionalmente i rischi legati a quel che stai per fare, poi quando si trasforma in agitazione perché ti rendi conto, nel bel mezzo della situazione, che non la controlli più del tutto e che le spiacevolezze sono più di quante ti saresti immaginato. 

E’ stato probabilmente a partire da quel periodo, quegli anni Settanta in cui quelli che erano tra i venti e i trenta sperimentavano questo tipo di vacanze, che si diffusero per reazione le vacanze organizzate, basate su questo patto: tu fidati di me e io ti offro divertimento, viaggio, se vuoi anche un pizzico d’ avventura, ma soprattutto stai tranquillo, ti do la garanzia che troverai tutto quello che ti prometto e senza sorprese negative.

 

 

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